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Da Renzi a Martina, è tregua armata per studiare le mosse di Zingaretti

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Il primo test dell”effetto Zingaretti’ saranno le elezioni regionali in Basilicata, domenica prossima. Elezioni in cui il centrosinistra guidato dai dem punta a migliorare le sconfitte onorevoli di Abruzzo e Sardegna. Il neo leader sara’ domani a Potenza per fare campagna, poi tornera’ a Roma per mettere a punto la squadra della sua segreteria, con Paola De Micheli in pole position per il ruolo di vice e altri nomi nuovi in ballo. Zingaretti dovra’ anche lavorare in fretta alla lista per le europee del 26 marzo, abbinate alle regionali in Piemonte, due snodi chiave per il Pd. Tutto con gli occhi della minoranza addosso. Gli ex renziani di varia osservanza studieranno le mosse dei vincitori, all’insegna di una tregua armata imposta dal risultato schiacciante delle primarie con grande partecipazione popolare.

Ma da Matteo Renzi – ufficialmente distante dalle dinamiche del partito – a Maurizio Martina – il piu’ dialogante – passando per Luca Lotti e i suoi per arrivare ai ‘pasdaran’ di Roberto Giachetti, c’e’ un’area parecchio ridimensionata nei numeri, ma decisa a pesare. E che ha ancora il controllo almeno formale dei gruppi parlamentari, eletti con la passata dirigenza. Nel partito Zingaretti si e’ mostrato finora cauto, lasciando le due vicepresidenze e alcuni posti in direzione a esponenti della minoranza, ma imponendo il presidente e il tesoriere. Nella segreteria solo i giachettiani hanno detto di non voler entrare, mentre lottiani e martiniani sono piu’ possibilisti. Questo per quanto riguarda gli equilibri interni, con l’impressione che il nuovo leader non voglia fare asso pigliatutto. Il nodo vero pero’ saranno le alleanze, non tanto in vista delle elezioni amministrative – in cui il centrosinistra ha confini piu’ liquidi -, ma per le europee di fine maggio. Per gran parte dei renziani e per Carlo Calenda, che ha promosso la lista unica, la pregiudiziale e’ nessun accordo con i fuoriusciti del Pd, ma Zingaretti ha tra i suoi “atout” la capacita’ di allargare a sinistra (vedere la Regione Lazio). E tra gli uomini a lui piu’ vicini Massimiliano Smeriglio, ex Sel. Il ruolo di apripista tra i settori radicali tentera’ di svolgerlo Giuliano Pisapia, gia’ sindaco di Milano, capace di rassicurare anche i moderati. Un difficile equilibrio per rafforzare il centrosinistra, provare a svuotare M5S e non dare alla destra del Pd il motivo o il pretesto per una scissione.

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Nuova mappa del potere a Bruxelles: gli italiani nei gabinetti dei Commissari UE

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Oggi sarà ufficializzata la composizione dei gabinetti dei nuovi Commissari UE, una vera e propria mappa del potere a Bruxelles che viene ridefinita ogni cinque anni. Per l’Italia si delineano posizioni chiave, ma con alcune aree strategiche ancora scoperte.

La presenza italiana nei gabinetti europei

Attualmente, rappresentanti italiani sono confermati in 14 gabinetti su 27, coprendo settori fondamentali come migrazione, economia, commercio, agricoltura, pesca e capitale umano. Tuttavia, mancano presenze italiane in aree cruciali come il Green Deal, la transizione industriale e la competitività.

Cinque anni fa, l’Italia vantava rappresentanze nei gabinetti di Timmermans, Vestager e Simson, mentre quest’anno il colore politico del Paese sembra aver influito sugli equilibri e sugli scambi.

Gli italiani nei ruoli chiave

Nel gabinetto del vicepresidente Raffaele Fitto, il capo sarà Vincenzo Matano, con esperienza come vicesegretario generale dell’Ecr al Parlamento UE. Altri nomi di rilievo includono Gabriele Giudice e Marco Canaparo, quest’ultimo già a capo del dipartimento per gli Affari europei.

Tra i vicepresidenti esecutivi, spiccano Silvia Bartolini, inserita nel gabinetto della finlandese Virkkunen (Ppe, Sovranità tecnologica e democrazia), e Francesco Corti, nel team della romena Mînzatu (socialista, Diritti sociali). Manca invece una presenza italiana nei gabinetti della spagnola Ribera (Transizione pulita) e del francese Séjourné (Strategia industriale).

I Commissari e i nuovi ingressi italiani

Tra i Commissari “semplici”, emergono due vice capi di gabinetto italiani:

  • Francesca Arena, nel team del cipriota Kadis (Pesca), proveniente dalla DG Mare.
  • Pierpaolo Settembri, dal greco Tzitzikostas (Trasporti e turismo), accompagnato da Filippo Terruso, suo uomo di fiducia.

Inoltre:

  • Mauro Gagliardi è stato assegnato al gabinetto dell’austriaco Brunner (Affari interni e migrazione).
  • Riccardo Rossi, ex Seae, collaborerà con il ceco Síkela (Partnership internazionali e sviluppo con l’Africa).
  • Marco La Marca seguirà la croata Šuica (Mediterraneo).
  • Niccolò Brignoli è stato confermato all’Economia con Dombrovskis, mentre Chiara Galiffa lavorerà con Šefcovic (Trade).

Le trattative in corso

Le negoziazioni proseguono per assegnare un italiano al gabinetto del lituano Kubilius (Difesa), mentre si vocifera di un possibile ingresso di Fabio Massimo Castaldo, ex vicepresidente del Parlamento UE. Non è ancora chiusa la partita per un posto italiano nel gabinetto dell’Alto rappresentante UE Kallas (liberale).

Il ruolo italiano nei gabinetti principali

Nel gabinetto della presidente von der Leyen è stata riconfermata Valeria Miceli, mentre eventuali cambiamenti saranno decisi dal potente Björn Seibert nelle prossime settimane. Due italiani, Marta Balossino e Marco Catenaro, figurano già nel gabinetto del nuovo presidente del Consiglio europeo António Costa.

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Fitto lascia, sprint per un nuovo ministro in settimana

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Un nuovo ministro, che mantenga tutte le deleghe finora nelle mani di Raffaele Fitto. Nel giorno in cui il titolare di Pnrr, Coesione, Sud e Affari europei lascia libera una casella nell’esecutivo per volare a Bruxelles, crescono le chance che alla fine Giorgia Meloni opti per non spacchettare i dossier affidati al suo super fedelissimo, chiudendo la partita nel più breve tempo possibile. Entro la prossima settimana, c’è chi scommette magari già lunedì. La parola definitiva ancora non sarebbe stata pronunciata, ma chi ha parlato con la presidente del Consiglio in queste ore assicura che la premier stia soppesando tutti i pro e contro delle varie opzioni sul tavolo.

Ne avrebbe parlato a lungo anche con lo stesso Fitto, che ha annunciato le sue dimissioni via social. “Due anni intensi ed entusiasmanti”, dal giuramento nelle mani di Sergio Mattarella fin qui, scrive il pugliese che ora trasloca a Palazzo Berlaymont con il nuovo incarico di commissario alla Coesione e alle riforme e, soprattutto, di presidente esecutivo della nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen. Una esperienza “indimenticabile”, scrive ancora l’ormai ex ministro, ringraziando tutti, colleghi, collaboratori, e Meloni che ha avuto “piena fiducia” in lui. Non è facile, dicono i bene informati, trovare il profilo adatto a sostituirlo, tanto che per settimane si è ipotizzato di individuare più figure, cui affidare le diverse deleghe, fatto salvo che Pnrr e Coesione fin dall’inizio si sono immaginati proseguire di pari passo. Sui nomi, o molto più probabilmente il nome, c’è il massimo riserbo.

Si è parlato soprattutto dell’attuale capo dei servizi (e sherpa del G7), Elisabetta Belloni, di Giulio Terzi di Sant’Agata e di Edmondo Cirielli ma nessuno dei tre, agli ultimi rumors, sarebbe davvero in partita. In molti nella maggioranza ricordano il blitz per il passaggio tra Giuliano Sangiuliano e Alessandro Giuli (anche se la staffetta al ministero della Cultura era scattata per ben altri motivi) e si aspettano che “Giorgia” possa avere in mente uno schema simile. Carte coperte fino all’ultimo. Di sicuro “la decisione spetta a lei”, come ripetono tutti, compreso Ignazio La Russa, convinto che “anche in questo” la premier farà “l’interesse dell’Italia”. “Non mi permetterei mai” di darle dei suggerimenti, dice il presidente del Senato, che poi sottolinea però che “più facile” sarebbe “trovare le energie nella politica pronta”, tra “i parlamentari”.

La Russa torna anche sulle “schermaglie” nella maggioranza che, dice, “fanno male a chi le mette in atto”, salvo poi aggiustare il tiro spiegando che vale “a destra” come “a sinistra”, perché le liti allontanano gli elettori dalla politica, e dalle urne. Il presidente del Senato è ospite dell’assemblea nazionale di Noi Moderati di Maurizio Lupi, che si chiama fuori da una eventuale corsa (il suo nome è circolato sulla stampa) per la sostituzione di Fitto. “Non ci sono cardinali, papi o monsignori”, né “autocandidature. Nessuno di noi di nessun partito della coalizione, ha chiesto e ha rivendicato chissà quale posto”, assicura Lupi dopo che si sono susseguite invece, in particolare in questi ultimi giorni, le suggestioni di un interesse tra gli alleati per le deleghe di Fitto. Domenica al vertice tra i leader a casa Meloni non se ne sarebbe parlato, “per scaramanzia” raccontano, visto che l’intero collegio dei commissari doveva ancora incassare il voto finale dell’Europarlamento. E dopo mercoledì non ci sono state nuove occasioni per rivedersi. Ma a tutti sarebbe stato chiaro fin dall’inizio che la casella era, e resterà, di Fratelli d’Italia, spacchettata o meno.

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Bonaccini rilancia, primarie per i parlamentari Pd

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Elezioni regionali alle spalle, si riaccende il dibattito interno ai dem. Energia Popolare, l’area di riferimento del presidente del Pd Stefano Bonaccini, organizza il convegno “Costruire l’alternativa”, pronta a farsi sentire di più su diversi fronti. Dalle alleanze alla politica internazionale, fino alla scelta dei candidati alle prossime politiche. Bonaccini guarda avanti e rilancia: “Se non verrà modificata la legge elettorale e ripristinate le preferenze, chiederemo le primarie per scegliere i futuri candidati del Pd al Parlamento”.

Scelta fatta una sola volta, nel 2011, dai Dem e comunque con paletti assai stringenti. La premessa resta la pax democratica, rinsaldata dalle ultime vittorie: “La leadership di Elly è riconosciuta non solo come innovativa, ma anche come unitaria” e noi siamo “in campo non per indebolire una segretaria – come nella più triste e tafazziana tradizione della sinistra e della storia del Partito Democratico – ma come un’area impegnata a costruire un partito più grande e più forte”. Schlein, impegnata al congresso del Psoe in Spagna, invia un videomessaggio: è certa che i risultati delle “ultime tornate elettorale” siano stati ottenuti perché “abbiamo definito un profilo più chiaro del Pd, valorizzando al contempo le sensibilità interne”. Per approfondire il capitolo alleanze bastano due istantanee: Bonaccini che dice basta ai veti (del M5s, ndr); e Maria Elena Boschi – unica rappresentante di un altro partito presente al convegno – che viene applaudita dalla platea quando afferma che se nel cosiddetto campo largo c’è un’opposizione politica ad Iv il problema è anche dei riformisti interni al Pd.

“Abbiamo bisogno che la nostra proposta riformista si veda con più forza, anche plasticamente e a partire dai temi, come stiamo facendo qui oggi”, esorta Simona Malpezzi. “Dobbiamo continuare a lavorare per l’unità ma non dobbiamo rinunciare o cancellare le nostre idee”, le fa eco Piero De Luca. Alla mano tesa ad Italia viva fanno da contraltare i temi caldi che dividono il Pd dal M5s, politica internazionale in primis. Alessandro Alfieri mette in guardia contro “i populisti di destra e sinistra che si affiancano” nel mondo e tra questi cita Sahra Wagenknecht, la politica tedesca invitata da Giuseppe Conte a Nova. L’ex ministro Lorenzo Guerini parla dell’Ucraina, sul cui sostegno “ogni cedimento è un cedimento all’ambiguità”.

E la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, incalza: “Sostenere l’Ucraina è la pace”, su questo tema “non riesco a comprendere fino in fondo la posizione del mio partito” e mi chiedo se la “la linea che abbiamo imboccato è quella giusta”. Nello stesso giorno arriva anche l’invito di Romano Prodi: “Il Pd deve preparare riforme in grado di infiammare l’elettorato, che è scontento del governo ma non vede alternative”. Quanto alle possibilità della segretaria Elly Schlein di guidare questa fase, “il partito ha risposto e anche l’elettorato, ma l’operazione non è ancora iniziata – afferma l’ex premier -. Non vedo per esempio grandi discussioni, a partire dalla direzione e dalla segreteria, sulla politica industriale”.

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