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Esteri

‘Così il Mossad vendette a Hezbollah i pager bomba’

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“Hai ricevuto un messaggio criptato”. Questo testo in arabo è apparso contemporaneamente su migliaia di cercapersone dei membri di Hezbollah lo scorso 17 settembre. Ma il modello di teledrin “sicuro”, ufficialmente di fabbricazione taiwanese, distribuito ai miliziani come alternativa ai cellulari ritenuti vulnerabili, obbligava, proprio per motivi di sicurezza, a premere due bottoni contemporaneamente con entrambe le mani per leggere il messaggio. E così il miliziano nell’esplosione dell’aggeggio-trappola avrebbe perso l’uso di entrambi gli arti, diventando così – se non fosse morto – inabile al combattimento. Il dettaglio è descritto in un lungo articolo sul Washington Post, che ricostruisce i retroscena di quella incredibile operazione militare e d’intelligence raccogliendo le testimonianze di politici, diplomatici e funzionari della sicurezza israeliani, libanesi e statunitensi, interpellati sotto anonimato.

L’operazione, scrive il giornale, ideata dal Mossad fin dal 2015, progettata e organizzata dal 2022, è ricorsa alla commercializzazione online e al sabotaggio hi-tech dei cercapersone nella totale inconsapevolezza della ditta detentrice del marchio, la Gold Apollo di Taiwan. “Per nove anni – scrive il Washington Post – gli israeliani si sono accontentati di intercettare le conversazioni di Hezbollah, mentre pianificavano come trasformare i walkie talkie in bombe nel caso di una futura crisi. Poi si è presentata una nuova opportunità, con un nuovo gadget” suscettibile di essere trasformato in una trappola. “Poiché i leader di Hezbollah temevano possibili sabotaggi, i cercapersone non potevano essere originari di Israele, degli Stati Uniti o di altri alleati del ‘nemico sionista’. E così dal 2023 Hezbollah ha cominciato a ricevere offerte di acquisto in blocco di cercapersone della nota ditta taiwanese Apollo: un marchio ben riconoscibile, una linea di prodotti con una distribuzione planetaria e nessun legame riconoscibile con ‘interessi ebraici’.

E la compagnia di Taiwan di tutto questo non sapeva nulla”, scrive il giornale Usa. L’offerta commerciale arrivò da un intermediario, una donna, ex rappresentante Apollo che aveva creato una propria ditta e acquistato la licenza per vendere con quel marchio. Fu lei, scrive il Wp, a vendere a Hezbollah i robusti e sicuri teledrin modello Ar924, dotati di una grossa batteria che dura anche mesi senza ricarica e resistente a forti sollecitazioni, quindi adatta a situazioni di guerra. A questo punto la produzione di questi gadget, del peso di meno di 80 grammi, è stata esternalizzata di fatto al Mossad, che li ha “supervisionati”, modificandoli uno ad uno senza alterarne peso, dimensioni, aspetto o funzionamento. Nella batteria è stata inserita una piccola ma potentissima carica esplosiva, virtualmente invisibile anche smontando la stessa batteria, dotata di un innesco elettrico ancora meno visibile.

“Qualche rischio chiaramente c’era”, spiega al giornale una delle fonti. Ma il diabolico stratagemma da una parte – a costo anche di ferire, mutilare o uccidere passanti innocenti – ha messo fuori combattimento centinaia, forse migliaia di combattenti, e dall’altra ha costretto Hezbollah, passata anche l’ondata di esplosioni di radioline, a rinunciare alla comunicazione a distanza, esponendo i capi al rischio degli assembramenti. Una tattica che sembra aver pagato, nelle mire israeliane, nei casi di Hassan Nasrallah e forse anche del suo successore, Hashem Safieddine.

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Giudice sospende caso contro Trump per assalto al Capitol

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Tanya Chutkan, la giudice che supervisiona il caso contro Donald Trump per l’assalto al Capitol, ha accolto la richiesta del procuratore speciale Jack Smith di sospendere le procedure in corso e ha annullato tutte le scadenze pendenti nella fase pre-processuale. Un passo legato alla consolidata prassi del Dipartimento di Giustizia secondo cui un presidente in carica non può essere perseguito.

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Discussioni al Pentagono su come reagire a ordini illegali Trump

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Dirigenti del Pentagono stanno tenendo discussioni informali su cosa fare se Donald Trump dovesse dare un ordine illegale, come ad esempio dispiegare l’esercito internamente, e si stanno preparando all’eventualità che possa modificare le regole per poter licenziare numerosi funzionari pubblici di carriera. Lo riferisce la Cnn. Durante la campagna elettorale, Trump ha ventilato l’ipotesi di impiegare l’esercito contro i suoi nemici politici e anche per respingere i migranti al confine col Messico. La legge americana generalmente vieta l’impiego delle truppe attive per scopi di ordine pubblico. Esistono anche timori che possa smantellare il ruolo dei civili nel Pentagono e sostituire il personale licenziato con dipendenti scelti per la loro lealtà nei suoi confronti.

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Il futuro di Harris dopo la sconfitta

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Kamala Harris non pensa ancora al futuro. La ferita della sconfitta è ancora troppo fresca per consentirle di guardare avanti con lucidità. Ipotizzare la strada che intraprenderà, riferiscono amici e consiglieri, è prematuro ma la vicepresidente potrebbe avere varie opzioni fra cui scegliere una volta che i tempi saranno maturi. La possibilità che resti in politica è la più remota. Al momento anche solo pensare a una sua ricandidatura alle elezioni del 2028 appare un miraggio, considerata la facilità con cui Donald Trump ha vinto. Ma quattro anni in politica sono un’eternità e Harris ha accesso a una vasta rete di donatori che, se il mandato del presidente-eletto dovesse essere caotico, forse potrebbe sostenerla ancora nel cercare di realizzare il sogno di infrangere il soffitto di cristallo. Harris difficilmente – riporta il New York Times – potrebbe decidere di ricandidarsi per il Senato: i due senatori che rappresenteranno la California sono appena stati eletti ed è improbabile che lascino a breve. Nel suo stato Harris potrebbe aspirare a diventare governatrice, raccogliendo l’eredità di Gavin Newsom qualora decidesse, come si vocifera da tempo, di scendere in campo nel 2028.

Fra gli incarichi istituzionali c’è chi sogna che Joe Biden la nomini alla Corte Suprema prima del suo addio alla Casa Bianca. Un’ipotesi irrealizzabile visto che i democratici dovrebbero prima convincere la giudice Sonya Sotomayor a lasciare e poi premere sull’acceleratore per confermare Harris prima del 20 gennaio. Le ipotesi che, al momento, sono le più accreditate fra i sui alleati sono il settore privato, anche nei panni di lobbista, o l’ingresso in un think tank dove avrebbe la possibilità di portare avanti le sue cause senza le restrizioni imposte dal ruolo di vicepresidente di Biden. Harris potrebbe optare anche per scrivere un libro, sulla scia di quanto fatto da Hillary Clinton nel 2016 dopo la sconfitta contro Donald Trump. Quello che appare certo è che la vicepresidente, trascorsi questi ultimi 70 giorni alla Casa Bianca, si prenderà del tempo per sé stessa e per riflettere sulle sue prossime mosse fra passeggiate e cibo non consumato in aereo. Poco prima del voto, per l’esattezza il 27 ottobre, Harris aveva infatti chiarito che fra i suoi piani post-elezioni ci sarebbe stato “ingrassare qualche chilo”. “Mi stanno consumando”, aveva scherzato ignara di quello che l’avrebbe attesa solo qualche giorno dopo.

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