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Cuoca in un centro di accoglienza pagava ragazzini migranti come baby gigolò per fare sesso, è accusata di pedofilia

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L’accusa è grave. Si portava in albergo minorenni stranieri e senza genitori per fare sesso. La storia  choc é nelle mani dei pm di piazzale Clodio. Una trentaquattrenne ciociara, dipendente in un centro di accoglienza per minori, per mesi avrebbe approfittato sessualmente di alcuni ospiti, portandoli anche a letto in stanze a pagamento. Quelli con cui avrebbe fatto sesso, pagando, sarebbero minorenni.  Lei, 34 anni, cuoca della struttura per minori accolti, e loro ragazzini tra i 14 e i 17 anni con un futuro incerto, sbarcati qualche tempo prima a Roma e trasferiti a Sant’Ambrogio sul Garigliano. Al palazzo di giustizia di Roma ora la donna accusata di pedofilia per i presunti rapporti con infra 14enni, dovrà affrontare le accuse e probabilmente anche un processo per induzione alla prostituzione minorile. Gli adolescenti abbindolati – tre quelli accertati – avevano accettato regali, per lo più pochi soldi, vestiti e vecchi telefonini, rendendosi, di fronte alla legge, dei baby gigolò.

A far scoperchiare il caso, tenuto finora riservato, un collega dell’imputata alla “La Casa di Tom”, una struttura convenzionata con dieci ospiti fino a quel momento ritenuti accuditi e controllati a vista. È l’estate 2015. L’operatore rivela subito alla direzione le confidenze di un ospite. «Ho una storia con una operatrice. Se non ci credi guarda la foto», si era quasi vantato Mohamed G., 16 anni, egiziano. Ma l’amore non era lo sfondo giusto. Se solo l’ultimo ospite raggirato avesse avuto meno di 14 anni per la donna il pm Antonio Calaresu, il magistrato titolare dell’inchiesta, avrebbe potuto contestare il reato di violenza sessuale su minori. La cuoca viene subito convocata dalla direzione. Ma non nega. La foto è inequivocabile. Non le resta che confermare. Racconta che la storia col ragazzino è cominciata da un mese, che non lo paga, e i regali sono solo gentilezze. Carinerie che scatenano l’inferno dentro il centro di accoglienza.

Anche gli altri ragazzini vorrebbero dei soldi in tasca, uno smartphone, e magari un paio di jeans di marca. E allora litigano. Scoppiano pure risse. La direttrice del centro sceglie subito la via della denuncia. “Solo dopo le rivelazioni dell’operatore – fa presente la donna – ho scoperto che il caso era di dominio pubblico tra gli ospiti, tanto da creare problemi di ordine pubblico per fortuna mai più esplosi». La cuoca si dimette subito. «Tolgo il disturbo», dice. Una bugia. Si saprà poi che gli incontri con Mohamed continueranno anche fuori. Possibilmente in albergo, dove lo portava pure in precedenza, anche di notte. Così alla responsabile della struttura non resterà altro da fare che allontanare l’adolescente e trasferirlo in un altro centro. Il trasferimento viene disposto nell’aprile del 2016. Quel giorno nella comunità circola un’altra voce. Altri due ragazzini, uno egiziano e uno tunisino di 14 e 17 anni, avrebbero ricevuto attenzioni della donna. «Ho saputo in quella circostanza – denuncia la direttrice – che non era la prima volta che si intratteneva sessualmente con gli ospiti della comunità». «In particolare mi veniva riferito, come peraltro confermato da una foto girata su WhatsApp e scattata presumibilmente in un albergo – chiarisce – che la stessa aveva avuto intimità con un altro ospite, un ragazzo egiziano nato nel 1997 ospite nella nostra struttura fino a febbraio 2015».

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Napoli, sequestrata nave turca con grano ucraino: conteneva sigarette di contrabbando

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Nave carica di mais e grano ucraino e sigarette di contrabbando. Carabinieri arrestano 4 persone, anche il comandante del cargo

Si tratta di una nave turca, battente bandiera panamense, dove i carabinieri della sezione operativa e radiomobile di Castellammare di Stabia hanno trovato migliaia di pacchetti di sigarette di contrabbando. Proveniente dall’Ucraina con un carico di mais e grano e attraccata nel porto di Torre Annunziata, l’imbarcazione nascondeva nella stiva circa 7000 pacchetti di sigarette di origini serbe ma destinate verosimilmente al mercato nero napoletano.

In manette il comandante della nave, un 39enne siriano di Tartus e 3 oplontini di 68, 57 e 58 anni. Questi ultimi avevano appena prelevato 500 stecche del carico (5000 pacchetti) e li avevano stipati in un’auto. Sono stati arrestati per contrabbando di tabacchi esteri.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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