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Crisi politica in Bangladesh, dimissioni e fuga della premier Sheikh Hasina sull’onda delle sanguinose proteste

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In un colpo di scena senza precedenti nella politica del Bangladesh, la premier Sheikh Hasina si è dimessa e ha lasciato il Paese. La notizia, che ha scosso il Paese già in subbuglio per le proteste studentesche anti-governative, è stata diffusa dal canale televisivo Channel 24. Secondo il giornale locale Prothom Alo, Hasina ha lasciato il Paese a bordo di un elicottero militare alle 14:30 ora locale, accompagnata dalla sorella minore Sheikh Rehana. La loro destinazione sarebbe l’India, nel Bengala Occidentale.

Le dimissioni di Sheikh Hasina giungono in un momento di grande instabilità politica, con il Bangladesh scosso da proteste di massa che si protraggono ormai da un mese. Gli studenti, in particolare, sono scesi in piazza in numeri sempre maggiori, chiedendo riforme e maggiore trasparenza nel governo.

Nonostante le notizie diffuse dai media locali, l’addetto stampa della premier, Naimul Islam Khan, non ha ancora confermato ufficialmente le informazioni relative alla fuga di Hasina. Tuttavia, la conferma è arrivata dal capo dell’esercito del Bangladesh, Waker-Uz-Zaman, che ha dichiarato in un discorso trasmesso alla nazione dalla televisione di Stato che Sheikh Hasina si è effettivamente dimessa.

“La premier Sheikh Hasina si è dimessa e noi formeremo un governo ad interim,” ha annunciato Waker-Uz-Zaman, segnando così l’inizio di una nuova fase politica per il Bangladesh. Il generale ha assicurato che l’esercito prenderà il controllo temporaneo della situazione per garantire stabilità e sicurezza nel Paese, promettendo un ritorno all’ordine in tempi brevi.

La fuga di Hasina e la formazione di un governo ad interim rappresentano un punto di svolta cruciale per il Bangladesh, che si trova ad affrontare una delle crisi politiche più gravi della sua storia recente. La situazione rimane tesa e in evoluzione, con molte incognite sul futuro politico del Paese.

Le proteste studentesche, iniziate come una risposta a episodi di corruzione e inefficienza governativa, si sono rapidamente ampliate, diventando una voce potente contro l’intera leadership politica. La partenza di Hasina potrebbe rappresentare una vittoria simbolica per i manifestanti, ma pone anche serie domande su come sarà gestita la transizione e su quali saranno i prossimi passi per ristabilire la normalità.

Nel frattempo, l’attenzione internazionale si rivolge al Bangladesh, con osservatori e analisti che monitorano attentamente gli sviluppi per comprendere le implicazioni a lungo termine di questa crisi. La comunità internazionale attende con ansia ulteriori aggiornamenti, mentre il popolo bengalese spera in una risoluzione pacifica e positiva del tumulto in corso.

In conclusione, le dimissioni e la fuga di Sheikh Hasina segnano un momento critico per il Bangladesh. La formazione di un governo ad interim da parte dell’esercito potrebbe stabilizzare temporaneamente la situazione, ma le sfide future restano molte e complesse. La speranza è che questa crisi possa portare a un cambiamento positivo e a una maggiore trasparenza e giustizia per tutti i cittadini del Bangladesh.

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Esteri

Hezbollah attacca in Galilea, Sinwar ringrazia Nasrallah

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Il centro del conflitto mediorientale, mentre a Gaza continua un’emergenza umanitaria senza precedenti, si sposta verso nord, con Israele che allarga sempre più il fronte verso Cisgiordania, Libano e Siria, e gli Hezbollah libanesi sono sempre più coinvolti nello scontro. L’aeronautica militare israeliana ha colpito oggi in modo massiccio vari obiettivi attribuiti agli Hezbollah in Libano (con almeno un morto e 7 feriti, tra cui 4 bambini secondo Beirut) e altri nel sud della Siria dove, secondo il New York Times, domenica scorsa Israele avrebbe usato anche forze speciali per distruggere un impianto per la produzione di missili di Hezbollah vicino al confine libanese, facendo vittime.

Venerdì mattina, in risposta all’attacco israeliano di ieri su Kfar Joz, nel sud del Libano e nel quale sono stati uccisi due combattenti di Hezbollah e un bambino, il movimento filoiraniano ha attaccato una base israeliana in Galilea. In una nota ha affermato di aver lanciato uno “sciame di droni” sulla base Filon a sud-est di Safed, che a loro dire ospita “il quartier generale della 210/a divisione” dell’esercito israeliano. Sostenendo peraltro di aver “causato vittime”, circostanza negata da Israele. Il capo di Hamas, Yahya Sinwar, ricercato numero uno di Israele, avrebbe inviato nei giorni scorsi al leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, una lettera di ringraziamento e di apprezzamento per il sostegno dato dall’organizzazione filoiraniana libanese dall’inizio della guerra contro Israele.

“La beata processione dei martiri – si legge nella missiva secondo i media israeliani, che citano l’emittente libanese filo-Hezbollah al-Mayadeen – crescerà in forza e in potenza nella lotta contro l’occupazione nazi-sionista”, avrebbe scritto il leader di Hamas, e s’impegna a combattere il “progetto sionista” insieme al resto del cosiddetto asse della resistenza anti-Israele “fino a quando l’occupazione non sarà sconfitta e spazzata via dalla nostra terra e il nostro Stato indipendente con piena sovranità non sarà stabilito con Gerusalemme come capitale”. Non si placano intanto gli attacchi israeliani in Cisgiordania, dove un cecchino avrebbe colpito un membro dello staff dell’Urwa, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi da tempo nel mirino di Israele che accusa la presenza tra le sue fila di affiliati di Hamas.

La Cisgiordania – ha denunciato l’agenzia, che intanto ha completato con grande fatica la prima fase di un programma antipolio tra i bambini di Gaza – “sta vivendo livelli di violenza senza precedenti, mettendo a rischio le comunità”. A Gaza, secondo l’agenzia palestinese Wafa, oggi sono morti almeno 6 civili in raid israeliani su Rafah e Nuseirat. Mentre a Istanbul è arrivata la salma dell’attivista turca-americana uccisa durante una protesta in Cisgiordania e domani si terranno i funerali.

A Tel Aviv intanto i parenti degli ostaggi continuano a reclamare un cessate il fuoco e la restituzione dei loro cari, mentre anche la Cina, con il ministro della Difesa Dong Jun, ha affermato che “i colloqui di pace e la soluzione politica sono l’unica soluzione” in Palestina come in Ucraina. Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha invece riunito alla Moncloa i ministri del Gruppo di contatto arabo-islamico per Gaza alla quale ha partecipato anche l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue uscente, Josep Borrell. “La comunità internazionale deve fare un passo decisivo verso una pace giusta e duratura in Medio Oriente”, ha detto Sanchez, basata sulla soluzione a due Stati. Il Cile infine si è associato all’iniziativa promossa dal Sud Africa contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia per presunto genocidio.

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Esteri

Usa, uccisi quattro leader dell’Isis in Iraq

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Gli Stati Uniti hanno ucciso quattro leader dell’Isis in Iraq alla fine di agosto. Lo afferma il Centcom. “Restiamo impegnati a una sconfitta duratura dell’Isis, che continua a minacciare gli Stati Uniti, i nostri alleati e partner e la stabilità regionale”, ha detto il generale Michael Erik Kurilla, capo del Centcom.

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Cronache

Messico, 15 morti per la guerra interna del cartello di Sinaloa

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Un totale di 14 fascicoli d’inchiesta aperti e 15 morti. È questo l’ultimo bilancio della violenta guerra iniziata lunedì tra i Chapitos e i Mayos, le due fazioni in cui si è spaccato il cartello di Sinaloa e facenti capo, rispettivamente, al “Chapo” Guzmán e al “Mayo” Zambada, entrambi detenuti negli Stati Uniti. A confermarlo ai media locali è stata la Procuratrice della Repubblica, Claudia Zulema Sánchez. “Da lunedì ad oggi sono stati registrati 15 omicidi”, ha dichiarato. Lo scorso 9 settembre, il governatore di Sinaloa Rocha Moya era stato costretto a sospendere le lezioni in tutte le scuole e università della capitale Culiacán e aveva chiesto rinforzi militari a Città del Messico per garantire la sicurezza dei cittadini. Oggi sono stati recuperati due cadaveri, uno dei quali decapitato e con segni di tortura in diverse parti del corpo nei pressi del Parco 87, una nota zona verde di Culiacán dotata di attrazioni tra cui scivoli, piscine e un ‘giardino della pace’.

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