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Economia

Corre il risparmio, patrimonio oltre i 2.500 miliardi

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Corre il risparmio gestito nel 2024. Il mercato italiano archivia l’anno con un patrimonio di 2.509 miliardi di euro, in netto aumento dai 2.463 miliardi euro registrati alla fine del terzo trimestre e dai 2.338 miliardi di euro a fine 2023. La mappa del quarto trimestre di Assogestioni certifica un bilancio positivo anche sul fronte della raccolta netta che è di 33 miliardi di euro nell’intero anno con un balzo di 25 miliardi di euro da ottobre a dicembre.

“Continuo a guardare alla nostra industria come un’industria sana, che riflette un Paese che risparmia e che ha un approccio verso il risparmio molto positivo. Il settore è cresciuto anche in Europa. Quindi stiamo parlando di un ecosistema importante, nel quale l’Italia, grazie al proprio risparmio, sta facendo un’ottima figura”, evidenzia il presidente dell’associazione Carlo Trabattoni.

“L’ andamento del patrimonio, arrivato a sfiorare i 1.280 miliardi euro a fine anno, è stato determinato – spiega il direttore dell’ufficio studi di Assogestioni, Alessandro Rota – da due spinte, entrambe di segno positivo: una raccolta netta di 9,5 miliardi di euro e un effetto mercato pari a +1,2% equivalente a circa 15 miliardi di euro”.

Nel dettaglio “il 2024 è stato l’anno degli obbligazionari che nei dodici mesi hanno attratto oltre 50 miliardi di euro di nuovi capitali, con un picco di più di 15 miliardi di euro nel primo trimestre”, aggiunge Rota rilevando che “la raccolta netta degli ultimi tre mesi dell’anno è stata di 12 miliardi euro”. Tuttavia l’Italia continua a detenere, “un primato un po’ meno positivo” e cioè che “molti risparmi – ricorda Trabattoni – rimangono ancora fermi sui conti correnti e questo per il Paese è un detrattore significativo. Se potessimo dare sbocco a questa liquidità sugli investimenti produttivi, certamente – sottolinea il presidente dell’associazione – ne beneficerebbero sia gli individui che il Paese”.

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Economia

L’occupazione cresce, ma l’Italia resta ultima in Ue

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Il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni in Italia nel quarto trimestre cala di 0,1 punti sul terzo trimestre e aumenta di 0,2 punti sullo stesso periodo del 2023 fissandosi al 62,2%. Ma, nonostante la crescita tendenziale, cresce il gap con la media Ue che si attesta a 8,7 punti dagli 8,6 del quarto trimestre 2023. Il passo indietro riguarda soprattutto per il lavoro femminile. La fotografia, che vede l’Italia fare progressi sul fronte del lavoro chè però non riescono a colmare il divario rispetto agli altri Paesi, è quella delle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali l’Italia si conferma ultima tra i 27 per tasso di occupazione.

Il divario per le donne è ancora più ampio con il tasso di occupazione che nell’ultimo trimestre del 2024 era al 53,1% in Italia e al 66,3% e nell’Ue a 27. In media si tratta di un gap di 13,2 punti, che sale rispetto ai 12,8 del quarto trimestre 2023. Appena meglio dell’Italia fa la Romania con il 54,9% ma se si guarda altri Paesi, come la Germania, il confronto appare ancora più penalizzate visto che è occupato il 74,2% delle donne in età da lavoro. In Italia esiste quindi un “esercito di riserva” di donne che però deve fare i conti con la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e le difficoltà nelle strutture di sostegno alla famiglia come i nidi, la scuola a tempo pieno, oltre ad aiuti per la cura degli anziani in un Paese nel quale il peso dell’impegno tra generi nel ‘welfare familiare’ è ancora molto sbilanciato.

Questo ha impatto anche sul lavoro. Mentre per le donne il divario con l’Ue è aumentato per gli uomini in età da lavoro la distanza nel tasso di occupazione con l’Europa si è invece ridotta a 4,1 punti dai 4,3 del quarto trimestre 2023. Nel quarto trimestre 2024 infatti lavorava in Italia il 71,3% degli uomini tra i 15 e i 64 anni a fronte del 75,4% nell’ Ue a 27. La distanza è ancora minore nella fascia degli uomini tra i 25 e i 54 anni, coorte centrale della popolazione in età da lavoro, ormai uscita dal percorso di formazione e non ancora in età da pensione neanche anticipata, con l’87,5% al lavoro in Ue e l’84,4% in Italia. Anche l’occupazione giovanile rimane un punto dolente per l’Italia.

Il divario resta forte con l’Europa. Tra i 15 e i 24 anni l’occupazione complessiva è al 19,2% in Italia ma si confronta con il 34,8% europeo. Il fossato che divide i giovani italiani da quelle europei è di 15,6 punti ed è cresciuto visto che nel solo quarto trimestre 2024 i dati italiani mostrano un peggioramento di un punto se si confrontano a quelli dello stesso periodo dell’anno precedente. Il divario è sempre a due cifre ma appena meno penalizzante per i giovani di sesso maschile: tra i 15 e i 24 anni l’occupazione è al 23,6% in Italia con 13,3 punti in meno rispetto all’Ue che si attesta al 36,9%. Guardando alle diverse fasce d’età, in quella centrale l’Italia arranca per l’occupazione femminile: lavora il 64,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni a fronte del 77,8% medio in Ue. Per le donne, poi, il tasso è di quasi 20 punti inferiore a quello degli uomini nel nostro Paese nella stessa fascia di età (84,4%) mentre era di 19,1 punti un anno fa.

Il gap tra i sessi è aumentato. Il divario, in questa fascia, è invece di 13.2 punti rispetto al 77,8% dell’Ue. La differenza diminuisce per le più anziane, tra i 55 e i 64 anni (10,6 punti di differenza tra il 49,2% dell’Italia e il 59,8% dell’Ue) e cresce tra le giovani di 15-24 anni (18 punti il 32,5% medio in Ue e il 14,5% in Italia). Se si considerano i sessi, il divario rimane anche se si guarda al tasso di occupazione complessivo, tra i 15 e i 64 anni: la percentuali di uomini e donne al lavoro è del 62,2% ma anche in questo è frutto di una media alla Trilussa con gli uomini al 71,3% e le donne al 53,1% con un divario di genere che sale a 18,2 punti dai 17,7 dell’ultimo trimestre 2023. La lettura dei dati è comunque opposta tra i partiti. Se il responsabile lavoro del Pd Arturo Scotto parla di una “certificazione del fallimento delle politiche del governo Meloni”, il senatore dei Fratelli d’Italia Ignazio Zullo rivendica “Il primato del governo Meloni di oltre un milione di persone tornate al lavoro”.

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Assogestioni lavora a lista Generali, incerto deposito

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Assogestioni sta preparando una lista di candidati per il rinnovo del cda di Generali, che in prospettiva può essere l’ago della bilancia per l’esito dell’assemblea del 24 aprile. Ma non ha ancora ufficialmente deciso se presentarla. Per sciogliere il nodo è stato riaggiornato a lunedì prossimo il Comitato dei gestori che si tenuto in giornata in una riunione dal carattere interlocutorio. I tempi tuttavia stringono dato che il termine per il deposito delle liste è infatti il 29 marzo, 25 giorni prima della data della prima convocazione (23 aprile) dell’assemblea a Trieste. Lunedì quindi è probabile una decisione e l’orientamento sarebbe quello di presentare la lista anche se non si è ancora trovata una quadra tra interesse contrapposti che vanno da Mediobanca ad Anima.

A mediare ci sarebbero i maggiori gestori italiani rappresentati in Assogestioni, il gruppo Intesa Sanpaolo e Poste, mentre il coordinatore del Comitato, Emilio Franco (Mediobanca) avrebbe lasciato loro spazio. Pesa il confronto in atto fra i maggiori soci di Generali. Da una parte Mediobanca, pronta a presentare una lista di maggioranza dove candidare l’attuale ceo Philippe Donnet, dall’altra Francesco Gaetano Caltagirone, sostenuto da Delfin, che prepara una lista fino a 6 nomi. A rendere delicata la discesa in campo della lista di Assogestioni contribuisce il fatto che su quest’ultima potrebbe confluire il voto di Unicredit, ed diventare decisiva per l’esito del voto assembleare e poi per gli equilibri all’interno del nuovo cda. Con il rischio anche di ingovernabilità.

L’organo dell’associazione – composto dai rappresentanti delle Sgr e dagli investitori istituzionali con il compito di scegliere i candidati per l’elezione e la cooptazione di amministratori e sindaci di minoranza nella società italiane quotate in Borsa – deve in prima battuta scegliere i nomi che saranno verosimilmente 3 come nell’ultima assemblea di Generali, quando Assogestioni non aveva raccolto abbastanza voti per avere un rappresentante in consiglio. Allora c’erano in campo la lista del cda uscente sostenuta da Mediobanca e quella antagonista, sempre di maggioranza, messa in campo dal gruppo Caltagirone e da Delfin degli eredi di Leonardo Del Vecchio. Senza Unicredit come socio di peso.

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Economia

Terna, piano da 23 miliardi d’investimenti in 10 anni

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Ventitre miliardi di euro di investimenti nella rete elettrica in dieci anni per integrare al meglio le fonti rinnovabili e aumentare la capacità di trasporto. Il Piano di sviluppo 2025-2034 di Terna prevede un aumento delle risorse del 10% rispetto al piano precedente per rispondere “alle urgenti necessità” imposte dal contesto attuale, come ha detto l’amministratrice delegata e direttrice generale, Giuseppina Di Foggia (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Le richieste di connessione di impianti rinnovabili, di sistemi di accumulo e, sempre più negli ultimi mesi, di Data Center, sono in costante aumento”, ha osservato Di Foggia evidenziando come le domande per data center siano cresciute di sei volte nel 2024 rispetto all’anno precedente e di oltre 20 dal 2021. Sono richieste che nel breve e nel medio termine, l’a.d. è “molto sicura” di poter sostenere. La società, al tempo stesso, ha adottato un nuovo processo di programmazione territoriale delle infrastrutture per fare fronte al rischio di saturazione virtuale della rete da parte di domande per impianti che non vengono realizzati. Una misura in tal senso è allo studio anche del governo.

DA DX IGOR DI BIASIO, PRESIDENTE TERNA; GILBERTO PICHETTO FRATIN, MINISTRO DELL’AMBIENTE; GIUSEPPINA DI FOGGIA AD E DG TERNA; STEFANO BESSEGHINI PRESIDENTE ARERA (FOTO IMAGOECONOMICA)

Pichetto ha detto di puntare a definire, nei prossimi giorni, “un meccanismo affinché o gli impianti rinnovabili si fanno o la procedura decade” e ha spiegato come al momento la rete sia satura fittiziamente per le richieste di impianti che, dopo 3, 4 o 5 anni, magari non vengono realizzati. Anche il presidente dell’Autorità dell’energia (Arera), Stefano Besseghini, ha sottolineato la necessità di capire “la credibilità di 350 GigaWatt di richieste di connessione alla rete” per impianti rinnovabili. Questi numeri, secondo l’analisi di Terna, superano ampiamente il fabbisogno e gli obiettivi nazionali.

Nel piano della società, 6 miliardi sono destinati a completare, entro il 2030, tre infrastrutture determinanti per la transizione: il Tyrrhenian link, che unirà la Sicilia alla Campania e alla Sardegna, l’Adriatic link tra Abruzzo e Marche, il collegamento tra Sardegna, Corsica e Toscana. Per quell’anno sarà completato inoltre il ponte energetico Italia-Tunisia, nell’ambito del piano Mattei. Di Foggia ha dato appuntamento alla stampa tra maggio e giugno per il completamento della posa del cavo sottomarino del Tyrrhenian link da Termini Imerese a Battipaglia. “Il piano di sviluppo migliora il Paese”, ha detto il presidente di Terna Igor De Biasio “riusciamo a essere abilitatori verso la transizione energetica e verso la decarbonizzazione, anche unendo, connettendo e integrando i territori”.

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