“Presenterò un esposto denuncia al procuratore di Parma, firmato dalla moglie di Raffaele Cutolo, Immacolata Iacone, affinché la Procura di Parma valuti se sono stati consumati, come io credo, dei reati nella gestione della vicenda successiva alla morte di Cutolo”. Lo ha annunciato Gaetano Aufiero, avvocato del boss della Nco Raffaele Cutolo e dei suoi familiari, intervenuto a Cusano Italia Tv. “Due giorni dopo la morte di Cutolo – ha spiegato l’avvocato Aufiero – il magistrato di Parma titolare, che ha disposto l’autopsia sul corpo dell’ex boss, ha individuato i criteri per consentire alla moglie di Cutolo e alla figlia 13enne Denise di porgere l’estremo saluto al congiunto, e ha disposto che le due donne non si avvicinassero alla salma, che non potessero porre sulla salma alcun oggetto, non un fiore, non una corona, non un’immagine sacra, e che la visita fosse realizzata a distanza e alla presenza di più operatori delle forze dell’ordine. La visita di moglie e figlia al defunto è durata solo 5 minuti. Ci sarà un esposto e la competente autorità giudiziaria valuterà se questo è giusto e legittimo. Io trovo tutto ciò abnorme e irragionevole”. Aufiero ha spiegato di avere inoltre “grandissime riserve, per usare un termine eufemistico, sulle eccezionali misure disposte per tumulare il corpo di Cutolo. Un corteo di auto di Polizia e Carabinieri partito da Parma per raggiungere in piena notte il cimitero di Ottaviano, circa 200 uomini impegnati per 700 chilometri: una vera e propria scorta. Gli sono stati negati i funerali pubblici, secondo me giustamente, ma arrivo a essere d’accordo con chi ironicamente dice che alla fine a Cutolo sono stati fatti funerali di Stato. Senza dimenticare la velocissima sepoltura durata pochi minuti alla presenza di una decina di persone vicine alla famiglia. Addirittura il sacerdote che ha officiato quella breve cerimonia è stato prelevato presso la sua abitazione e portato pochi minuti prima al cimitero di Ottaviano. Tutto questo era proprio necessario? Anche perché come eco ha avuto l’effetto contrario rispetto a quello che magari lo Stato avrebbe voluto avere”
Minaccia, violenza privata e abuso d’ufficio. Questi i reati ipotizzati nell’esposto-denuncia presentato al procuratore di Parma da Immacolata Iacone, moglie di Raffaele Cutolo, boss della Nuova Camorra Organizzata detenuto al 41 bis e morto a 79 anni lo scorso 17 febbraio all’ospedale di Parma, dove era ricoverato. Nell’esposto-denuncia, Iacone ricostruisce quanto avvenuto dopo la morte di Cutolo e quelle che a suo dire sono le limitazioni subite da chi ha impedito a lei e alla figlia 13enne “di porgere in maniera adeguata e conforme alle legittime esigenze di persone professanti la religione cristiana l’ultimo saluto al proprio caro”. Iacone ricorda di essersi recata a Parma giovedì 18 febbraio e di aver atteso tutto il giorno che fosse concessa a lei e alla figlia la possibilità di porgere l’ultimo saluto alla salma del proprio caro, possibilità concessa dal pm ma con l’autorizzazione di “una brevissima visita alla salma” solo “la mattina di sabato”, due giorni dopo la morte del marito, e “nelle fasi immediatamente preliminari alle operazioni di autopsia”.
L’autorizzazione da parte del pm conteneva “limiti di carattere temporale” e “recava delle prescrizioni circa le modalità di effettuazione che rappresentavano veri e propri limiti alla libertà personale e di autodeterminazione della scrivente e della propria figlia nell’esercizio del proprio legittimo diritto di familiari di rendere adeguatamente, in conformità alle regole e alle consuetudini della religione cristiana, l’ultimo saluto al proprio caro defunto”. La visita, si legge nell’esposto-denuncia, è avvenuta “a distanza e in presenza di più operatori di polizia giudiziaria”, senza la possibilità di “alcun contatto fisico con la salma” e con il divieto di “prelevare o poggiare alcunché sulla salma. In verità – scrive Iacone – più che far visita a un defunto, io e mia figlia siamo state costrette a guardare a distanza il nostro caro, in tal modo non potendo esercitare liberamente il proprio diritto di familiari superstiti”.
Iacone chiede quindi “di verificare” se “la condotta” del pm “può configurare il delitto di violenza privata ed eventualmente quello di abuso d’ufficio”. La situazione, secondo Iacone, “non è migliorata dopo l’autopsia”. Nonostante il provvedimento emesso dal pm di Parma con il quale comunicava il “nulla osta alla consegna ai familiari del cadavere di Cutolo”, Iacone riferisce che “gli agenti di polizia giudiziaria presenti presso l’ospedale di Parma, di cui si chiede l’identificazione, neanche consentivano alla scrivente e alla propria figlia di avvicinarsi, toccare, accarezzare, baciare il corpo del proprio congiunto o di apporre sul medesimo quantomeno un’immagine sacra, ancora una volta limitando la libertà personale, consentendo solo di guardare, a distanza e per pochi minuti, il cadavere prima che venisse definitivamente riposto e sigillato all’interno della bara”. Secondo la moglie di Raffaele Cutolo gli agenti “si rendevano autori di violenza privata e di abuso d’ufficio, poiché l’esercizio del potere sfuggiva a qualsivoglia disposizione di legge”. L’atto è stato rimesso anche al Consiglio superiore della Magistratura “al fine di verificare, in relazione all’operato del pm, la sussistenza altresì di condotte rilevanti dal punto di vista disciplinare”.
Alla centrale operativa della Compagnia Carabinieri di Giugliano in Campania arrivano diverse segnalazioni ma il messaggio è sostanzialmente lo stesso: “C’è una persona che sta passeggiando sull’Asse Mediano, sembra spaesato”.
I militari della sezione radiomobile della compagnia di Giugliano raggiungono in pochi minuti l’asse mediano. Ogni minuto può essere prezioso e la Gazzella dell’Arma percorre la strada – nota per essere percorsa ad alta velocità – in direzione Giugliano centro.
Ad un tratto compare l’uomo che vaga sulla corsia di soprasso contro le auto che sfrecciano. Lampeggianti accesi e segnalazione sul tetto dell’auto con l’avvertimento di rallentare e i carabinieri scendono dalla gazzella. Pochi secondi e l’uomo – visibilmente disorientato – viene messo in auto tra il vento, la pioggia e le auto. L’uomo, un 80enne del posto, è stato affidato ai medici del 118 e fortunatamente sta bene. I carabinieri successivamente constateranno che l’anziano si era allontanato poco prima da una casa albergo per anziani.
Una scossa di terremoto che ha avuto magnitudo 4.1, ipocentro a 10 chilometri di profondità ed epicentro a 5 chilometri dai comuni di Socchieve (Udine) e di Tramonti di Sopra (Pordenone) è stata registrata alle 22.19. Il terremoto è stato avvertito chiaramente in tutta la regione, da Pordenone a Udine, a Trieste. Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia la scossa avrebbe avuto l’epicentro a Socchieve (Udine), piccolo comune della Carnia, a una profondità di dieci chilometri. La spallata è stata avvertita nettamente – anche in Veneto, in Trentino Alto Adige e nelle confinanti Austria e Slovenia – e i centralini dei vigili del fuoco hanno ricevuto decine e decine di telefonate. Al momento non si registrano danni a persone o cose.
“Abbiamo sentito un botto tremendo e abbiamo avuto tanta paura”, poi “è mancata la luce per alcuni minuti”. Lo ha detto a Rainews24 Coriglio Zannier, sindaco di Socchieve, il comune più vicino all’epicentro della scossa di terremoto di magnitudo 4.5 avvertita questa sera in Friuli-Venezia Giulia. Come danni, ha detto il sindaco, si registra “qualche caduta di tegole”, ma ora “stiamo tornando alla normalità”.
La vita di un uomo qualunque. L’acquisto di un’auto, la fila in banca per ritirare un assegno, le polizze assicurative e i bolli meticolosamente pagati. E poi gli esami medici, il ricovero e l’intervento chirurgico ottenuti in tempi record (questo forse non proprio come un comune cittadino). Man mano che emergono nuovi particolari sulla latitanza trentennale di Matteo Messina Denaroil quadro si fa più inquietante e si confermano i primi sospetti: il boss più ricercato del Paese conduceva una esistenza ordinaria grazie a una fitta rete di complici.
Oggi i carabinieri del Ros, coordinati dalla Procura di Palermo, ne hanno arrestati altri tre: l’architetto Massimo Gentile, siciliano da anni residente a Limbiate, in provincia di Monza, dove si occupa di appalti per conto del Comune e dove ha gestito decine di opere finanziate dal Pnrr; suo cognato Cosimo Leone, tecnico radiologo all’ospedale di Mazara del Vallo e Leonardo Gulotta. Salgono dunque a 14 i fiancheggiatori del capomafia finiti in cella dal 16 gennaio scorso, quando un blitz dei Carabinieri mise fine alla sua latitanza.
Da allora i militari con un paziente lavoro hanno tentato di ricostruire la vita alla macchia del boss. E stavolta hanno scoperto che a novembre del 2014 Messina Denaro andò personalmente da un concessionario auto di Palermo per acquistare una Fiat 500 e poi in banca a ritirare l’assegno da consegnare al rivenditore. Il boss usò una falsa carta di identità intestata all’architetto Massimo Gentile e indicò come numero telefonico di riferimento per eventuali comunicazioni quello di Leonardo Gulotta. L’input all’ultima indagine deriva da un appunto trovato in casa del boss.
La caccia al veicolo ha portato i carabinieri alla concessionaria dove è stata trovata la pratica dell’acquisto della macchina con i documenti consegnati dall’acquirente, tra i quali la fotocopia della carta d’identità su cui era stata incollata la foto di Messina Denaro. Il documento, che portava la firma dal padrino, conteneva alcuni dati corrispondenti a quelli di Gentile e altri falsi: come l’indirizzo di residenza indicato in “via Bono”. Per l’acquisito il capomafia ha versato mille euro in contanti e 9.000 attraverso un assegno circolare emesso dalla filiale di Palermo dell’Unicredit di corso Calatafimi.
Allo sportello, per ottenere l’assegno, ha esibito il falso documento, versato euro 9.000 cash e dichiarato che il Denaro era frutto della propria attività di commerciante di vestiti. Come recapito telefonico per le comunicazioni ancora una volta il boss ha lasciato il cellulare di Gulotta. L’auto è stata assicurata a nome di Gentile e in almeno un anno le polizze, come hanno mostrato le comparazioni grafiche, hanno portato la firma di Messina Denaro. Dalle indagini è emerso anche che nel 2007 l’architetto ha acquistato per conto del mafioso una moto Bmw che sarà poi lo stesso Gentile a portare alla demolizione in una officina a cui si fa riferimento in un pizzino nascosto in una sedia, trovato a casa della sorella di Messina Denaro, Rosalia.
I bolli di moto e auto nel 2016 sono stati pagati l’uno a 40 secondi dall’altro in una tabaccheria di Campobello di Mazara dove, sette anni dopo, pochi giorni prima dell’arresto, il capomafia era andato a fare acquisti, come dimostra uno scontrino ritrovato dal Ros. Poi c’è il fronte sanitario, tutto ancora da scandagliare. Al momento è emerso che il latitante ha potuto godere di aiuti importanti come quello ricevuto da Cosimo Leone, che si sarebbe occupato di far fare una Tac urgente al capomafia (Tac, come risulta da documenti sanitari, anticipata più volte).
Secondo gli investigatori, inoltre, Leone avrebbe costantemente informato dello stato del paziente un altro fiancheggiatore, Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato al boss l’identità per farsi curare. Sono decine i contatti telefonici tra i due nei giorni in cui il capomafia si trovava all’ospedale di Mazara scoperti dai carabinieri. E dalle analisi dei tabulati risulta evidente che Bonafede fece avere al boss un cellulare mentre questi era ricoverato.