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Corsi: il mio album tra infanzia, amicizia e amore

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Ci sono l’ormai famoso amico fotografo di Volpiano Francis Delacroix, Rocco il bullo delle scuole medie, il Re del rave che ‘viaggia in treno ma in bagno’ e tanti altri personaggi, veri e immaginari, in “Volevo essere un duro” (Sugar Music), il nuovo album di Lucio Corsi che il cantautore-rivelazione dell’ultimo Sanremo ha presentato oggi a Milano con uno showcase. “”Volevo essere un duro” – racconta l’artista toscano, arrivato secondo al festival, dove ha anche vinto il premio della critica – è un disco che parla di infanzia, di amicizia e di amore. È un disco di ricordi veri e falsi, di personaggi del bene e del male, di località, che esse siano prati di margherite o squallide zone industriali”.

“In questo album – sottolinea conversando con la stampa tra un brano e un altro – ho cercato una trasformazione soprattutto a livello testuale, cercando di non staccare più di tanto i piedi da terra. Ho cercato di cantare in maniera chiara e diretta di persone. “Volevo essere un duro” è nato strisciando sui marciapiedi, nascondendomi negli armadi o sotto le zampe dei tavoli, girando tra i panni sporchi nelle lavatrici, appendendomi con le mollette ai capelli ai panni stesi, cercando ricordi non miei nei cappelli degli altri, cercando nuovi orizzonti nelle scarpe degli alti”.

Così, “dopo circa due anni ho trovato nove canzoni diverse e le ho convinte ad andare ad abitare nello stesso palazzo”. Un disco dove sono forti i richiami a Lucio Dalla, Edoardo Bennato, Ivan Graziani e al loro modo di creare delle canzoni-racconto, dove tutto si tiene, dal blues di ‘Let there be rocko’ allo stile anni 60-70 di ‘Questa vita’ fino alla “lunga coda di pianoforte sull’autostrada della luna” del brano “Nel cuore della notte”. Tutti i 9 brani sono stati scritti da Lucio e Tommaso Ottomano “che è un po’ più di un fratello per me, ci teniamo l’un l’altro – racconta Lucio – coi piedi per terra. E poi veniamo tutti dalla zona dove gli alberi nascono e si scavano la fossa: rimangono coi piedi per terra, sbirciano il più in alto possibile durante la loro vita e poi si scavano la fossa proprio lì dove sono sbocciati. Questo già di per sé è un insegnamento: l’importante è essere concentrati sulla musica, sulle cose che mi hanno guidato fin qui e cui tengo”.

Con lo stesso spirito con cui ha affrontato l’Ariston, il cantautore a maggio rappresenterà l’Italia all’Eurovision di Basilea. “Con Tommaso ci avevamo pensato ed eravamo d’accordo che già che eravamo in ballo, avremmo continuato – spiega – a ballare, ma sulla stessa linea di Sanremo, niente fronzoli o fuochi d’artificio, andremo diretti e scarni, al massimo porterò l’armonica”. Tutta altra musica per il “Club Tour 2025”, in partenza il 10 aprile, già tutto esaurito, e le 25 tappe del tour “Estate 2025”, cui si aggiungono gli Ippodromi di Roma e Milano (21 giugno al Rock in Roma, Ippodromo delle Capannelle e 7 settembre al Milano Summer Festival, Ippodromo Snai San Siro). “Non vedo l’ora, anche perché sarò con la stessa banda con cui suono dal liceo” dice Lucio, che per gli ippodromi promette un live molto rock’n’roll in versione allargata con fiati, cori e percussioni, “ma sempre con gli stessi ragazzi con cui facciamo concerti da sempre”.

Ed è in questa sincerità, forse, la chiave del successo di questo 31enne che per fare musica ha dovuto lasciare l’amata Maremma: “In provincia si respira pace, che è noia, e viceversa, è un equilibrio sottile ma sono fortunato ad essere cresciuto in campagna, prima o poi devi fare i conti con la noia e il silenzio ed è fondamentale – sottolinea – per fuggire con l’immaginazione”, come invitano a fare i suoi brani. Un’innocenza tale che non cade nella polemica lanciata dal marionettista e attivista rom Rasid Nikolic, che riascoltando Altalena Boy si è lamentato dell’uso della parola ‘zingari’. Perché in fondo – ricorda Corsi – il lavoro di un cantastorie è proprio quello di “raccogliere le voci di piazza e metterle in una canzone”.

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Achille Lauro: mio più grande lusso è stato sognare

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La scalinata di Trinità dei Monti a Roma, la sua Roma, “amica e amante”; l’abbraccio dei duemila fortunati fan che non si sono fatti fermare dalla pioggia leggera e hanno risposto alla chiamata; la voglia di esserci, di farsi sentire. Achille Lauro presenta così, con un live show annunciato solo poche ore prima, il nuovo album Comuni Mortali, in uscita il 18 aprile per Warner Music Italy. “Roma – spiega l’artista 34enne, reduce dall’ultimo festival di Sanremo con Incoscienti Giovani – è il filo conduttore di questo album, che è la sintesi di ciò che sono oggi. Roma e i suoi vicoli, che mantengono la tradizione di un mondo che non c’è più. Ma è proprio dove esiste la realtà, che esistono le grandi cose. Io rubo dalla realtà, rubo le immagini che vedo. Perché in fondo una canzone non è altro che un sentimento condiviso”.

Comuni Mortali – “un’espressione che racchiude quello che siamo tutti, fragili e uguali” – è il settimo album di Achille Lauro, quello della maturità, un nuovo passaggio per il cantautore che nei lavori precedenti ha attraversato i generi, spaziando dall’urban al glam, dal rock fino al pop. “Oggi non ha più senso parlare di generi. Qualcuno ha detto che ho provato a far saltare la mia carriera ad ogni disco, ma in realtà io mi sento molto coerente con il mio percorso. Questo è un disco che parla di me in maniera diversa, in maniera più consapevole, che mi ha fatto capire veramente chi io sia. Non è pensato per le radio ed è fuori dalle logiche del mercato discografico, che possono essere deleterie per un artista. Non rincorro più il gioco dei numeri, della canzone estiva che fa divertire. I risultati mi interessano solo relativamente a quelli che mi seguono”.

Racconta che Comuni mortali “è ispirato ai grandi del cantautorato romano e italiano. Io sono fan di De Gregori, Califano, Mia Martini, Lucio Dalla. L’ho scritto tra Los Angeles e New York, dove posso andare al supermercato e dove faccio le file fuori dai locali, ed è un disco di dediche d’amore, in tutte le sue forme perché l’amore è l’unica cosa che uno lascia sulla terra: a Roma, a mia madre (per la quale ha scritto il brano Cristina), ai miei grandi amori, ai miei amici. A tutti quelli che hanno contribuiti alla mia musica”. Come la periferia nella quale è cresciuto, alla quale guarda con affetto ma senza mitizzarla. “Sono stra-grato alla mia vita che è stata spericolata, ma anche pericolosa. So di essere stato molto fortunato, ma non mi sento in colpa per chi è rimasto lì: conosco il lato della medaglia di chi non ha niente e quello di chi vive sognando. È questo il mio grande lusso. Sono stato fortunato perché ho scoperto quello che mi piaceva. Il problema è non avere una passione”. L’amore lo canta, ma rivela di non essere ancora pronto a mettere su famiglia.

“Vivo l’amore, ma so anche stare da solo. Quando farò l’atto di coraggio di condividere la mia vita sarà una persona con cui varrà la pena. La mia libertà vale troppo. E poi sono ossessionato dalla perfezione del mio lavoro che non arriverà mai. Un figlio? Mi piacerebbe, ma ho tante cose in testa prima. E poi se esce un piccolo Achille Lauro è un grandissimo danno”. Intanto le donne impazziscono per lui. “Da questo punto di vista non ho mai avuto problemi. Basta un po’ di gentilezza. Oggi impera la cultura del machismo, ma la donna è troppo più superiore di te, ti schiaccia in tre secondi e mezzo. Una donna può rovinarti la vita. Forse sarebbe meglio ripartire dalla gentilezza”. In estate è atteso al Circo Massimo per due date il 29 giugno e l’1 luglio, sold-out. “Per quanto sembri un traguardo, vorrei che fosse un punto di inizio”. E già guarda avanti, molto avanti. “Penso a qualcosa di ancora più grande, Lo stadio nel 2026? Mi piacerebbe, vediamo”. Intanto nel cassetto ha pronto un brano per Mina “una cosa molto bella” e in ballo c’è anche qualche progetto per il grande schermo. “Il cinema si è molto mobilitato dopo il festival, ma più che fare l’attore, mi sento più persona di pensiero”. Da esplorare anche l’estero. “Mi piacerebbe che la mia musica avesse la possibilità di confrontarsi con il mondo. Magari un disco in inglese, un singolo. Quando mi confronto con gente come Drake o Kanye West su pezzi come Rolls Royce rimangono basiti”.

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Rivista Rolling Stone con Geolier lancia “Napoli nelle vene”

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In occasione del lancio del monografico di Rolling Stone co-diretto da Geolier “Napoli nelle Vene” Rolling Stone Italia e BAZR, il primo live social commerce, avviano una collaborazione di diversi media per celebrare la cultura e la musica napoletana. Dall’11 al 17 aprile, Napoli diventa infatti protagonista di un’attivazione culturale progettata dall’editore Urban Vision Group che unisce fisico e digitale, mettendo in risalto la città e le sue voci più rappresentative: il centro propulsore dell’iniziativa è l’edicola di Piazza del Gesù Nuovo, che si trasforma un vero e proprio centro dell’evento musicale.

Il progetto di amplificazione del monografico “Rolling Stone Italia featuring Geolier”, si sviluppa con l’obiettivo di coinvolgimento multi-canale delle community, sposando lo spirito di partecipazione partenopeo con un numero speciale della rivista che si fa narrazione corale: dalla nuova scena urbana secondo Geolier alla musica di Pino Daniele, dal teatro napoletano secondo William Defoe, al volto emergente di Maria Esposito, e all’identità culturale di Napoli, raccontata anche attraverso uno speciale food. Oltre che in edicola, le copie del magazine saranno disponibili per l’acquisto digitale su BAZR che in più vende in esclusiva 350 copie autografate: 100 potranno essere ritirate immediatamente presso l’edicola brandizzata di Napoli, mentre le restanti 250 saranno acquistabili online con spedizione diretta a casa.

“Questo progetto è un esempio perfetto di come l’approccio di editoria cross-mediale possa creare un ecosistema di comunicazione nuovo, basato su sinergie tra il mondo fisico e quello digitale”, dichiara Gianluca De Marchi, CEO di Urban Vision Group ed editore di Rolling Stone Italia. “L’obiettivo – prosegue – è di connettere il pubblico con esperienze che non solo informano, ma emozionano. Il numero di Rolling Stone co-diretto da Geolier, con la sua rilevanza nel panorama musicale, ci ha offerto l’opportunità di celebrare la cultura napoletana su più livelli”. “Siamo entusiasti – afferma Simone Giacomo di BAZR – di collaborare con Rolling Stone Italia per un progetto così speciale. Celebrare un artista come Geolier con una copertina iconica e un’attivazione unica nella sua Napoli ha per noi un significato profondo come anche dare la possibilità ai fan di acquistare su BAZR copie autografate di questo numero”.

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Francesco Renga: «Quando Vasco mi disse che ero troppo bello… e io nemmeno lo sapevo»

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Il cantautore si racconta in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, tra aneddoti, passioni, amicizie e il senso della paternità. «Sanremo 2005, Vasco Rossi era il superospite. Ci incrociamo nella confusione della sala stampa e lui mi dice: “Tu sei troppo bello”». Inizia così il racconto sorprendente di Francesco Renga (Foto Imagoeconomica in evidenza), che in una lunga intervista al Corriere della Sera ripercorre tappe personali e artistiche della sua vita.

Un artista nato per caso (e per amore della musica)

Renga racconta che da adolescente non immaginava nemmeno di diventare una rockstar: «Cantare era divertente e attirava le ragazze», dice sorridendo. La sua prima esibizione importante avviene con i Precious Time, che poi diventeranno i Timoria. Lì inizia la sua vera avventura: «Non facevamo parte della compagnia, non ci invitavano alle feste. Ma la diversità ci rendeva speciali».

L’esplosione con Sanremo e l’angelo di mamma Jolanda

Nel 2005 vince Sanremo con “Angelo”, una canzone che ha segnato anche la sua vita privata: «Era nata mia figlia Jolanda, Ambra era lì sul palco. C’era stato lo tsunami. Sentii la responsabilità di essere padre. Pensai a mia madre, morta quando avevo 19 anni. Un angelo».

Il suo rapporto con le donne, confessa, è profondamente segnato da quella perdita: «Quello che scrivo e faccio è legato a lei. La sua assenza è stato un dolore che ho sempre vissuto come un abbandono».

Ambra, Sabrina, Laura e le altre

Con Ambra Angiolini ha condiviso una storia d’amore intensa, ma iniziata per caso: «Quando mi dissero che mi avrebbe intervistato pensai: “E chi è?”». Poi fu travolto dalla sua bellezza e intelligenza. Racconta anche l’incontro con il padre di Ambra, che gli aprì la porta a torso nudo: «Continuava a riempirmi il bicchiere di vino… alla fine Ambra si arrabbiò con me!».

Renga ha parole di affetto anche per Sabrina Ferilli, conosciuta ad “Amici”, e per Laura Pausini, che lo invitò a cantare in Messico: «Un sogno. Lei non era obbligata a farlo. È una donna generosa».

Il padre, la carriera militare sfiorata, e la passione per la cucina

Suo padre, sottufficiale della Guardia di Finanza, sognava per lui l’Accademia militare: «Passai la prima fase per quieto vivere, ma poi gli dissi la verità: volevo fare musica». A insegnargli a cucinare fu proprio il padre: «Io preparavo i pranzi quando Ambra lavorava. Lei fa solo le torte!».

La musica come casa, Nek come fratello

Dopo la morte della madre e con la famiglia dispersa, Renga trovò una nuova “famiglia” nei Timoria: «La sala prove era la mia casa». Con Nek, racconta, ha un’amicizia solida, cementata da due anni di tour e da valori comuni: «Famiglia, figlie. Anche le vacanze insieme».

Il mito Renato Zero, l’incontro con Giovanni Paolo II

Da ragazzo era un sorcino, e con Renato Zero ha condiviso il palco allo stadio Bentegodi: «Mi truccò lui per stemperare la tensione». Renga racconta anche l’emozione dell’incontro con Papa Wojtyla: «Sentii suonare le cornamuse mentre entrava nella sala. Non c’erano, ma la sua energia era così potente da trasformarsi in musica nella mia testa».

Un padre presente (e un figlio che lo tiene d’occhio)

Con i suoi figli Jolanda e Leonardo ha un rapporto profondo: «Jolanda è bravissima a scrivere e a cantare, ma è anche spietata con i consigli. Leonardo è più introverso, più orso, come me». Renga racconta con autoironia: «A casa organizzo cene e bevo qualche bicchiere di vino. Leonardo guida e riporta tutti a casa. Una volta gli ho chiesto: “Una birra non te la bevi mai?”. Mi ha risposto: “Papà, non voglio diventare come te”».

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