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Economia

Crisi alla Camera di Commercio di Napoli: il braccio di ferro infinito sta affondando l’Istituzione

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La Camera di Commercio di Napoli vive una situazione di stallo causata dal conflitto tra la compagine guidata dal presidente uscente, Ciro Fiola, e le “associazioni storiche” che si oppongono a lui. Questo scontro, esacerbato negli ultimi mesi, ha portato a denunce e accuse reciproche, bloccando il rinnovo del Consiglio camerale avviato nel marzo 2023.

Le “associazioni storiche” contestano la disparità di trattamento nella verifica della documentazione da parte del RUP, Ilaria Desiderio. Mentre le associazioni legate a Fiola sono state soggette a controlli a campione, quelle dell’opposizione hanno subito controlli a tappeto. Il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, ha richiesto un supplemento istruttorio per garantire l’omogeneità dei controlli, ritardando ulteriormente il decreto.

Uno dei nodi cruciali riguarda la “incongruità” delle quote associative, che ha portato all’esclusione di molte grandi aziende dal conteggio degli iscritti. La Regione ha giudicato distorsivo il metodo adottato dal RUP, ricordando che solo quote simboliche dovrebbero essere considerate incongrue. Questo ha evidenziato profonde discrepanze, come nel caso dell’Acen, con solo 17 iscritti riconosciuti su oltre 3.000 dichiarati.

Il futuro della Camera di Commercio di Napoli rimane incerto. La richiesta di Fiola per un rapido varo del decreto non sarà esaudita a breve. De Luca insiste sulla necessità di una rappresentatività reale delle associazioni per evitare distorsioni nei seggi assegnati. Se il conflitto interno non sarà risolto, rischia di compromettere seriamente il funzionamento di una delle istituzioni economiche più importanti del Sud Italia.

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Economia

Vivendi inizia il disimpegno da Tim, riflettori su Poste

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Il disimpegno di Vivendi da Tim è iniziato e il mercato si interroga sulle possibili mosse di Poste, di recente entrata nel capitale col 9,8% al posto di Cdp. A Piazza Affari la cessione del 5%, che porta i francesi sotto la soglia del 20% (al 18,37%), è stato accolto con favore e a fine seduta il titolo ha guadagnato il 2,09% a 0,3 euro. Ma la spinta maggiore l’hanno ricevuta le risparmio, balzate a 0,34 euro (+4,4%) sulle attese che il progetto di conversione, avversato da Vivendi, possa tornare d’attualità.

“Non escludiamo, come ipotizzato anche in diversi articoli di stampa, che il grosso della partecipazione residua possa essere comprato da Poste, che potrebbe acquisire fino al 15% circa del capitale ordinario, salendo al limite della soglia d’opa del 25% (circa 700 milioni di esborso ai valori correnti)”, osserva Equita: il suo rafforzamento “fornirebbe poi al gruppo una governance più solida e flessibilità strategica”. Si “eliminerebbe un elemento di incertezza sui prossimi passi della storia di turnaround del gruppo, vista la posizione molto critica di Vivendi sull’esecuzione del piano industriale presentato al mercato da Labriola e il veto che era stato posto in passato da Vivendi sull’operazione di ottimizzazione della struttura del capitale”. “L’intenzione è di vendere la nostra quota, questo è il piano. Abbiamo sentito diverse speculazioni ma quando potremo vendere a buone condizioni lo faremo: il nostro è un approccio molto pragmatico”, aveva dichiarato il ceo Arnaud de Puyfontaine un paio di settimane fa.

Ci si aspettava però che vendesse la partecipazione a un acquirente industriale (Iliad o Poste) o finanziario (Cvc) piuttosto che sul mercato. Se le operazioni proseguiranno, segnala Barclays, ci potrebbe essere il rischio di overhang (un eccesso di azioni offerte che fa scendere il prezzo del titolo) ma per ora il mercato ha solo guardato alle opzioni che si aprono per Tim. Sul tema del consolidamento anche l’ad Labriola ha la sua da dire e ripete che uno dei vantaggi è la riduzione dei costi. e non deve far temere un aumento dei prezzi. “Il consolidamento, porterà le aziende a mettere insieme le reti e questo comporterà un’assunzione di costo minore” ha spiegato recentemente ribadendo che per Tim ci sono solo “due partner ideali: iliad e Poste, tutti gli incroci che portano a una quota di mercato sopra il 45% sono impraticabili”. Un deal con iliad avrebbe caratteristiche industriali di riduzione delle reti mentre “con Poste la partnership può accelerare la condivisione della ‘customer platform'”, la base clienti. Si guarda quindi al cda di Poste di giovedì prossimo (26 marzo) e a quello di Tim del 14 aprile.

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Economia

Byd batte Tesla per ricavi, supera i 100 miliardi

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L’assalto della Cina all’industria automobilistica mondiale è rapido e furioso, ma il più grande sfidante al dominio globale di Tesla nelle e-car è a tutti gli effetti Byd, a dispetto dei dazi. Il gruppo di Shenzhen, sostenuto da Warren Buffett, ha lanciato il guanto di sfida al patron dell’auto elettrica americana Elon Musk, superando nel 2024 la rivale a stelle e strisce per ricavi, fino ad abbattere per la prima volta la soglia psicologica dei 100 miliardi di dollari: 777,1 miliardi di yuan (circa 107,2 miliardi di dollari), più dei 97,7 miliardi annunciati da Tesla. I ricavi di Byd, ha spiegato una nota alla Borsa di Hong Kong, hanno registrato un balzo del 29% annuo, oltre i 766 miliardi stimati dagli analisti. L’utile netto, invece, ha avuto un rialzo addirittura del 34%, fino a 40,3 miliardi, su nuovi record.

Il prezzo delle azioni ha toccato il picco storico lo scorso 20 marzo (a 424,20 dollari di Hk) sulla spinta della nuova tecnologia di batterie presentata come in grado di consentire a un veicolo di percorrere fino a 470 chilometri dopo una ricarica di appena cinque minuti. Un sistema di batterie e di ricarica da 1.000 kW, superiori ai Supercharger di Tesla, che attualmente si ferma a 500 kW. Le azioni Byd a Hong Kong hanno chiuso la seduta con un +3% sulle aspettative dei buoni dati di bilancio: dall’inizio dell’anno però hanno guadagnato più del 50%, in netto contrasto con il calo del 34% di Tesla.

Tuttavia, la capitalizzazione della società cinese rimane inferiore a un quinto della rivale americana, il cui valore è crollato da da 1.700 miliardi a meno di 800 miliardi. Le vendite annuali di Byd hanno beneficiato della crescente domanda di modelli ibridi plug-in nel mercato cinese, dove ha spazzato via i rivali tra taglio dei costi di produzione e richieste periodiche ai fornitori di limare listini di vendita. Il risultato è che il gruppo mantiene margini a doppia cifra, utili per attenuare i dazi in Europa o in altre parti del mondo.

Perché l’espansione all’estero è la priorità per il gruppo fondato da Wang Chuanfu, ora nel ruolo di presidente. Solo in Europa, dopo quelli in Turchia e Ungheria, è in arrivo un terzo impianto, probabilmente in Germania. L’azienda cinese, le cui vendite all’estero sono salite lo scorso anno a più di 400.000 veicoli, ha recentemente raccolto quasi 6 miliardi di dollari per finanziare i piani di espansione. Byd ha rappresentato circa il 16% delle auto esportate dal Dragone a gennaio e febbraio. E l’ultima innovazione dell’azienda, la ricarica ultraveloce, è considerata dagli analisti lo strumento per catturare ulteriori quote di mercato dai rivali. I numeri solidi potranno contare anche sulla nuova serie di tecnologie per veicoli elettrici per rendere la sua gamma di modelli più attraente, tra cui un cosiddetto sistema di guida avanzato God’s Eye e l’integrazione dei software con i modelli di intelligenza artificiale di DeepSeek, la startup mandarina che ha sorpreso i colossi Usa con i suoi prodotti low cost, ma ad alte prestazioni.

Per altro verso, sul fronte Tesla i problemi sembrano moltiplicarsi, anche se oggi il titolo a Wall Street è arrivato a rimbalzare oltre il 10%. Mentre le vendite di auto e il prezzo delle azioni crollano in risposta alle posizioni politiche di Musk, l’azienda sta puntando molto sull’intelligenza artificiale, ma gli investitori hanno iniziato a chiedersi dove finiscano davvero i soldi. Come ha riportato il Financial Times, una discrepanza di 1,4 miliardi di dollari tra le spese dichiarate e il valore effettivo degli asset acquistati ha sollevato dubbi sui controlli interni.

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Economia

Ghio (PD): giornalisti della Dire da oltre 2 mesi senza stipendio

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“Solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici dell’Agenzia Dire da più di due mesi senza stipendio. La ‘Dire’ rappresenta un mezzo di informazione molto importante per i cittadini che va tutelato e promosso. La professionalità e la competenza dei giornalisti garantisce il diritto dei cittadini di essere informati e la pluralità dell’informazione. Il governo intervenga e metta in campo in campo ogni azione possibile affinché l’editore provveda al pagamento, soprattutto se, come appreso dai lavoratori, c’è stato lo sblocco dei fondi. Il diritto di cronaca si tutela a partire dal sostegno a chi ogni giorno racconta cosa succede fuori e dentro le istituzioni”. Lo ha scritto in una nota la vicepresidente del gruppo PD alla Camera Valentina Ghio in solidarietà ai giornalisti di Dire per il mancato pagamento degli stipendi.

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