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Covid e mafiosi, Maresca: no ad un nuovo “liberi-tutti”

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Catello Maresca, magistrato antimafia, nel mese di marzo denunciò con forza l’esistenza di una questione carceraria. Fu facile Cassandra. Pochi giorni dopo aver denunciato quei segnali inquietanti che arrivavano dai penitenziari, scoppiarono rivolte ovunque negli istituti di pena italiani. Per chi l’avesse dimenticato, per quelli che hanno memoria corta, tra il 7 e il 9 marzo di quest’anno, nelle carceri d’Italia in rivolta morirono 14 detenuti, ci furono decine di feriti e danni per una trentina di milioni di euro alle strutture devastate e incendiate. Dopo quelle rivolte ci furono decreti legge e circolari del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che portarono, più o meno surrettiziamente, alla scarcerazione di centinaia di pericolosi detenuti con la scusa del rischio contagio. E tra questi scarcerati c’erano anche detenuti al 41 bis, i boss mafiosi. Tanti mafiosi. E tra gli scarcerati (differimento della pena a casa) c’era Pasquale Zagaria, mente criminale e fratello del capoclan dei Casalesi. Abbiamo chiesto al dottor Maresca, Sostituto Procuratore Generale a Napoli, se la storia può ripetersi e se abbiamo tratto qualche insegnamento da quanto accaduto tra marzo e aprile nelle carceri d’Italia.

Dottor Maresca, c’è il rischio che possano accadere le stesse cose di marzo e aprile negli istituti di pena?

Quei detenuti morti, quelle devastazioni nelle carceri. Quella perdita di credibilità delle istituzioni. Quella sequela di dimissioni ai vertici del Dap e al Ministero della Giustizia sono una pagina buia su cui sarebbe il caso si facesse luce.

Scusi ma non ha risposto alla domanda. La domanda é: rivedremo lo stesso film? Rivedremo rivolte e poi provvedimenti per svuotare le carceri per evitare le rivolte? Rivedremo mafiosi tornare a casa a causa del rischio contagio da covid 19?

La questione carceraria è rimasta lì. Non è cambiato molto nella gestione delle carceri. E non è la prima volta che mi capita di notare atteggiamenti e provvedimenti a mio parere poco efficaci, quando non addirittura forieri di effetti assolutamente negativi.

A quali provvedimenti si riferisce in particolare?
Ad un complesso di circolari del DAP, talvolta contraddittorie, alcune prima emanate e poi subito ritirate, sintomatiche di una difficoltà operativa e decisionale molto pericolosa.

Mi perdoni se insisto, ma davvero rischiamo di correre lo stesso rischio di qualche mese fa ovvero l’uscita dal carcere di migliaia di detenuti?

E non per fine pena. Mi sembra piuttosto evidente che, in mancanza di una linea programmatica chiara e diretta in maniera scientifica ad affrontare e risolvere l’atavico problema del sovraffollamento delle carceri, il rischio più grande che si corre sia quello di rivedere scene di protesta, anche potenzialmente violente da parte di detenuti più o meno eterodiretti.

Si riferisce alle rivolte del 7 e 8 marzo,  quando all’unisono scoppiarono rivolte in  27 carceri tutti assieme? All’epoca lei parlò di una “strana” coincidenza. 

Ovviamente mi auguro che non possano mai ripetersi quelle rivolte. Ma debbo constatare che la situazione della diffusione del virus all’interno delle carceri è assai più grave della prima fase dell’emergenza e la situazione generale delle strutture è migliorata troppo poco e molto lentamente. In alcune strutture come a Milano la strada intrapresa mi sembra giusta, altrove temo che siamo ancora molto indietro.

Quale soluzione propone lei?

Non avendo compiti gestionali e nemmeno ruoli istituzionali e di decisione in materia, non è mio compito quello di trovare le soluzioni. Anzi, le dirò di più, tranne qualche telefonata infastidita delle mie segnalazioni critiche, non ho mai ricevuto richieste di proposte ufficiali in tal senso. Mi sono però sempre limitato con educazione ad anticipare rischi e a suggerire possibili soluzioni. Qualcuno, di cui non faccio il nome, mi diede anche dell’ignorante e mi propose di tornare a studiare il diritto. Acqua passata.

Vuol dire che nessuno l’ha mai chiamata per ricevere un suo contributo tecnico istituzionale?
Intendo dire, che essendo il primo ad aver intuito, diciamo così, il rischio che si correva a marzo e ad aver proposto anche degli interventi riparatori, mi sarei aspettato almeno che qualcuno mi venisse a chiedere come avessi fatto ad anticipare lo scenario che poi si è drammaticamente realizzato. Sa, magari, capire quali possano essere gli indicatori, i campanelli di allarme, può servire ad anticipare le mosse e a prevenire guai maggiori.

Carceri da svuotare. La sede del ministero della Giustizia in via Arenula a Roma

Vuole quindi dire che gli attuali responsabili non sono in grado di fare queste previsioni?
Non ho detto questo. Non mi metta in bocca parole non mie. Ho solo detto che a me nessuno lo ha chiesto. Anzi si sono lamentati per le mie continue pubbliche sollecitazioni, fatte anche su questo giornale. Ovviamente, spero che lo abbiano fatto perché già pensano di avere le risposte alle varie criticità. Lo spero e ce ne accorgeremo nei prossimi mesi.

Tornando alle sue osservazioni, inviate anche alla Commissione Giustizia del Senato, all’ultimo decreto svuotacarceri, ci può spiegare di che cosa si tratta e perché lei è così preoccupato?

Quando un senatore napoletano, avvocato serio che già conoscevo per motivi professionali, mi ha chiesto un parere tecnico, ho sollecitato il mio gruppo di studio universitario ad approfondire la questione. Chiedendo a tutti un sacrificio anche nel weekend. E subito sono emerse una serie di criticità ed alcuni errori tecnici.

Di che cosa si tratta?
La risposta non è semplicissima, perché si tratta di questioni squisitamente tecniche. Cerco di risponderle indicandole gli effetti di questa norma che, replicando quella di marzo, tende a intervenire sul sovraffollamento carcerario.  In buona sostanza è una norma che rischia di non servire a niente.

In che senso scusi?
È che non solo non svuoterà le carceri, ma non alleggerirà neanche sensibilmente il problema delle celle affollate e del rischio di contagio. E poi non affronta il rischio di scarcerazione per i detenuti per reati più gravi.

Intende dire che potremmo assistere a scene simili a quelle di aprile e maggio? Mafiosi in vacanza domiciliare con la scusa del covid?
Anche qui vedo che lei tende ad essere troppo tranciante. Non ho detto questo. Dico solo che la norma da un lato non svuota le carceri e dall’altro non interviene sul pericolo di scarcerazione dei detenuti più pericolosi. Quindi se avessi dovuto dare un mio parere scientifico avrei suggerito un’altra strada.

E cioè?
In carcere c’è un grosso problema, che non è possibile risolvere con un lockdown. Non è fisicamente e tecnicamente possibile a meno che non si eseguano interventi strutturali profondi, difficili da realizzare in pochi mesi.

Quindi?
Quindi non si può pensare che mandare a casa 3/4 mila detenuti (nella migliore delle ipotesi, ndr) che debbano scontare meno di 18 mesi di reclusione serva a risolvere il problema. Allora, se non hai la capacità organizzativa e strutturale devi avere il coraggio di adottare provvedimenti più decisi.

Secondigliano, Italia – 15 maggio 2012 – Corso di restauro del mobile nel centro Penitenziario di Secondigliano
Ph. Carlo Hermann Ag. Controluce
ITALY – A school of renovation works into Secondigliano’s jail in Secondigliano, southern Italy, on May 15,2012.

Che cosa intende per coraggio di decisioni?
Intendo dire che di fronte a questa situazione esplosiva ci sono solo due strade.

E quali sono?
O quella strutturale/organizzativa che devi realizzare con decisione. E non è stato fatto.
Oppure quella seriamente deflattiva, che prevede il dimezzamento della platea carceraria.

Non starà mica sta parlando di una amnistia generalizzata?
Assolutamente no. Sono sempre stato assolutamente contrario a questo tipo di interventi. Ma dico che se la situazione è esplosiva devo salvare il salvabile. E, quindi, devo fare di tutto per tenere in carcere i detenuti più pericolosi e prevedere temporanee soluzioni alternative per quelli meno pericolosi, a partire dai non definitivi.

Per lei è l’unica soluzione praticabile?
Nella situazione attuale c’è l’altissimo rischio che approfittino della gravità della situazione i “soliti” mafiosi più pericolosi, notoriamente in grado di mettere in campo mezzi e strategie sofisticate.  Questo è il pericolo da scongiurare a tutti i costi. Poi si dovrebbero avere a disposizione i numeri veri per fare una strategia. Ci vorrebbe una analisi che valuti la pericolosità dei detenuti, le pene da scontare, i braccialetti effettivamente disponibili e le reali esigenze delle strutture carcerarie per adeguarsi alla gestione dell’emergenza.

Sembrano dati facilmente reperibili?
Anche a me sembrava. Ma purtroppo l’intervento normativo proposto ne prescinde quasi totalmente. Lo segnalano anche i tecnici del dossier bilancio che accompagna la norma. Ma purtroppo sembra che sia più importante approvare velocemente la norma che non verificarne la validità e l’efficacia.

Scusi se glielo rammento, ma quello che lei dice è grave. Lei sostiene che si approva una norma tanto per approvarla non perché si è consapevoli che questa norma sarà utile ed efficace.

E vabbè, spero di non averla troppo impaurita.

Dottor Maresca, per dirla col filosofo napoletano Vico, la storia si ripete.

Adoro Vico, ma per dirlo con le parole di un altro genio napoletano, il principe de Curtis, Totò: ho detto tutto! E che Dio ce la mandi buona.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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