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Crisi di Governo, sarà l’aula a decidere quale sarà il calendario dei lavori: sulla carta l’asse Pd/M5S può dare molti dispiaceri a Salvini

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La crisi di governo approda in Senato nel giorno più caldo dell’agosto più afoso. La conferenza dei capigruppo ha deciso a maggioranza di convocare l’aula per domani alle 18 per decidere sul calendario.  Niente di quel che accade in questo momento é neutro. La forma é sostanza. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dovrebbe  intervenire a Palazzo Madama il 20 agosto. Ma serve domani la conferma del Senato. Come  la presidente del Senato Elisabetta Casellati aveva avvertito: se in capigruppo dovesse registrarsi uno scontro e un conseguente stallo, sarà l’Aula ad avere l’ultima parola. Così dice il regolamento. “La convocazione dell’Assemblea, nell’ipotesi in cui il calendario dei lavori non venga approvato in capigruppo all’unanimità, non costituisce forzatura alcuna, ma esclusivamente l’applicazione del regolamento”, afferma Casellati. “L’art. 55, comma 3, prevede infatti che sulle proposte di modifica del calendario decida esclusivamente l’Assemblea, che è sovrana. Non il presidente, dunque”, aggiunge, sottolineando che il “rispetto delle regole” è a “garanzia” dei cittadini. “Scelta gravissima”, commentano a caldo il capogruppo del Pd Andrea Marcucci e quella di Leu Loredana De Petris.
Una decisione che arriva dopo una giornata molto convulsa. A partire da una possibile scissione nel Partito Democratico, il M5s ha riunito i gruppi parlamentari per fare il punto su timing e linea da seguire durante la crisi di governo. Alla fine il capo politico Luigi Di Maio ha fatto sapere che “nessuno vuole sedersi al tavolo con Renzi. Mezze aperture, chiusura: il M5S vuole una cosa: che si apra al taglio dei  parlamentari. Non ci sono giochi di palazzo da fare, addirittura sento parlare di nuovi gruppi. I gruppi si presentano alle elezioni”.

Di Maio ha spiegato che  chiederà le dimissioni dei ministri della Lega, forse per prevenire la tentazione di Salvini di ritirare i suoi ministri per accelerare la sfiducia.  “La Lega faccia dimettere tutti i suoi ministri da questo governo – ha affermato Di Maio –  I ministri della Lega dovrebbero votare contro se stessi. Noi saremo al fianco di Giuseppe Conte. Ha il diritto di presentarsi alle Camere per dire quello che abbiamo fatto, quello che potevamo fare e che non faremo. Ci devono guardare negli occhi”. E ha attaccato: “Salvini non ha tradito il movimento o Conte, ma milioni di italiani a cui per 14 mesi aveva detto che non guardava i sondaggi. Ha tradito il contratto di governo per i suoi interessi”.

“Mattarella è l’unico che decide quando e se andare a votare – ha continuato il ministro del Lavoro – Già è surreale che ci debba essere crisi a Ferragosto. Ai cittadini viene scaricata addosso la preoccupazione non delle elezioni ma di una crisi che colpirà misure per loro importanti. Un governo non si insedierà prima di dicembre: salterà tutto quello che abbiamo fatto, quindi reddito, quota 100. Stiamo parlando del futuro del nostro Paese”.

Lo stesso Di Maio – così come altri esponenti pentastellati – ha ammesso poi che l’accelerazione di Salvini “ha colto tutti di sorpresa”. Tuttavia, secondo quanto viene riferito, nel corso della riunione è prevalsa la linea del confronto aperto ma più che per un esecutivo di transizione su un esecutivo di largo respiro. In tanti non intendono andare al voto e hanno sottolineato la necessità di proseguire il dialogo con le forze che non vogliono le elezioni anticipate. Altri, come il sottosegretario Buffagni, si sono invece schierati a favore delle elezioni anticipate. Ma é una legittima posizione assai minoritaria nel Movimento.

In vista della decisione della presidente del Senato Casellati di demandare all’aula la decisione  di calendarizzare i lavori,  i  capigruppo dei senatori del Pd avevano ricevuto questo messaggio: “Qualora la presidente Casellati con una assurda forzatura decidesse, a seguito della capigruppo di oggi, di convocare l’aula per il voto sul calendario già domani, martedì 13 agosto, sarà fondamentale la presenza di tutti. Vi chiediamo cortesemente di iniziare a valutare come meglio organizzarvi per rientrare a Roma. Seguiranno indicazioni più precise”. Indicazioni confermata anche dalla riunione dei senatori dem. Alla fine il capogruppo Marcucci sì è avviato alla riunione dei capigruppo dicendosi contrarissimo a riunire il Senato domani accusando in maniera preventiva di “forzatura” la Casellati. Diciamo che la signora Casellati ha applicato alla lettera il regolamento. E allora il calendario, come accade quasi sempre, sarà deciso domani in aula. L’asse M5S-Pd, che vuole posticipare a dopo il 19 agosto la convocazione dell’Assemblea, potrebbe avere la maggioranza. Al momento conterebbe su 159 voti, mentre il centrodestra si fermerebbe a 136 a cui si potrebbero aggiungere i due del Maie, arrivando così a quota 138. Il fronte opposto sulla carta ha la maggioranza: sono 107 i senatori 5S, 51 quelli Pd e una decina quelli del Misto, fra cui i 4 senatori di LeU, per un totale di 168 voti.
Al momento però sarebbero presenti solo 159 senatori. Restano da attribuire i 6 voti del gruppo delle Autonomie, che però in questo caso non fanno la differenza.La seduta può svolgersi subito perché Palazzo Madama non è convocato a domicilio, circostanza nella quale bisognerebbe aspettare 5 giorni per la convocazione dell’Aula. La prossima seduta dell’assemblea risulta infatti già fissata per il prossimo 10 settembre. Le assenze però potrebbero mettere a rischio il voto. L’unica strada per evitare soprese sarebbe quella di far mancare il numero legale. Sulla carta quest’ultimo è pari a 161 e pur immaginando qualche assenza giustificata per congedo difficile che si abbassi troppo. Se dovesse mancare il numero legale la seduta potrebbe, da regolamento, essere convocata ogni 20 minuti fino a 4 volte nello stesso giorno, per poi essere rinviata al giorno successivo, ripartendo dallo stesso orario. Questo meccanismo si può ripetere fino a che non si raggiunga in Aula il numero legale per procedere con la deliberazione.

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Gualtieri a giro boa, abolire frase ‘non si può fare’

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“Basta con le romanelle, con le soluzioni pasticciate. Abbiamo deciso di eliminare il concetto di scorciatoia” perché la città di Roma “non va solo manutenuta ma trasformata”, nella “condivisione tra giunta e Consiglio” e tenendo in gran conto gli stimoli che arrivano dal tessuto della città, perché “non abbiamo la verità in tasca”. E con un’ambizione: “Voglio abolire la frase ‘non si può fare’, questo concetto per cui i romani non hanno il diritto, chissà perché, di pretendere soluzioni ai problemi ereditati e a quelli nuovi”. Roberto Gualtieri è al giro di boa: due anni e mezzo da sindaco alle spalle, due anni e mezzo davanti. I Rapporti alla Città, il sindaco li presenta a cadenza annuale, con tutta la maggioranza (e non solo quella) all’Auditorium. Per questo metà mandato invece si riunisce con il suo partito, il Pd, nel teatro di Villa Lazzaroni, nel quartiere popolare dell’Appio Latino. Che non sembra un caso: “Si dà di più a chi ha di meno, perché è così che si produce l’eguaglianza – dice nel suo intervento – dobbiamo fare, e stiamo facendo, un gigantesco investimento sulle periferie”.

L’evento si chiama ‘Roma. Verso la direzione giusta’, e l’ha organizzato proprio il gruppo capitolino dei dem. In platea fa gli onori di casa il minisindaco Francesco Laddaga, c’è il segretario cittadino Enzo Foschi, e ci sono tutti i consiglieri, a partire dalla presidente dell’Assemblea Capitolina Svetlana Celli, che rivendica il lavoro d’aula (“dal suo insediamento si è riunita 215 volte, ha votato 380 delibere e 325 mozioni”) e snocciola i provvedimenti approvati in due anni e mezzo. Dice la capogruppo Valeria Baglio: “Abbiamo approvato atti importantissimi e abbiamo mantenuto gli impegni per il rilancio e il risanamento delle partecipate. Su lavoro, diritti, servizi e giovani rilanciamo il nostro lavoro per la seconda parte della consiliatura, per la crescita e lo sviluppo, senza lasciare nessuno indietro”.

“Siamo orgogliosi – aggiunge Celli – Non fermiamoci, proseguiamo insieme verso la direzione giusta, una bella e significativa stagione di trasformazione grazie all’attenta e incisiva azione della amministrazione Gualtieri”. Il sindaco ricambia l’omaggio: tra Sala delle Bandiere e Aula Giulio Cesare deve esserci concordia: “Ci deve essere condivisione non perché altrimenti non passano le delibere ma per essere tutti parte della squadra di governo della città. Nella distinzione dei ruoli, ma nella collaborazione. Stiamo, e state, dando un bellissimo esempio di buona politica. Voi – dice ancora – avete avuto il coraggio di provare a rendere memorabile questo ciclo di governo, alto, bello e necessario”, anche col “coraggio di fare le scelte giuste, che anche se all’inizio sono impopolari, alla fine pagano. Una persona non può perdere l’assistente sociale perché abbiamo paura di aumentare la tassa di soggiorno…” Sul metodo, Gualtieri rivendica il sistema del “percorso più lungo, e anche se qualcuno diceva ‘il sindaco dove sta?’, stavamo lavorando perché accadessero le cose che si vedono oggi”.

Per trasformare, afferma, “le parole che sembrano ormai vacue all’opinione pubblica, come ‘sostenibilità’, in fatti concreti: un conto è dire ‘decarbonizzazione’, altro è dire ‘pianteremo un milione di alberi'”. E anche se le casse comunali di certo non traboccano, i fondi per le iniziative, assicura, ci saranno: “Potevamo dire: lo Stato non ci da i soldi e i poteri, quando ce li avrete dati faremo, intanto ci lamentiamo. Noi invece i soldi intanto ce li siamo trovati, con la Bei, col Pnrr, con il Fnc”. La trasformazione della città deve avvenire “coi connotati dei nostri valori, con l’obiettivo specifico di rimozione delle diseguaglianze. Non è una concessione – conclude – ma una condizione per essere una città più forte e più moderna, una necessità per essere più prosperi”.

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Colaianni out, Schlein si affida a Leccese e avvisa Conte

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Dopo il passo indietro dell’ex magistrato Nicola Colaianni, per il campo largo in Puglia è nebbia fitta. La frenata del leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte sul ‘candidato terzo’ al comune di Bari rimette la palla in mano al Pd. Che in una direzione regionale fiume si trova sul tavolo due questioni spinose. In primis, proprio la corsa al seggio da primo cittadino del capoluogo pugliese. Un breve passaggio sull’impasse in riunione, però, non scioglie il nodo. Ad affrontarlo, in una riunione faccia a faccia attesa per le prossime ore, saranno i candidati del centrosinistra ancora in campo, Michele Laforgia e Vito Leccese. All’orizzonte non si vedono ricuciture di sorta. E in molti, salvo sorprese dell’ultimo minuto, sono pronti a scommettere su un esito che appare sempre più definitivo: ognuno per la sua strada. Mentre resta la faccenda del rimpasto nella giunta Emiliano, che Elly Schlein continua ad incalzare, chiedendo un “rinnovamento netto e non una mera sostituzione”. E le tensioni salgono dalla Puglia fino a Roma. A rinnovare gli attriti tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle, la decisione di Colaianni. L’ex magistrato, invitato da Nichi Vendola e Sinistra Italiana a tirare fuori il campo largo dal pantano barese, spiega le sue ragioni: “hanno pesato” le parole di Conte, ma anche “la melina dei candidati locali”. Per il Movimento 5 Stelle la linea rimane invariata: il candidato più autorevole resta Laforgia, al quale Conte conferma il suo mandato. Schlein oppone il suo sostegno a Leccese: “siamo al suo fianco anche se vorrà tentare un dialogo per una strada unitaria”. Angelo Bonelli invita a “fermare lo stillicidio”, rilanciando al candidatura di Leccese e aprendo una finestra di dialogo con Sinistra Italiana. Ma saranno i due candidati a dire l’ultima parola. Intanto, piomba sulla vicenda pugliese un’ulteriore grana giudiziaria. Il sindaco di Bari, Antonio Decaro, revoca la delega all’assessore al Bilancio, Alessandro D’Adamo, che risulta tra le tre persone indagate dalla Procura europea per truffa aggravata in merito a erogazioni pubbliche. Il presidente Conte ribadisce: “ho portato un patto per la legalità, ora di fronte a quest’ultimo scandalo giudiziario non mi pronuncio”. Schlein, non entra nel merito della nuova inchiesta che si abbatte su un altro esponente della stessa lista civica di Maurodinoia. Durante la conferenza nella sede romana della Stampa estera, però, torna a difendere la comunità dem. “Trasformismi e interessi sbagliati – spiega – devono trovare le porte del Pd chiuse e sigillate”. E lancia la frecciata in direzione del M5s: “anziché cercare il facile capro espiatorio e puntare il dito verso gli altri si dovrebbe avere l’intelligenza di guardarsi dentro, il Pd lo sta facendo”. “Il Movimento non è né il moralizzatore né il castigatore in casa altrui”, replica il leader pentastellato. Un botta e risposta che si alimenta a distanza e non distende i rapporti già tesi tra i due, che continuano a non trovare occasioni di confronto. E Schlein certifica le difficoltà del campo largo: “sicuramente qualche problema c’è”. Guardando al lavoro in corso sulle amministrative, però, non si da per vinta: “è evidente che la costruzione dell’alternativa non è morta”. A chi le chiede, in conferenza, se si senta subalterna a Conte, dice: “no, perché quando c’è da rispondere non mi sono tirata indietro”. Per tanti, la partita delle Europee viene vista come un occasione per pesarsi dentro a un campo largo in difficoltà. Ma non per Conte. Che chiarisce: “se alle Europee supereremo il Pd non farò valere questo come motivo di leadership nei confronti dei Dem, il mondo del Pd si rilassi”. Una dichiarazione che da Campo Marzio interpretano come valida anche in direzione opposta: “le europee non stabiliscono la leadership, il nostro obiettivo è di portare gente al voto, non di fare un punto in più del Pd”. E per Schlein, la partita delle europee entra nell’ultima settimana. Quella caldissima in vista dell’approvazione delle liste in direzione di domenica. Molte le caselle già definite, altrettante quelle da riempire. Intanto la segretaria testa gli slogan per la campagna in conferenza stampa e sulla guida della Commissione non ha dubbi. Ribadisce la “stima” per Draghi, sostenuto oggi anche da un Manifesto firmato da intellettuali e politici. Ma il candidato de Pse, per Schlein, resta Schmit.

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Cronache

Viminale, dai lupi solitari il rischio principale

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ll rischio principale per la sicurezza deriva dalle potenziali azioni di lupi solitari. Così fonti del Viminale, dopo al riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica convocata dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, all’indomani dell’attacco dell’Iran ad Israele. E da parte degli apparati c’è attenzione anche sui flussi migratori irregolari per intercettare soggetti potenzialmente pericolosi. in proposito permangono in vigore i controlli alla frontiera Est.

Il ministro dell’Interno ha dato mandato alle forze dell’ordine di rafforzare tutte le attività di prevenzione coordinandosi con l’intelligence. Nel corso della riunione c’è stato, spiegano ancora le fonti, “un proficuo aggiornamento sui profili di rischio rispetto ai possibili riflessi in Italia delle tensioni internazionali”. Confermato poi il viaggio di Piantedosi a Tunisi mercoledì con la premier Giorgia Meloni; il titolare del Viminale avrà un bilaterale con il suo omologo. Presto, inoltre, ci sarà un incontro a Roma anche con il collega libico.

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