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Da Fmi a Moody’s a Bankitalia, tutti vogliono scrivere la manovra al Governo. Di Maio e Salvini: l’Italia crescerà

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L’Ufficio parlamentare di Bilancio, autorità indipendente di controllo sui conti pubblici, boccia la manovra. Perché le stime sui conti sono “eccessivamente ottimistici”.  A Bankitalia non piace la manovra del Governo italiano perché allarma troppo i mercati internazionali. La Corte dei Conti dice che “i conti non tornano con il reddito di cittadinanza e l’abolizione della Fornero”. L’Istat, non boccia la manovra ma dice che se la fanno così com’è rischia di far girare in negativo il poco di crescita economica in atto. Il Fondo Monetario internazionale con la signora Cristine Lagarde consiglia di non fare una manovra per abolire Job Act e Legge Fornero. Emmanuel Macron, il presidente francese, non vuole che “i populisti al Governo in Italia” sciupino i conti pubblici italiani (non quelli francesi) per aiutare gli italiani che non ce la fanno a campare varando il reddito di cittadinanza. Moody’s e Standard & Poors, le agenzie di rating, fanno sapere che c’è possibilità di declassamento del debito italiano con la manovra che il Parlamento si appresta a varare.

Giovanni Tria. Il ministro dell’Economia pensa ancora a cambiare la manovra economica

Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis e il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici chiedono “alle autorità italiane di assicurare che la manovra sia in linea con le regole fiscali comuni” e dunque “il Governo non deve sforare il rapporto deficit/Pil oltre l’1,6 per cento”.  Il ministro delle Finanze austriaco, Hartwig Loeger, chiede al governo italiano di rivedere la manovra e di non fare altro deficit perchè “l’Eurogruppo è un’Unione monetaria e dobbiamo risolvere insieme la situazione della stabilità”. Il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, dice che bisogna essere molto rigidi con l’Italia altrimenti “dopo aver superato la crisi greca, ricadiamo nella stessa crisi con l’Italia”. Il governo tedesco ritiene che sia importante rispettare il patto di stabilità e crescita che disciplina le regole sui bilanci dei paesi della Ue per assicurare uno sviluppo economico sostenibile. Tradotto: non fate deficit perchè ve la facciamo pagare.  Il ministro degli Esteri lussemburghese, Jean Asselborn, dice che non capisce (e forse ne ha qualche ragione) le politiche dei condoni fiscali in italia. E lo dice dall’alto del Granducato paradiso fiscale.

Ora, si può capire che Maurizio Martina, segretario del Pd, possa avere altre ricette di politica economica per l’Italia. Si può capire che Matteo Renzi avrebbe preferito continuare col reddito di inclusione piuttosto che il reddito di cittadinanza. Si può capire pure che Forza Italia se ne frega della pace ma vorrebbe il condono fiscale. Ma tutti questi ministri, commissari, portavoce o presidenti eletti in altri Paesi o nominati da chissà chi, a che titolo intervengono nel dibattito interno dell’Italia? A parte lo scopo dichiarato di aizzare gli speculatori internazionali che comprando debito pubblico italiano hanno interesse a che i tassi di interessi aumentino e per far apparire il Paese sull’orlo del fallimento.  Davanti a questo fuoco di fila di critiche che arrivano da istituzioni finanziarie straniere e da paesi esteri oltre che da istituzioni italiane che dovrebbero fare altro e non politica, i due vicepremier, rispondono assieme in una conferenza stampa improvvisata sotto Palazzo Chigi. “Gli italiani ci chiedono meno tasse e più lavoro, noi questo facciamo. Non abbiamo intenzione di fare nessun regalo a chi vuole un Italia in ginocchio. Tiriamo orgogliosamente dritto. Noi andiamo avanti e vi dirò di più: noi cresceremo anche più del 2% non dell’1,5%” dice  Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell’interno. Luigi di Maio, vicepremier e ministro del lavoro e sviluppo economico, ancora più netto: “Penso che i mercati vogliano molto più bene all’Italia di tanti euroburocrati. Non credo che l’Italia sia a rischio dal punto di vista finanziario.” E a Bankitalia, Di Maio, dà una risposta diretta. Anzi un messaggio postato su Fb. “Se Bankitalia vuol un governo che non tocca la Fornero, la prossima volta si presenti alle elezioni…”.

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Esteri

Trump apre alla Cina, pronto a ridurre i dazi

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Donald Trump apre alla Cina di Xi Jinping. Assicurando che sarà “molto gentile” durante i colloqui commerciali, il presidente americano aleggia la possibilità di una riduzione sostanziale dei dazi. Una prova di disgelo che fa volare le borse ed è accolta positivamente da Pechino: la porta delle trattative “è spalancata”. Al momento non c’è però alcun colloquio in corso fra le due superpotenze economiche. Washington “non ha ancora” parlato con la Cina di dazi, ha detto il segretario al Tesoro Scott Bessent, a cui Trump ha affidato il dossier commerciale. Parlando di livelli tariffari “insostenibili” fra i due Paesi, Bessent ha messo in evidenza la necessità di una “de-esclation” per poter iniziare un confronto chiaro e costruttivo. In quest’ottica si inseriscono le ipotesi allo studio della Casa Bianca per un taglio sostanziale delle tariffe alla Cina, attualmente al 145%, per allentare la tensione.

I dazi – secondo le indiscrezioni del Wall Street Journal – potrebbero calare in una forchetta fra il 50 e il 65%, venendo quindi più che dimezzati. Un’altra opzione al vaglio è quella di un un approccio a più livelli, con dazi al 35% sui beni Made in China non ritenuti una minaccia alla sicurezza e al 100% per i prodotti invece considerati strategici per gli interessi americani. Nessuna decisione definitiva è stata comunque ancora presa dal presidente. E Bessent ha assicurato che non c’è o ci sarà una riduzione unilaterale: “Come ho detto molte volte, non credo che nessuna delle due parti”, ovvero Washington e Pechino, “creda che gli attuali livelli tariffari siano sostenibili, quindi non sarei sorpreso se diminuissero in modo reciproco”. I toni ammorbiditi di Trump nei confronti della Cina rassicurano i mercati finanziari. Le borse del Vecchio Continente chiudono tutte in positivo, con Francoforte che sale del 3,14% e Milano dell’1,42% . Avanza decisa anche Wall Street, rassicurata anche dal chiarimento di Trump sul presidente della Fed.

“Non ho alcuna intenzione” di rimuoverlo, ha detto il tycoon. Le piazze finanziarie vedono in quella che ritengono “un’inversione a U” del presidente sulla Cina e su Jerome Powell una riduzione dell’incertezza e una possibile soluzione a una guerra commerciale dall’impatto globale. Pur escludendo una recessione, il Fondo Monetario Internazionale ha infatti rivisto al ribasso le stime di crescita mondiali per le tariffe e messo in guardia sui rischi al ribasso che gravano sull’economia. I dazi sono uno dei temi sul tavolo del G20 dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali riuniti a Washington a margine dei lavori del Fondo. La partita fra gli Stati Uniti e la Cina si gioca mentre la Casa Bianca continua il dialogo con l’Unione Europea. Dei primi contatti fra Trump e la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen potrebbero esserci sabato, quando i due leader saranno a Roma per i funerali di papa Francesco. Un’occasione quantomeno per una stretta di mano, se non per brevi colloqui distensivi o per fissare la data di un incontro ufficiale magari fra maggio e giugno, arco temporale che consentirebbe di continuare a lavorare per centrare almeno una cornice di accordo commerciale.

L’Ue continua a sperare di poter raggiungere un’intesa ma si prepara al peggio e, in un assaggio del bazooka che potrebbe usare contro gli Stati Uniti di Trump, ha multato Apple per 500 milioni di euro e Meta per 200 milioni per violazioni del regolamento sui mercati digitali Dma. Una mossa che appare come un avvertimento al presidente americano, che da mesi critica il pungo duro europeo contro Big Tech e si è spinto fino a definire ‘dazi’ le multe inflitte. Trump ha fatto della difesa della Silicon Valley dagli attacchi europei una priorità visti anche i suoi rapporti sempre più stretti con i miliardari tech. Mark Zuckerberg di Meta e Tim Cook di Apple erano alla cerimonia del suo giuramento e hanno contribuito a finanziarlo. La loro speranza ora è che il presidente possa aiutarli nella loro battaglia.

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Cronache

Frode e riciclaggio, Gdf Piacenza sequestra beni per 20 milioni

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La Guardia di Finanza di Piacenza su delega e con il coordinamento della Procura Europea – Ufficio di Napoli e Bologna, ha sequestrato, in via preventiva, immobili, terreni, società, quote societarie, autovetture di lusso, conti correnti e liquidità per un valore di oltre 20 milioni a seguito di una indagine che ha fatto emergere la commercializzazione illecita di prodotti energetici, frode all’Iva e riciclaggio.

Nel dettaglio, le Fiamme Gialle hanno posto sotto sequestro uno stabilimento balneare, situato in una nota ed esclusiva località turistica ligure; 6 immobili di pregio situati nella provincia di Piacenza; 66 tra fabbricati, capannoni e pertinenze oltre a 77 terreni, ubicati nel Piacentino, in provincia di Milano, Brindisi, Novara, Cuneo, Alessandria, oltre al comune di Chiavari, di 8 società, con sede a Piacenza e Milano, relative quote societarie; 9 autovetture, di cui 6 di lusso (una Ferrari 488, una Porsche 911 Carrera 4, due Porsche Macan, un’Audi Rsq8, un’Audi Q3); 3 motocicli, conti correnti e liquidità formalmente intestati a familiari e persone di fiducia ma risultati e nella piena e diretta disponibilità di un residente nel Piacentino, accusato di associazione per delinquere, frode all’Iva e riciclaggio, connessi alla commercializzazione illecita di prodotti energetici e petroliferi nel territorio nazionale.

L’indagine, si incardina in un contesto investigativo, coordinato dalla Procura Europea e condotto congiuntamente dai Nuclei di Polizia Economico – Finanziaria di Roma, Napoli e Verbania, che ha consentito, nel marzo del 2024, di smantellare un sodalizio criminale, composto da 59 soggetti e 13 imprese, con ramificazioni in Italia e all’estero, dedito alla commercializzazione illecita nel territorio nazionale di prodotti energetici di provenienza straniera, in completa evasione di accisa e Iva, attraverso l’esecuzione di 8 misure cautelari personali nei confronti dei vertici dell’associazione. L’indagine dei finanziari piacentini ha consentito di segnalare all’autorità giudiziaria 7 soggetti ritenuti responsabili di episodi di intestazione fraudolenta di valori oltre che per riciclaggio e di ricostruire il patrimonio mobiliare e immobiliare, distribuito prevalentemente nella provincia piacentina oltre che in Lombardia, Liguria, Piemonte e Puglia, detenuto, direttamente o indirettamente, dal principale soggetto indagato, anche attraverso la schermatura e l’interposizione fittizia dei familiari e di persone di fiducia.

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Esteri

Musk lascia il Doge, ‘missione conclusa’. Tesla brinda

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Era nell’aria da qualche settimana ma adesso c’è l’annuncio ufficiale. Da maggio Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo entrato a gamba tesa nell’amministrazione di Donald Trump, lascerà la guida del dipartimento creato su misura per lui e si concentrerà sulla Tesla, la sua prima creatura che ha avuto un crollo in borsa negli ultimi mesi. “Probabilmente il mese prossimo, il tempo che dedicherò al Doge diminuirà significativamente”, ha dichiarato il ‘first buddy’ in una conference call con gli azionisti. Da quando il suo fondatore è sceso in campo con il suo programma di mega tagli al governo ha scatenato proteste e ritorsioni in tutti gli Stati Uniti e la casa automobilistica ha registrato un calo del 20% nelle vendite di nel primo trimestre, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre gli utili sono scesi di oltre il 70%.

Alla notizia del passo indietro di Musk, Tesla è immediatamente salita del 3,94% nelle contrattazioni after hours a Wall Street e ha continuato ad avere un andamento positivo per tutta la giornata successiva. I dipendenti pubblici a tempo determinato, come Musk, possono di solito lavorare 130 giorni all’anno, periodo che per lui scadrà alla fine del mese prossimo. Tuttavia non è ancora chiaro quando si dimetterà definitivamente. Il miliardario, che ha sborsato oltre 270 milioni per la campagna di Trump ha spiegato che il lavoro del dipartimento per l’efficienza energetica è “quasi completo” ed ha assciurato che continuerà a lavorare con il team del Doge “per assicurarmi che sprechi e frodi non si verifichino più”. “Un giorno o due a settimana.

Finché il presidente lo vorrà”, ha precisato. Musk aveva promesso durante la campagna elettorale di tagliare “almeno” 2.000 miliardi di dollari dal bilancio federale annuale, ma secondo un indicatore di Brookings Institution la spesa pubblica complessiva nell’anno solare 2025 è leggermente superiore ai livelli del 2024, anche se l’effetto Doge è chiaramente visibile su agenzie più piccole come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale. C’è anche da chiedersi, a questo punto, cosa accadrà al dipartimento che il patron di SpaceX ha modellato a sua immagine e somiglianza assumendo nerd giovanissimi e super intelligenti per cancellare migliaia di posti di lavoro e costi ritenuti superflui secondo i loro complicatissimi calcoli.

Non c’è solo crollo di Tesla dietro le ragioni del passo indietro di Musk. Secondo il Washington Post il miliardario è stanco di dover affrontare quella che considera una serie di attacchi sgradevoli e immorali da parte dei democratici e i dissapori con alcuni membri dell’amministrazione stanno diventando insostenibili. Lo scontro si è inasprito nelle ultime settimane soprattutto con il consigliere economico del presidente, Peter Navarro, l’architetto della politica dei dazi che alla lunga potrebbero danneggiare anche Tesla. Solo qualche settimana fa Musk lo ha definito “un idiota”, dopo che l’altro lo aveva liquidato come “un assemblatore di auto”, con pezzi che arrivano dal Giappone e dalla Cina, e non un produttore. E anche con lo stesso Donald negli ultimi tempi, Elon si è scontrato. Come quando ha cercato di convincerlo ad adottare una linea più morbida sulle tariffe comprese quelli contro la Cina.

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