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Crisi personale sanitario, persi 28 miliardi in 11 anni

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Una “crisi del personale sanitario senza precedenti” con una perdita nell’arco di 11 anni di 28 miliardi di euro nella spesa per i dipendenti mentre nel 2023 è raddoppiata quella per l’impiego dei gettonisti. E’ l’allarme lanciato dalla Fondazione Gimbe sulle carenze e le difficoltà che pesano sul Servizio sanitario nazionale, causate “da errori di programmazione, dal definanziamento e dalle recenti dinamiche che hanno alimentato demotivazione e disaffezione dei professionisti”.

E “senza un adeguato rilancio delle politiche per il personale sanitario – mette in guardia il presidente Nino Cartabellotta – l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni, rendendo impossibile garantire il diritto alla tutela della salute”. Da parte sua il ministro della Salute Orazio Schillaci ha ribadito che “i recenti interventi normativi hanno introdotto ulteriori molteplici e significative misure proprio con l’intento di rendere maggiormente attrattivo l’esercizio della professione nell’ambito del Ssn, con progressivo miglioramento della qualità e dell’efficienza del servizio offerto”. Sul fronte opposto i sindacati medici, che giudicano “insufficienti” le misure introdotte con la legge di Bilancio 2025 ed annunciano incontri a breve per “decidere insieme le modalità migliori per un’azione unitaria”.

Perchè il governo, afferma il segretario del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, “non può continuare a cavarsela con i proclami”. In questo quadro si inserisce la preoccupante fotografia scattata da Gimbe. Dal 2012 al 2023 il capitolo della spesa sanitaria relativo ai redditi da lavoro dipendente “è stato quello maggiormente sacrificato”, ha detto Cartabellotta durante un’audizione in Commissione Affari sociali alla Camera. In termini assoluti, dopo una progressiva riduzione da 36,4 miliardi di euro nel 2012 a 34,7 nel 2017, la spesa è risalita, segnando 40,1 miliardi nel 2023. Ma in termini percentuali sulla spesa sanitaria totale il trend segna “una lenta ma costante riduzione”: se infatti nel 2012 era il 33,5%, nel 2023 è scesa al 30,6%. Quindi, segnala Cartabellotta, se la spesa per il personale dipendente si fosse mantenuta ai livelli del 2012, quando cioè rappresentava circa un terzo di quella sanitaria totale, negli ultimi 11 anni il personale dipendente non avrebbe perso 28,1 miliardi, di cui 15 e mezzo solo tra il 2020 e il 2023, “un dato che evidenzia il sacrificio economico imposto ai professionisti del Sistema sanitario nazionale”.

Un altro aspetto critico evidenziato nell’analisi è l’impiego dei gettonisti nelle strutture italiane, sul quale il governo è intervenuto con alcune misure. “La carenza di personale sanitario unita all’impossibilità per le Regioni di aumentare la spesa per il personale dipendente a causa dei tetti di spesa, negli anni ha alimentato il fenomeno dei ‘gettonisti’ – spiega – ovvero medici e sanitari reclutati tramite agenzie e cooperative, con i relativi costi rendicontati come spese per beni e servizi”. Un fenomeno che secondo un report dell’Anac riportato da Gimbe, era già molto evidente nel 2019, con una spesa complessiva di 580 milioni, fino a raggiungere, nel solo periodo tra gennaio e agosto 2023, circa 476 milioni, cioè un valore doppio rispetto all’intero 2022. Dall’analisi emerge inoltre un “paradosso”: le Regioni in piano di rientro presentano una spesa media per il personale dipendente più alta delle altre.

Confrontando, per il 2022, le unità di personale dipendente con la spesa pubblica totale, quella per unità di personale a livello nazionale è di circa 57mila euro, “con tutte le Regioni in piano di rientro che mostrano paradossalmente valori superiori alla media nazionale”. “Senza il personale sanitario, il diritto alla tutela della salute è seriamente a rischio – è il commento di Guido Quici, presidente del sindacato Cimo-Fesmed – E senza una inversione di marcia per valorizzare i professionisti, il Servizio sanitario nazionale è destinato al fallimento”.

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Sinner parte forte alle Atp Finals di Torino: battuto Auger-Aliassime in due set

Esordio perfetto per Jannik Sinner alle Atp Finals di Torino. Il numero due al mondo batte Felix Auger-Aliassime in due set e apre nel migliore dei modi il torneo più prestigioso della stagione

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Parte con il piede giusto Jannik Sinner alle Atp Finals di Torino. Nel match d’esordio all’Inalpi Arena, il numero due del ranking mondiale ha superato Felix Auger-Aliassime (numero 8) con un netto 7-5 6-1, in un’ora e 40 minuti di gioco. Una prestazione solida e autoritaria, soprattutto nel secondo set, dopo un primo parziale combattuto in cui Sinner ha mostrato grande lucidità nei momenti decisivi.

Le parole di Sinner dopo il match

“Sono molto contento di rigiocare qua, è un torneo e un posto speciale. È un anno diverso, mi sono sentito abbastanza bene. Il primo set è stato molto tosto, poi lui ha avuto un piccolo problema fisico, però il livello era molto alto”, ha dichiarato Sinner subito dopo la vittoria.

Il tennista altoatesino ha poi espresso soddisfazione per l’atmosfera: “È molto speciale, c’è tanta Italia qui in Italia. Mi porto a casa il feeling di giocare qui, ogni anno il campo è un po’ diverso ma ci siamo adattati bene”.

Un gruppo difficile e avversari temibili

Sinner è consapevole delle insidie del suo girone: “Ho un gruppo molto difficile e tosto, con gente che serve molto forte. Devi restare concentrato per tutta la partita, perché appena concedi un attimo rischi di andare un break sotto e poi diventa complicato recuperare. Oggi ero molto concentrato, sono molto contento. Ora vediamo come andrà il prossimo match”.

L’Italia del tennis può sorridere: alle Finals, oltre a Sinner, sono presenti anche Lorenzo Musetti e la coppia di doppio Bolelli/Vavassori, segno di una generazione azzurra sempre più protagonista nel tennis mondiale.

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Delusione ad “Affari tuoi”: Charlotte si ferma a 15mila euro dopo un finale al cardiopalma

Finale amaro per Charlotte, concorrente lombarda di “Affari tuoi”: dopo un cambio e un gioco emozionante, perde l’occasione del premio da 75mila euro e chiude la puntata con 15mila euro.

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Nella sessantaquattresima puntata di “Affari tuoi”, condotta da Stefano De Martino, protagonista è stata Charlotte, rappresentante della Lombardia, accompagnata in studio dal compagno e collega Antonio. La coppia ha giocato con il pacco numero 10, che ha conservato fino alle battute finali di una serata ricca di tensione e colpi di scena.

Il cambio con il Molise e la sorpresa di Gennarino

Con ancora quattro pacchi da scartare, il “dottore” propone a Charlotte un cambio, offerta che la concorrente accetta. Decide così di scambiare il pacco 10 con il pacco numero 2 del Molise. Poco dopo apre il suo vecchio pacco, scoprendo Gennarino, il pupazzo che fa guadagnare mille euro di bonus. La festa in studio è immediata, ma la partita è ancora tutta da giocare.

Il rifiuto dell’offerta e l’ultimo tiro decisivo

Il dottore rilancia con un’offerta di 15mila euro, ma Charlotte decide di continuare. Al tiro successivo apre il pacco numero 11, trovando quello da un euro, lasciando in gioco solo due importi: 15mila e 75mila euro.

A quel punto, il dottore prova un’ultima mossa: tramite Stefano De Martino offre 45 euro per giocare alle carte invece dei 45mila chiesti da Charlotte. La concorrente perde il gioco delle carte, ma sceglie comunque di non cambiare pacco e di arrivare al finale.

Il sogno sfuma: nel pacco 2 solo 15mila euro

La decisione si rivela però sfortunata: nel pacco scelto, il numero 2, c’erano solo 15mila euro. Il premio da 75mila era rimasto nel pacco scambiato. Un finale dal sapore amaro per Charlotte, che tuttavia ha mostrato grande determinazione e sangue freddo fino all’ultimo.

Una puntata intensa e piena di emozioni, chiusa tra applausi e sorrisi dal conduttore Stefano De Martino, che ha sottolineato come “Affari tuoi” resti un gioco dove il coraggio può valere tanto quanto la fortuna.

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Esteri

Kushner torna in Medio Oriente mentre resta fragile la fase uno del piano di pace

A un mese dal cessate il fuoco, Jared Kushner torna in Israele per spingere la fase due del piano di pace Usa. Restano aperti nodi su ostaggi, miliziani nei tunnel di Rafah e composizione della forza di stabilizzazione internazionale.

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A un mese dall’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza, l’inviato statunitense Jared Kushner è tornato in Israele per confrontarsi con il governo sullo stato di attuazione del piano di pace Usa e per premere sul passaggio alla cosiddetta fase due dell’accordo. Washington spinge per accelerare la transizione politica e di sicurezza, ma sul terreno permangono nodi sensibili che rallentano il processo.

I nodi ancora aperti: ostaggi e miliziani nei tunnel di Rafah

La prima fase resta tuttora bloccata su due questioni concrete e irrisolte: la restituzione delle salme degli ostaggi uccisi e la sorte dei circa 200 miliziani intrappolati nei tunnel di Rafah dal lato israeliano della Linea Gialla. La proposta americana sul tavolo prevede che i combattenti si arrendano, depongano le armi e ottengano amnistia o esilio all’estero, mentre i tunnel verrebbero distrutti. Soluzioni analoghe erano state avanzate anche dal Cairo, che ha offerto canali sicuri verso l’Egitto.

Posizioni di Israele e di Hamas: dialogo sotto pressione

Dal canto suo il premier Benyamin Netanyahu ha ammonito che la guerra “non è finita” e ha ribadito l’intenzione di disarmare Hamas, “nel modo più facile o nel modo più difficile”. L’esecutivo israeliano sostiene di coordinare ogni passo con l’amministrazione statunitense, ma la questione resta delicata: Hamas dichiara che i suoi uomini “non si arrenderanno”, pur affermando di essere disponibile ad “affrontare positivamente la questione”, e accusa Israele di aver fatto marcia indietro rispetto ad accordi preliminari.

Il ruolo dei paesi terzi e la composizione della forza di stabilizzazione

La definizione della forza internazionale di stabilizzazione destinata a operare nella Striscia è un altro capitolo cruciale. La Turchia avrebbe offerto un corridoio sicuro per “200 civili” intrappolati nei tunnel, secondo una fonte turca, ma il governo israeliano ha ribattuto definendoli “terroristi” e negando la presenza di forze turche nella missione. Ankara dichiara di aver reclutato 2.000 uomini per la missione; gli Stati Uniti, tuttavia, garantiscono a Israele un diritto di vetosui Paesi partecipanti. Gli Emirati Arabi Uniti hanno invece fatto sapere che probabilmente non parteciperanno con truppe, pur confermando sostegno politico e aiuti umanitari.

Verso una risoluzione internazionale: la strategia della Casa Bianca

Per superare le incertezze sui contributi da Paesi musulmani disponibili — come Indonesia e altri — la Casa Bianca sta lavorando a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che definisca il mandato e i confini operativi della missione, fornendo alla forza un quadro giuridico internazionale. L’obiettivo è rafforzare la legittimazione della fase due e garantire un coordinamento multilaterale.

Reazioni interne: la Knesset e la proposta sulla pena di morte

Sul piano domestico, la Knesset discute l’introduzione della pena di morte per i terroristi che uccidono israeliani, proposta promossa dal partito di ultradestra del ministro Itamar Ben-Gvir. Il dibattito segna un clima interno teso e dovrà confrontarsi con implicazioni legali e politiche rilevanti, oltre alle preoccupazioni internazionali sulla tutela dei diritti umani e sulle garanzie processuali.

Stato del negoziato: pressione diplomatica e incertezze pratiche

Sul terreno diplomatico prevale la convinzione — anche tra funzionari israeliani — che, sotto la forte pressione degli Stati Uniti, la vicenda troverà una soluzione negoziata. Restano tuttavia incertezze pratiche: la resa o l’esilio di combattenti, la distruzione dei tunnel, il controllo delle aree libere e la composizione di una forza internazionale accettabile sia per Gaza sia per Tel Aviv. Fino a quando questi punti non saranno chiariti e applicati, la transizione verso la fase due rimane fragile.

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