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Economia

Da Imu e Tari all’imposta di registro, tutte le tasse sulla casa

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Imu e Tari, ma anche imposta di registro, catastale, Iva, cedolare secca. Sulle case degli italiani “gravita un lungo elenco di tasse e imposte a carico dei proprietari, una vera e propria giungla che ora rischia di diventare sempre più pesante”. A stilare l’elenco è il Codacons che dopo le parole di Giancarlo Giorgetti sulla rimodulazione delle rendite catastali teme un ulteriore aggravio.

– Le prime tasse arrivano già al momento della compravendita.

Chi compra un immobile va incontro infatti a imposta di registro, Iva, imposta ipotecaria e importa catastale. Chi compra casa da un privato (o da un’azienda che vende in esenzione Iva) deve versare un’imposta di registro del 2% (per un importo minimo di 1.000 euro) per la prima casa, del 9% sulla seconda casa, sul valore catastale dell’immobile. Le imposte ipotecaria e catastale sono entrambe di 50 euro.

Chi invece compra casa da un costruttore è tenuto a pagare l’Iva al 4% in caso di prima casa (10% sulla seconda casa, 22% su immobili di lusso), imposta di registro, ipotecaria e catastale, del valore fisso di 200 euro l’una. Alla cifra totale si sommano i costi di eventuali spese notarili.

– Le tasse non risparmiano nemmeno gli immobili donati o in eredità, anche se con un’importante franchigia. Nei trasferimenti per donazione o successione sono dovute le imposte indirette, in particolare l’imposta di successione e di donazione, che varia a seconda del rapporto di parentela o di coniugio tra il disponente e i beneficiari: dal 4% applicato per parenti in linea diretta o coniugi per il valore che eccede 1 milione di euro, fino all’8% senza franchigia per tutti gli altri soggetti. Andrà inoltre pagata l’imposta ipotecaria pari al 2% del valore dell’immobile e l’imposta catastale pari all’1% del valore dell’immobile (in misura fissa di 200 euro per entrambe le imposte nel caso in cui l’immobile donato diventi prima casa).

– I guadagni legati alla vendita di un immobile sono soggetti alla tassa sulle plusvalenze: quando si rivende una proprietà immobiliare entro 5 anni dal suo acquisto, il guadagno derivante dalla vendita (la plusvalenza) è soggetta a imposta sostitutiva del 26%.

– Sugli affitti si pagano poi Irpef o cedolare secca, bollo e imposta di registro. Nel caso si paghi l’Irpef i redditi degli immobili sono cumulati con gli altri redditi del proprietario e tassati secondo le aliquote previste. Per la cedolare secca, invece, è prevista una aliquota di tassazione del 21% del canone di affitto, che scende al 10% per i contratti a canone concordato. Prevista anche l’imposta di bollo (16 euro per ogni 100 righe e per ogni eventuale foglio allegato) e l’imposta di registro pari al 2% del canone annuo, con un minimo di 67 euro (per i contratti a canone concordato il 2% sul 70% del canone annuo).

– Infine Imu e Tari. La prima si paga solo sulle seconde case e sulle prime considerate di lusso. Il valore dell’imposta dipende proprio dalla rendita catastale su cui si è sollevata la polemica di questi giorni e dalle aliquote fissate dai Comuni. La tassa sui rifiuti viene invece calcolata con una quota fissa determinata sulla base della superficie dell’immobile ed una quota variabile in base al numero degli occupanti l’abitazione.

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Economia

Salari in Italia, crescita troppo lenta: persi oltre 17 anni di potere d’acquisto

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Nel 2024 gli stipendi italiani hanno finalmente registrato un incremento superiore all’inflazione. Ma si tratta solo di un +2,3%: un dato troppo esiguo per compensare la perdita di potere d’acquisto accumulata dal 2008 a oggi, che supera l’8,7%. A pesare è anche un fenomeno dimenticato, ma ancora attuale: il fiscal drag.

Perché i salari continuano a perdere valore

Nonostante i tagli del cuneo fiscale dal 2020 in poi, l’aumento delle tasse causato dalla crescita nominale dei redditi spinta dall’inflazione ha generato un impoverimento netto dei salari reali. A questo si aggiunge la scarsa capacità dei rinnovi contrattuali di tenere il passo con l’aumento dei prezzi: mentre le retribuzioni nominali sono cresciute del 15%, l’inflazione ne ha mangiato oltre 5 punti.

Le retribuzioni effettive: il peso del tempo lavorato

Secondo i dati più aggiornati, nel 2023 un dipendente full time ha percepito in media 39.176 euro lordi. Ma chi ha lavorato part-time per tutto l’anno si è fermato a 17.966 euro. La situazione è ancora più critica per chi ha lavorato solo parte dell’anno: 18.129 euro lordi per il tempo pieno, appena 8.490 euro per il part-time.

Chi guadagna di più e chi perde terreno

Nel periodo 2019-2023, i lavoratori a tempo indeterminato del settore privato hanno avuto un incremento del 6,4% (29.417 euro lordi in media nel 2023), quelli pubblici dell’8,4% (37.898 euro). Ma per i contratti a termine le cifre cambiano: +1,4% nel privato (10.156 euro) e -3,2% nel pubblico (16.990 euro). A guadagnare di più sono stati i lavoratori dell’industria alimentare, delle costruzioni, del credito, finanza e intrattenimento. In fondo alla classifica: istruzione, acqua e rifiuti.

Divari di genere, età e cittadinanza

La forbice tra uomini e donne resta ampia: 28.766 euro per i primi, 22.162 per le seconde, con un divario di oltre 6.600 euro. I giovani sotto i 29 anni sono i meno pagati (14.271 euro lordi), seguiti dagli over 30 (27.208 euro) e dagli over 54 (31.797 euro). Forti anche le differenze per cittadinanza: 27.162 euro per i lavoratori italiani, 16.358 per quelli extraUe.

Il lavoro invisibile: domestici e agricoltori

Nel 2023 sono stati censiti 834mila lavoratori domestici regolari, con una paga media settimanale di 185 euro. In agricoltura, i lavoratori regolari erano 991mila con una retribuzione media annua di 11.100 euro lordi. Un mondo spesso dimenticato, ma fondamentale per l’economia.

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Economia

Orcel (UniCredit): Napoli e il Sud hanno un potenziale enorme, la crescita parte da qui

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In un’intervista rilasciata al Mattino, l’Amministratore Delegato di UniCredit, Andrea Orcel, ha evidenziato il forte legame della banca con Napoli e con tutto il Mezzogiorno, sottolineando il dinamismo economico e le prospettive positive della regione.

Napoli, simbolo di un Sud in crescita

«Napoli rappresenta il simbolo di un Mezzogiorno che si muove rapidamente», ha dichiarato Orcel. «Da quando sono alla guida di UniCredit, ho notato una città profondamente cambiata e migliorata». Il manager ha ricordato gli investimenti significativi della banca nel Sud Italia, con oltre 1,9 miliardi di euro erogati nel 2024, di cui oltre un miliardo solo in Campania.

Il Sud come motore nazionale

Orcel concorda con il cambio di paradigma che vede il Mezzogiorno non più come periferia, ma come punto centrale nello sviluppo economico nazionale ed euromediterraneo. «Investimenti pubblici, grazie al Pnrr, e l’export trainato dall’agroalimentare stanno permettendo al Sud di crescere più velocemente rispetto al Nord», ha spiegato Orcel.

Il capitale umano, chiave della crescita

L’AD di UniCredit ha enfatizzato il ruolo decisivo del capitale umano del Sud, ricordando i dati positivi riguardanti start-up e innovazione: «Napoli è al terzo posto nazionale per start-up innovative. UniCredit Start Lab sostiene concretamente questo ecosistema innovativo da oltre dieci anni».

Sostegno alla cultura e al Teatro San Carlo

UniCredit conferma inoltre il suo impegno verso il Teatro di San Carlo, considerato un simbolo culturale e sociale per Napoli e l’Italia. «Continueremo a sostenere il Teatro e le sue attività di rigenerazione urbana e sociale, fondamentali per la città», ha detto Orcel.

Accordo strategico con Cassa Depositi e Prestiti

Orcel ha parlato dell’importante accordo con Cassa Depositi e Prestiti, sottolineando l’obiettivo di rafforzare la competitività delle PMI, specialmente del Sud: «Abbiamo previsto finanziamenti per 800 milioni di euro per sostenere lo sviluppo delle imprese meridionali».

Il ruolo di Pnrr e Zes unica

Secondo Orcel, l’effettivo utilizzo delle risorse del Pnrr e della Zes unica sarà determinante per ridurre il divario territoriale. «Nei primi mesi del 2025, abbiamo già erogato 2,8 miliardi di euro alle PMI italiane. Il Mezzogiorno può davvero essere trainante per la ripresa economica del Paese», ha concluso.

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Economia

Pirelli tra le norme Usa e il nodo del socio cinese

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Un socio di maggioranza relativa cinese, in un momento di guerra commerciale con gli Usa che non risparmia colpi e che mette nel mirino le auto è una zavorra per Pirelli. La società, già fra quelle impattate dai dazi americani, è ora chiamata direttamente in causa dalla nuova normativa Usa che colpisce il comparto auto e i suoi fornitori, vietando la vendita o l’importazione di veicoli connessi che utilizzano hardware o software di aziende legate alla Cina o alla Russia.

Il cda di mercoledì sul bilancio 2024 avrà sul tavolo anche questo tema e i manager sono già al lavoro su possibili soluzioni, intanto in Borsa subisce un piccolo contraccolpo (-2,5% a 5,75 euro). In difesa delle strategie di sviluppo del gruppo, che sugli Usa sta puntando in quanto il maggior mercato per i veicoli di alto di gamma e i Suv, un’ipotesi è quella di dare una nuova governance della società (con più paletti per Sinochem) oppure un rimpasto nell’azionariato. “Anche se la nuova normativa statunitense non ha un impatto significativo a breve termine sulle vendite di Pirelli, riteniamo che questa legge possa costringere i due principali azionisti di Pirelli a trovare una soluzione in termini di governance” commentano gli analisti di Mediobanca. Per il gruppo milanese sarebbero infatti a rischio i piani di sviluppo del Cybertyre, il sistema hardware e software che consente il dialogo fra gli pneumatici e i sistemi di controllo dell’auto. Per ora, va però sottolineato, si tratta di un business che vale poco meno dell’1% per il gruppo milanese e, prudenzialmente, non è neppure considerato nei target del piano industriale.

Da Pirelli fanno sapere che “la società si adeguerà alle leggi come ha fatto e fa in ogni Paese in cui opera”. “Stiamo valutando significativi investimenti negli Stati Uniti per aumentare la capacità produttiva, possiamo fare leva sulla nostra leadership nella tecnologia, innovazione e nei pneumatici connessi, nei prodotti eco-safety nonché sul nostro brand iconico, grazie anche alla nostra partecipazione nella F1” aveva spiegato il vice presidente esecutivo di Pirelli Marco Tronchetti Provera presentando i conti preliminari. Gli Stati Uniti “generano oltre il 20% dei ricavi di gruppo ma la nostra produzione negli Stati Uniti è ridotta” aveva precisato il ceo Andrea Casaluci.

Lo stabilimento in Georgia di Pirelli ha “il più alto grado di automazione con una capacità di circa 400.000 pneumatici high-tech all’anno, per coprire la domanda più del 50% arriva dal Messico e circa il 40% dal Brasile e dall’Europa”. La dimensione del mercato globale delle auto connesse è stata valutata in 96,2 miliardi di dollari nel 2024 da Imarc Group, società di ricerca internazionale e “raggiungerà i 284 miliardi di dollari entro il 2033, con una crescita media annua del 12,8%”. Il Nord America domina attualmente il mercato, con una quota di oltre il 39,8% nel 2024.

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