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Cronache

Dal baby rapinatore ucciso alla selvaggia aggressione del rider, Napoli smetta di dire che “è cosa ‘e niente”

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“È cosa ‘e niente”. La voce, ironica, drammatica, di Eduardo De Filippo ci rimbomba nella mente ogni qualvolta a Napoli accade qualcosa che mette in subbuglio le nostre vite.
Nel mese di marzo, Ugo Russo venne ucciso da un carabiniere. Aveva solo 15 anni. Un dolore immenso, non solo per i parenti, ma per tutte le persone oneste. Ugo, purtroppo, stava tentando una rapina, e invece del bottino, finì al camposanto. Seguirono, da parte di amici e conoscenti, reazioni illogiche, stupide, perisolose. L’ospedale Vecchio Pelligrini, in pieno centro storico, fu preso d’assalto. Fu devastato. Danni enormi.
Coloro che a Ugo volevano bene, tentarono di ridimensionarne il gesto. Si, è vero, aveva tentato una rapina, ma, in fondo, la pistola era finta. Si, è vero, aveva minacciato una coppietta, ma fu solo una ragazzata.

Ugo Russo. Il ragazzo rimasto ucciso nel corso di una rapina

Il dolore dei parenti di chi muore, qualsiasi sia la causa del decesso, va sempre compreso e rispettato, le loro dichiarazioni, no.
I napoletani soffrirono per la morte di Ugo, ma non pensarono affatto che si trattasse di una “ cosa ‘e niente” la tentata rapina. Al contrario, era una cosa grave, gravissima.
Nel mese di ottobre, come da vecchio copione, la scena si ripete. Stavolta a cadere sotto i colpi dell’arma di un poliziotto è Luigi Caiafa, 17 anni. Anche Ciro, il papà di Luigi, addolorato e sconvolto, metteva in risalto le virtù e i pregi del figlio e ne ridimensionava e quasi giustificava l’azione criminosa che lo aveva condannato a morte.
Ancora una volta, la voce drammaticamente sarcastica di Eduardo sembrò rimbombare per i vicoli di Napoli: « È cosa ‘e niente».

Un murale. L’han dedicato a Luigi Caiafa, 17 anni, rapinatore

 

È grave che a Napoli ancora si debba morire ammazzati a questa età; è grave che ancora non si riesce a ripulire la città dalla camorra maledetta e dalla microdelinquenza che tanto le fa comodo. Ciro Caiafa, a sua volta, è stato trucidato nella notte che precede quella di san Silvestro. In casa sua, sotto gli occhi dei figli di 15, 13 e 7 anni. Poveri ragazzi. Tristezza immensa.
È domenica quando un video sconvolgente inizia a circolare sui social. La scena è orribile. Un uomo su uno scooter viene fermato, accerchiato, umiliato, malmenato da una banda di ragazzi che vuole derubarlo del motorino. Si chiama Gianni, ha 52 anni, due figli e si guadagna da vivere portando pizze e panini a domicilio. Gianni si difende con tutte el sue forze ma non ce la fa, i giovani picchiano senza pietà e sono almeno in sei. Alla fine riescono a strappargli lo scooter e scappano via.
Vigliacchi. Delinquenti e vigliacchi. Qualcuno, per fortuna, riprende la scena dal balcone di casa. Quel video ben presto entra in tutte le case, in tutti i cuori. Se non fosse stata filmata, quella rapina sarebbe finita, come tante altre, nel dimenticatoio. Fatti di routine. “ Cose ‘e niente”.

Eduardo de Filippo. Nessuno meglio di lui ha saputo raccontare miserie e nobiltà di questa città

Grazie a quel video, invece, tanta gente ha potuto constatare la ferocia di cui sono capaci queste bande di delinquenti alla ricerca di facili guadagni. Spero che a nessuno venga la tentazione di sminuire la portata di aggressioni di questo tipo. Ogni volta il malcapitato rischia la vita e resta segnato dalla paura.
Napoli si alza in piedi e con Napoli l’italia intera. Parte la solidarietà. Gianni riavrà il suo motorino. La gente comune ha fatto la sua parte. Il bene, ancora una volta, ha vinto sul male.
Sul tappeto, però, restano tanti nodi antichi e mai affrontati con la dovuta attenzione. Sarebbe il caso di porvi rimedio al più presto. Questi giovanissimi violenti hanno bisogno di essere aiutati a uscire dai loro ghetti asfissianti per smetterla di fare, di farci e di farsi male.
Occorre avviare al più presto un vero e proprio patto educativo tra le varie istituzioni, incominciando dalle famiglie. I loro genitori sanno bene che la strada intrapresa dai figli, li porterà, prima o poi, o a marcire in carcere o al camposanto.
Debbono impedirglielo con tutte le loro forze. Noi ci siamo. Le nostre parrocchie ci sono.
Che a nessuno, però, venga in mente di sussurrare a bassa voce, o peggio, davanti a qualche telecamera che in fondo, anche stavolta, si è trattato di una “cosa ‘e niente”.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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