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Politica

Csm verso voto contrario alla separazione delle carriere

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La separazione delle carriere “non trova riscontro nella giurisprudenza costituzionale”, non si comprende in che modo “possa contribuire a migliorare qualità ed efficienza della giurisdizione” e comporta una serie di conseguenze pratiche che andranno affrontate. E’ quanto in sintesi afferma una delle mozioni – votata da tutti i togati e qualche laico – della Commissione del Csm che domani andrà all’esame del plenum e che sarà probabilmente votata. L’altro parere, secondo il quale la separazione non comporta “alcun rischio”, ha ricevuto un solo voto in commissione.

“L’impostazione della questione unicità/separazione delle carriere… non sembra trovare riscontro nella giurisprudenza costituzionale e sembra di poter dire che anche il legislatore ordinario abbia sin qui condiviso l’impostazione della Consulta”, scrivono i membri del consiglio del Csm, secondo i quali, con la riforma, esistono “rischi di veicolare l’idea per cui la magistratura giudicante presenta, oggi, deficit di terzietà e di imparzialità: un’idea che, tuttavia, non sembra trovare riscontro nell’esperienza concreta solo che si pensi che, come da più parti osservato, in più del 40% dei casi le decisioni giudiziarie non confermano l’ipotesi formulata dalla pubblica accusa con l’esercizio dell’azione penale”.

Nel parere poi si evidenzia che le medesime ragioni che giustificano la separazione tra giudici e pubblici ministeri dovrebbero valere anche nell’ambito della giustizia militare e contabile. Per quanto riguarda invece il ‘miglioramento della qualità della giurisdizione’, la relazione illustrativa, sostengono i componenti del Csm nel parere “non fornisce elementi utili a chiarire in che termini la separazione delle carriere possa contribuire al perseguimento del condivisibile scopo di migliorare non solo la qualità ma anche l’efficienza della giurisdizione”.

E aggiungono che questo miglioramento “passa senza dubbio per un superamento delle persistenti criticità organizzative che caratterizzano il servizio giustizia, dal fronte delle carenze degli organici del personale amministrativo e magistruale a quello delle difficoltà insite nel cammino di informatizzazione delle procedure e degli uffici giudiziari”. Infine, nella mozione, si illustrano una serie di “nodi problematici” che l’eventuale approvazione della riforma “renderà con certezza necessario sciogliere”. E si prendono in considerazione alcuni degli “effetti sistemici” che potrebbero derivare dal rinnovato assetto costituzionale della magistratura. Gli “aspetti problematici da valutare” riguardano la “riscrittura della normativa primaria in tema di ordinamento giudiziario”, l’accesso alla magistratura, con la integrale rivisitazione della disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura, il collocamento fuori ruolo, le valutazioni di professionalità ed il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, le conseguenze sul piano della composizione della Corte Costituzionale.

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Un italiano su quattro rischia povertà o esclusione

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Sempre più italiani a rischio povertà e salari sempre più bassi a causa dell’inflazione che erode il potere d’acquisto: la fotografia scattata dall’Istat sulle condizioni di vita e il reddito delle famiglie negli ultimi due anni non lascia spazio all’ottimismo. Anzi, certifica quel record negativo sulle retribuzioni, toccato dall’Italia nel G20, che l’Organizzazione internazionale del lavoro ha fatto emergere solo qualche giorno fa. Anche il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, torna a lanciare l’allarme sui salari e attacca Confindustria sui rinnovi contrattuali inadeguati e il governo che continua a non tassare la rendita.

E l’opposizione, dal Pd ai 5 Stelle, ne approfitta per accusare la premier Meloni e i suoi ministri di aver messo in campo politiche sociali fallimentari. Secondo l’Istat, nel 2024 la percentuale di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è salita al 23,1% dal 22,8% del 2023, per un totale di circa 13 milioni e 525 mila persone. Ovvero, quasi un italiano su quattro ha serie difficoltà a tirare avanti, pur lavorando. Dai dati emerge infatti che, se da una parte resta invariata la quota di individui a rischio di povertà (18,9%) e quella di chi è in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,6%), dall’altra preoccupa l’aumento da 8,9% a 9,2% di individui in famiglie a bassa intensità di lavoro.

Ovvero circa 3 milioni e 873 mila persone tra i 18 e i 64 anni che nel corso del 2023 hanno lavorato meno di un quinto del tempo. Una quota aumentata tra le persone sole con meno di 35 anni (15,9% rispetto al 14,1% del 2023) e, soprattutto, tra i monogenitori, che presentano una percentuale più che doppia rispetto alla media nazionale (19,5% contro il 15,2% del 2023). Inoltre, dall’analisi territoriale il Nord-est si conferma l’area con la minore incidenza di povertà o esclusione sociale (11,2%), mentre il Mezzogiorno rimane la zona più colpita, con il 39,2%. Ad aggravare il quadro c’è poi l’aspetto dei redditi. L’Istat segnala come il reddito medio delle famiglie italiane nel 2023 sia stato pari a 37.511 euro, con un aumento del 4,2% in termini nominali ma una riduzione dell’1,6% in termini reali. Questo significa che, nonostante gli incrementi apparenti, l’inflazione ha continuato ad erodere la capacità di spesa dei cittadini.

In questo caso il calo è particolarmente marcato nel Nord-est (-4,6%) e nel Centro (-2,7%), mentre il Mezzogiorno registra una lieve flessione (-0,6%) e il Nord-ovest addirittura un lieve incremento (+0,6%). “In Italia si è precari e si è poveri. Il governo continua a non tassare la rendita, i profitti, non prende i soldi dove ci sono”, ha detto Landini, sottolineando come la questione salariale sia fondamentale e Confindustria la stia affrontando nel modo sbagliato, senza tutelare davvero il potere d’acquisto.

Dal Pd la vicepresidente Chiara Gribaudo parla di “fallimento delle politiche economiche e sociali portate avanti da questa destra”, mentre per la vicepresidente del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino, la premier “ruba ai poveri per dare ai ricchi”. In sostanza, ricostruisce l’Istat, dalla grande crisi economica di quasi 20 anni fa i salari non si sono mai ripresi: dal 2007 a oggi, i redditi delle famiglie italiane sono diminuiti in media dell’8,7% in termini reali, con il Centro che ha subito la perdita più marcata (-13,2%).

Le più penalizzate sono state le famiglie la cui principale fonte di reddito è il lavoro autonomo, che hanno visto una contrazione del 17,5%, seguite da quelle che contano sul lavoro dipendente (-11%). Unico dato positivo è l’incremento del 5,5% per le famiglie che vivono principalmente di pensioni e trasferimenti pubblici. Un piccolo sollievo considerato che, stando ai dati Inps, il 53,5% delle pensioni private ha un importo inferiore a 750 euro, una percentuale che per le donne raggiunge il 64,1%.

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Bigliettopoli: Esposito, hanno distrutto azienda di Muttoni

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“Ci sono voluti cinque anni di processo per arrivare alla sentenza. Un maxi-processo chiamato Bigliettopoli con accuse di corruzione nei confronti, tra gli altri, del mio amico Giulio Muttoni. Gli hanno distrutto l’azienda lasciato senza lavoro decine di persone. Risultato? Assolto. Naturalmente non vi dico chi era il pm. Muttoni è stato intercettato 33.000 volte. 33.000! Mi fermo qui perché voglio godermi appieno questa giornata”. Lo scrive sui social l’ex senatore del Partito Democratico Stefano Esposito, commentando la sentenza del Tribunale di Torino, in cui è stato assolto l’imprenditore torinese Giulio Muttoni. L’ex politico alla lettura della sentenza si trovava in aula. Nell’inchiesta Bigliettopoli, titolare il pm Gianfranco Colace, era finito anche Esposito, la cui posizione però era stata archiviata dopo che la Consulta aveva dichiarato illegittime circa 500 intercettazioni a suo carico. Per questa vicenda alcuni giorni fa il Csm ha sanzionato Colace, con il passaggio alla funzione civile, trasferimento a Milano e perdita di un anno di anzianità.

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Guido Crosetto, ministro della Difesa: Io, ragazzo di provincia con la politica nel cuore

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Da imprenditore di macchine agricole, sulle orme del padre, a protagonista della scena politica italiana. Guido Crosetto, attuale ministro della Difesa, racconta così la sua storia nella recente autobiografia Storie di un ragazzo di provincia (Piemme), mettendo al centro il valore della politica «fatta di persone e per le persone».

Dagli esordi politici al ministero

Crosetto ha mosso i primi passi nella Democrazia Cristiana, diventando segretario regionale del movimento giovanile e responsabile nazionale della formazione. A soli 27 anni, nel 1990, è stato eletto sindaco di Marene, comune del cuneese, rimanendo in carica fino al 2004.

Nel 2001, il salto nel Parlamento con Forza Italia, dove Crosetto ha vissuto i momenti cruciali della recente storia politica: da Tangentopoli alla discesa in campo di Berlusconi, fino al governo Monti. Nel 2012 è co-fondatore di Fratelli d’Italia insieme a Giorgia Meloni, con cui lo lega un solido rapporto di amicizia e simpatia, nonostante le differenze fisiche («lei quando mi abbraccia mi cinge la pancia, più in alto non arriva», scherza).

Il pragmatismo contro l’ideologia

Crosetto non ha mai nascosto le sue convinzioni pragmatiche: «Mettere al primo posto il buon senso piuttosto che l’ideologia, il dialogo e la concretezza invece dell’appartenenza». Un approccio che lo ha portato spesso a scontrarsi con i meccanismi parlamentari, definiti da lui stesso come ridotti a un semplice «votificio», con deputati e senatori spesso inconsapevoli delle leggi votate, esclusa quella «sporca dozzina» realmente informata.

La denuncia dei poteri nascosti

Il ministro non ha esitato a denunciare apertamente i cosiddetti «mandarini», funzionari e burocrati «non eletti da nessuno» capaci di influenzare pesantemente la vita istituzionale italiana, rallentando o bloccando l’azione politica: «Sono loro che accelerano, rallentano, sbarrano la strada o rendono immutabile il lavoro legislativo ed esecutivo».

La scelta personale e il ritorno

Nel 2019 Crosetto decise di lasciare il Parlamento per dedicarsi alla famiglia, convinto di non poter svolgere il suo incarico come avrebbe voluto. Ma la politica lo ha richiamato: nel 2022 è tornato, assumendo il delicato ruolo di ministro della Difesa in un momento in cui il tema della sicurezza e del riarmo è drammaticamente attuale.

Crosetto, che con ironia ricorda Totò («fece il militare a Cuneo guadagnandosi il titolo di uomo di mondo»), oggi guarda al futuro con la consapevolezza che un «ragazzo di provincia» può davvero incidere sul destino del Paese.

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