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Criminalità minorile a Napoli, i numeri dei carabinieri: arrestiamo o denunciamo un minore ogni 36 ore

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Pugnali, katane, mazze da baseball Bombe farcite di chiodi, kalashnikov, balestre, pistole artigianali, pipe bombs, fucili da cecchino,
E ancora tirapugni di acciaio, coltelli da cucina, asce medievali, mitragliatori, bombe a mano e addirittura razzi, di quelli utilizzati nella guerra dei Balcani.

Un campionario vastissimo che non appartiene ad un’armeria ma all’elenco di sequestri messi a segno dai Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli.
Strumenti di morte sottratti anche alla criminalità organizzata ma soprattutto a giovanissimi, certi di poter affrontare qualsiasi minaccia solo sentendo sulla pelle il freddo di una lama o della canna di una pistola. Durante la movida, nelle serate in giro per locali o addirittura a scuola, in aula.

Leggendo i bilanci di operazioni ed eventi gestiti dai Carabinieri napoletani vengono i brividi perché spesso i coltelli e le armi da fuoco non rimangono solo una silenziosa difesa dalle proprie insicurezze. Sono brandeggiati, impugnati, scagliati, spinti contro la carne del proprio avversario. E i grilletti premuti, più volte, in una singolar tenzone che non trova vincitori.

È per questo motivo che il Comando Provinciale Carabinieri di Napoli ha da tempo promosso servizi mirati a disarmare quelle mani e quelle coscienze spesso acerbe che vedono nella violenza l’unica risposta.
Un lavoro complesso e delicato che guarda con attenzione e preoccupazione soprattutto ai più giovani.
Repressione, dunque, ma anche tanta prevenzione. In strada e nelle scuole, con svariate iniziative per promuovere il dialogo con le istituzioni e la cultura della legalità.

Nei primi 5 mesi del 2022, i carabinieri di Napoli e provincia hanno sequestrato 365 armi di varia natura. 158 da taglio, 123 da fuoco e 78 di quelle definite improprie: per intenderci mazze, tirapugni, nunchaku ed altre. Conti alla mano si parla di quasi 3 armi sequestrate al giorno.

365 potenziali minacce che si traducono in 153 denunce in stato di libertà per porto abusivo di armi e 37 arresti. Tra questi anche minori: 37 quelli denunciati, 3 quelli finiti in manette. Un dato allarmante che racconta di 1 minore denunciato o arrestato ogni 36 ore. La scusa più diffusa è ormai nota , “Mi serve per difendermi!”, ma chi la pronuncia non si rende conto di essere anch’egli parte di un circolo vizioso. Perché anche tenere in tasca un coltello genera violenza. E per di più è reato.

Ogni luogo è potenzialmente teatro di violenza, specie tra i più giovani. Tra i casi più recenti quello del 7 maggio scorso ad Arpino di Casoria dove le piste di un bowling sono diventate per pochi ma interminabili minuti un vero e proprio ring. Un “fuggi fuggi” generale dove ad avere la peggio fu un 14enne che riportò un trauma cranico e diverse ferite da arma da taglio al torace.
E proprio poche ore fa i militari della locale stazione hanno identificato e denunciato quelle mani violente.  Appartengono a 7 giovanissimi dai 14 ai 16 anni, tutti incensurati. L’arma utilizzata non è stata trovata ma ciò non impedirà loro di rispondere di rissa.

Attualissimo anche il caso di un 18enne di Torre del Greco, spunto per una valutazione statistica sull’utilizzo di alcune tipologie di armi. Alta la percentuale di ragazzi tra i 18 e i 20 anni sorpresi in possesso di coltelli e tirapugni, comune denominatore della volontà di difendersi dalla o di accendere la miccia.
Quanto a Torre del Greco, i Carabinieri della locale sezione radiomobile hanno fermato il giovane mentre passeggiava sul litorale. Perquisito, è stato trovato in possesso di un tirapugni. Il controllo è stato esteso anche alla sua abitazione ed è lì che i militari hanno rinvenuto e sequestrato due coltelli a serramanico. Dovrà rispondere di porto abusivo di armi.

Ancora un tirapugni, questa volta tolto dalle mani di un 15enne. È successo a Marano, in un sabato sera di movida.

3 i ragazzini di Caivano tra 15 e 16 anni segnalati dai passanti spaventati in Via Marina a Napoli perché armati di coltelli e tirapugni. Armi messe in mostra con spavalderia che sono costate loro una denuncia penale.

Un 17enne è stato trovato in metro al Vomero con un coltellino a serramanico. Grazie all’utilizzo dei metal detector, i carabinieri  sono stati in grado di sottrarre la lama al giovane prima che si mischiasse nella folla della movida notturna.

A Nola un 17enne è stato sorpreso con 2 proiettili calibro 22 in tasca e una dose di cocaina.

In merito, le dichiarazioni del Comandante Provinciale Carabinieri di Napoli Generale di Brigata Enrico Scandone:

“Alla luce della recente recrudescenza delle aggressioni fatte con armi in città e provincia, il Comando Provinciale Carabinieri di Napoli ha incrementato i servizi di contrasto all’uso e al porto abusivo di armi.  I più giovani, purtroppo, non si rendono conto che portare un coltello non è solo un reato. E’ pericoloso per gli altri e per se stessi. Una lama  può provocare gravi ferite o la morte di qualcuno. Puntando ai più giovani, stiamo attuando una campagna di sensibilizzazione e prevenzione. Anche nelle scuole.  Invitiamo tutti, soprattutto i ragazzi, ad evitare il rischio dell’uso improprio di un coltello.  Un coltello ferisce, un coltello uccide, un coltello provoca lesioni che possono essere permanenti. La vita non è un videogioco.”

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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