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Coordinamento “Aprite le scuole”, Pratillo: non sono focolai del virus, la Campania si adegui al resto del Paese 

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Sin dalla sua implementazione, la didattica a distanza è stato un tema estremamente diviso. I suoi fautori ne hanno celebrato l’efficacia, sostenendone la necessità per ridurre i contagi e i rischi per la salute degli studenti. I detrattori, d’altro canto, hanno evidenziato il profondo impatto psicologico che a lungo andare può avere, soprattutto sui più piccoli, una scuola senza interazioni e vissuta unicamente davanti al monitor di un computer. In Campania la chiusura prolungata delle scuole in presenza ha suscitato molte polemiche. È nato così il Coordinamento Scuole Aperte Campania, che ha promosso e vinto molti ricorsi al Tar per il ripristino della didattica in presenza. Palmira Pratillo, una delle mamme promotrici del coordinamento, spiega le ragioni del suo sostegno alla causa: chiudere le scuole non ha portato ad un abbassamento della curva dei contagi, ma sta provocando danni incalcolabili per la salute psicofisica e l’apprendimento di bambini e ragazzi.

Pratillo, come nasce il ”Coordinamento Scuole Aperte Campania”?

Il coordinamento è nato attorno al 16 ottobre 2020, dopo la prima ordinanza di De Luca di chiusura delle scuole. Io e altre due mamme abbiamo dato vita ad una campagna di sensibilizzazione con dei cartelloni affissi per le strade di Napoli. Abbiamo lanciato una raccolta fondi per sostenere la campagna e in meno di ventiquattro ore abbiamo raggiunto la cifra necessaria. In seguito è nato il gruppo Facebook del Coordinamento Scuole Aperte Campania, che conta ad oggi quasi 13mila membri. Da quel momento abbiamo tentato più volte di interagire con la Regione, senza mai ottenere alcun tipo di udienza. Abbiamo quindi intrapreso le vie legali per far sentire la nostra voce, promuovendo il ricorso per la riapertura delle elementari e quello del Codacons con gli avvocati Marchetti e Clarizia, con cui il Tar ha deciso per la riapertura delle superiori il 1 febbraio.

Palmira Pratillo. Una delle mamme promotrici del coordinamento “aprite le scuole”

Qual è l’impatto psicologico della didattica a distanza su bambini e ragazzi?

Noi genitori ci siamo posti anzitutto il problema della sicurezza, non siamo degli irresponsabili. Abbiamo cercato di comprendere se le scuole fossero un potenziale acceleratore dei contagi e proprio in occasione dei ricorsi al Tar, ci siamo affidati all’epidemiologa Sara Gandini e al gruppo di scienziati “Pillole di ottimismo”. La relazione allegata ai ricorsi rileva che, a fronte di una ridotta possibilità di contrarre il virus in aula, sono stati invece riscontrati molti problemi di natura psicofisica, oltre che danni dell’apprendimento. Si consideri poi che in contesti svantaggiati non tutti hanno avuto un accesso agevole alla didattica a distanza; ciò ha comportato un notevole abbandono scolastico, soprattutto per le scuole superiori.

Qual è, ad oggi, la situazione delle scuole campane?

Le medie sono tornate in classe il 25 gennaio, le superiori dal 1 febbraio con una didattica alternata in presenza al 50%. Era ciò che conteneva il dpcm del 14 gennaio: il Tar non ha fatto altro che ordinare alla Regione Campania di adeguarsi alla normativa nazionale. Il problema però è che la Regione ha demandato ai sindaci la possibilità di chiudere le scuole. Il sistema di alert previsionali utilizzato consente ai sindaci di chiudere le scuole qualora nel comune l’incidenza del virus risulti superiore alla media regionale. Funziona così. Se in una scuola c’è un contagiato, allora si chiude la singola classe. Ma se nella scuola vi sono due o tre casi, anche in classi diverse, si chiude l’intero plesso e non la singola classe, come stabilito dal protocollo nazionale. Addirittura, se in un’area comunale, vi sono dei contagi all’interno di due istituti diversi, si procede alla chiusura di tutte le scuole del comune. A noi sembra un sistema sproporzionato. Ci sono poi altri fattori che non ci convincono. 

Momenti della manifestazione di protesta contro la chiusura delle scuole in Campania voluta dal Presidente della Giunta regionale Vincenzo De Luca in base alla lettura dialcuni dati relativi al contagio COVID19.
Ph. Mario Laporta/KONTROLAB

Quali?

L’unità di crisi, nella relazione tecnica dove sono riportati questi alert, chiarisce che nel caso in cui in un comune si registri un’incidenza superiore alla media regionale, bisogna procedere ad un’analisi per fasce d’età, valutando così a quale fascia va attribuito l’aumento dei contagi. Talvolta si registra, ad esempio, che l’aumento è nella fascia 50-60 anni, ma il comune in questione procede comunque alla chiusura di tutte le scuole, una cosa che non ha alcun senso logico. L’ultima relazione tecnica che riporta i dati di tutti i comuni che superano la soglia di rischio, risale all’11 febbraio; da quel momento i cittadini non hanno avuto la possibilità di accedere agli atti. I dati arrivano solo ai sindaci attraverso la piattaforma Sinfonia e sulla base di questi, chiudono tutte le scuole. I cittadini devono quindi procedere ad una richiesta di accesso agli atti, che ha tempi burocratici molto lunghi. Servirebbe maggiore trasparenza.

Per questo avete incominciato a promuovere i ricorsi al Tar?

Lo abbiamo fatto anzitutto contro quei comuni che chiudevano le scuole addirittura senza figurare nella lista dei comuni attenzionati. E il Tar ha dato ragione ai ricorsisti. Si sono chiuse le scuole in maniera del tutto arbitraria, talvolta per uno o due contagi in tutto il paese. In alcuni casi addirittura senza indicare la data di fine ordinanza: scuole chiuse fino a data da destinarsi. È scandaloso. I comuni che hanno chiuso le scuole dovrebbero essere una trentina, nel napoletano e nell’agro nocerino sarnese. Ma la chiusura non può essere arbitraria, il Tar nelle due sentenze che fecero riaprire le scuole campane, ha chiarito che bisogna valutare un rischio puntuale, cioè in  una determinata area circoscritta e per un periodo determinato. Non ci possono essere chiusure generalizzate in tutta la Regione. 

Momenti di una manifestazione di protesta contro la chiusura delle scuole in Campania (Ph. Mario Laporta/KONTROLAB)

Come giudica la chiusura prolungata da parte della Campania rispetto al comportamento adottato dagli altri presidenti di Regione?

È stata proprio questa disparità a far scattare la protesta. Qui la scuola è iniziata il 1 ottobre, dopo le elezioni, e il 16 ottobre la Regione ha chiuso le scuole di ogni ordine e grado. Nel resto d’Italia, anche nella Lombardia in zona rossa, ad esempio, le scuole sono andate avanti in presenza fino alla prima media. La Campania costituisce un’anomalia nazionale, se non addirittura europea. Da nessun’altra parte le scuole sono rimaste chiuse così a lungo, da ottobre a febbraio. Nella relazione presentata coi ricorsi al Tar è stato dimostrato proprio questo: la chiusura delle scuole in Campania non ha minimamente contribuito ad abbassare la curva dei contagi. È stato fatto un parallelo con la Lombardia; nella nostra Regione la curva si è abbassata molto tempo dopo, nonostante lì fossero aperte le scuole fino alla prima media e qui fossero totalmente chiuse. 

Momenti di una manifestazione di protesta contro la chiusura delle scuole in Campania (Ph. Mario Laporta/KONTROLAB)

Che cosa si evince dai dati dei contagi nelle scuole?

I dati ci dicono che a fronte di un positivo presente in aula, nella maggior parte dei casi non segue un contagio. Significa che, mantenendo distanziamento e facendo arieggiare con frequenza le aule, all’interno delle classi non si sviluppano focolai. Anche l’Iss, con un’indagine a tappeto sulle scuole italiane svolta fra il 1 settembre e il 7 dicembre, ha rilevato che la scuola ha inciso solo per il 2% dei contagi. Il primo luogo di contagio è il mondo sanitario, poi le famiglie e i luoghi lavorativi non scolastici. Per noi tenere le scuole chiuse non solo non ha nessun vantaggio dal punto di vista del contenimento del virus, ma comporta gravi danni psicofisici, fra cui un aumento dei tentativi di suicidi e di atti di autolesionismo, come dichiarato da Stefano Vicari, direttore del reparto di neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù. Significa che l’isolamento su bambini e ragazzi genera dei danni enormi, molti dei quali saranno visibili solo a lungo termine. Anche la presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello, ha confermato che il danno didattico è enorme, addirittura con buchi dell’apprendimento del 20% in media, e si sale addirittura al 50% nei contesti svantaggiati. Bisogna correre ai ripari.

Che cosa ha pensato davanti agli assembramenti di questi giorni sul lungomare e in tante zone della città?

Scatta la rabbia, inizi a pensare che questo non è un Paese per giovani: abbiamo sacrificato un’intera generazione per consentire il consumismo. Non è stato dato il giusto peso alle cose fondamentali. Bisogna rivedere la scala dei valori di questa nazione. Faccio sempre il confronto con la Francia, che da settembre ad oggi non ha mai chiuso le scuole, anche a fronte di un aumento dei contagi. Macron dichiarò che per lui la scuola è un servizio essenziale; casomai si chiude tutto il resto, ma la scuola deve andare avanti perché bisogna puntare sulle generazioni future.

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Influenza e Covid, attesa crescita con ritorno a scuola

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La riapertura delle scuole dopo le festività natalizie potrebbe dare un’ulteriore spinta alle infezioni respiratorie: influenza, soprattutto, ma anche Covid-19 e virus respiratorio sinciziale. È il timore espresso da più parti e confermato anche dalla Società Italiana di Pediatria. “Con il rientro dei bambini a scuola ci aspettiamo un aumento dei casi di influenza anche se – c’è da dire – durante il periodo delle vacanze non si è osservato un calo dei contagi, probabilmente per le occasioni di vita sociale durante le festività.

Inoltre, siamo nel momento del clou del virus respiratorio sinciziale”, dice Rino Agostiniani, consigliere nazionale della Società Italiana di Pediatria, che sottolinea che “è importante che i bambini che hanno sintomi influenzali rimangano a casa”. “Ho scritto al ministro della Salute con l’obiettivo di accedere un faro su una malattia che provoca, soprattutto tra i neonati, gravi patologie, anche mortali: la bronchiolite.

La Commissione europea ha autorizzato il vaccino Nirsevimab che ha già passato severissime e rigidissime misure di controllo da parte di Ema. Questo farmaco potrebbe essere uno strumento fondamentale per la lotta alla bronchiolite ed è arrivato il momento che venga adottato anche nel nostro Paese, quanto prima”, ha intanto fatto sapere Orfeo Mazzella, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari Sociali al Senato, citando il caso di una neonata di tre mese morta a fine anno probabilmente proprio a causa di questo virus.

Intanto nelle ultime due settimane, in Italia, l’influenza e le sindromi simil-influenzali hanno fatto registrare numeri da record: due milioni di persone messe a letto solo nelle ultime due settimane dell’anno, con tassi elevati soprattutto nei bambini più piccoli “che sono quelli nel corso degli ultimi anni non hanno sviluppato un patrimonio immunitario per difendersi dall’infezione”, spiega Agostiniani. Covid-19, al contrario, nell’ultima rilevazione del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità ha mostrato un lieve rallentamento.

Tuttavia, nel mondo sembra che i contagi abbiano ripreso a salire: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle ultime 4 settimane ci sono stati 850mila casi di Covid nel mondo, con un aumento del 52% rispetto al mese precedente. I numeri reali, tuttavia, potrebbero essere molto più alti.

“Sappiamo che in tutto il mondo le segnalazioni sono diminuite, i centri di sorveglianza sono diminuiti, i centri di vaccinazione sono stati smantellati o chiusi. Questo fornisce un quadro incompleto della situazione e purtroppo dobbiamo aspettarci più casi di quelli che abbiamo dichiarato ufficialmente”, ha detto Christian Lindmeier dell’Oms.

Che la situazione stia peggiorando si intuisce anche dai ricoveri: tra il 13 novembre e il 10 dicembre, nei Paesi che segnalano sistematicamente i dati all’Oms e che sono ormai meno di 60, sono stati registrati più di 118 mila nuovi ricoveri per Covid e più di 1.600 nuovi ricoveri in terapia intensiva, con un aumento rispettivamente del 23% e del 51%.

La ripresa dei contagi potrebbe essere legata alla nuova JN.1 del virus Sars-CoV-2. I dati che arrivano dagli Stati Uniti sembrano confermarlo. Secondo le ultime stime dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) nell’ultima settimana JN.1 è arrivata al 61,6% di prevalenza. JN.1, che ormai è dominante anche in Italia, discende dalla variante BA.2.86 (Pirola) ed è stata isolata proprio negli Stati Uniti lo scorso settembre. Per i Cdc “al momento non vi è alcuna indicazione di un aumento della gravità da JN.1”. Tuttavia, è possibile che “questa variante possa determinare un aumento delle infezioni”.

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Covid, meno ricoveri in ospedale e meno contagi

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L’indice di trasmissibilità per il Covid-19 basato sui casi con ricovero ospedaliero al 26 dicembre si conferma sotto soglia epidemica e sostanzialmente stabile con 0,75; in leggera diminuzione anche i ricoveri sia nei reparti che i terapia intensiva. Anche l’incidenza di casi Covid-19 diagnosticati e segnalati nel periodo 28 dicembre 2023-3 gennaio 2024 è in lieve diminuzione pari a 66 casi per 100.000 abitanti rispetto ai 70 della settimana precedente. Il numero di nuovi contagi segnalati è 38.736 contro i 40.988 della settimana precedente e i 60.556 della settimana ancora prima. Questo quanto emerge dall’ultimo monitoraggio del ministero della Salute-Istituto Superiore di Sanità, in cui viene spiegato che, per l’Rt, i valori potrebbero essere sottostimati “a causa di un ritardo di notifica dei ricoveri durante i giorni festivi” e per l’incidenza “in parte per una ridotta frequenza di diagnosi effettuate durante i giorni festivi”.

Per le ospedalizzazioni, al 3 gennaio l’occupazione dei posti letto in area medica risulta pari al 10,1% (6.320 ricoverati) rispetto all’11,0% rilevato al 27 dicembre 2023. In riduzione anche l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 2,8% (246 ricoverati), rispetto alla settimana precedente (3,2% al 27 dicembre 2023). I tassi di ospedalizzazione e mortalità, viene rilevato nel monitoraggio, aumentano con l’età, presentando i valori più elevati nella fascia d’età 90+ anni; anche il tasso di ricovero in terapia intensiva aumenta con l’età. L’incidenza settimanale dei casi diagnosticati e segnalati risulta in diminuzione nella maggior parte delle Regioni e Province.

L’incidenza più elevata è stata riportata nella Regione Lazio (128 casi per 100.000 abitanti) e la più bassa in Sicilia (6 casi per 100.000 abitanti). Le reinfezioni sono al 43% circa, in lieve diminuzione rispetto alla settimana precedente. Per quanto riguarda le varianti, alla data della più recente indagine rapida condotta dall’11 al 17 dicembre 2023, JN.1 (discendente di BA.2.86) è predominante, con una prevalenza nazionale stimata pari a 38,1%. Si conferma, inoltre, se pur con valori di prevalenza in diminuzione, la co-circolazione di ceppi virali ricombinanti riconducibili a XBB, ed in particolare alla variante d’interesse EG.5 (prevalenza nazionale stimata pari a 30,6%).

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In Spagna torna mascherina contro boom virus respiratori e Covid

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Un appello al “buon senso” e la raccomandazione “ad avere sempre a portata di mano la mascherina” da indossare negli ambienti affollati o sui trasporti pubblici è stato lanciato oggi dalla ministra spagnola di Sanità, Monica Garcia, a causa del “notevole aumento” di virus respiratori registrati negli ultimi giorni, che hanno già portato in emergenza numerosi centri di salute e servizi di pronto soccorso ospedalieri. In una dichiarazione alla tv nazionale Rtve, Garcia ha fatto riferimento all’incidenza attuale di virus respiratori “di 1.000 casi per 100.000 abitanti”, secondo il rapporto settimanale dell’Istituto Carlos III di riferimento.

“Il tasso di ricoveri, nonostante il lieve aumento, si mantiene basso, sotto i 30 casi per 100.000 abitanti”, ha aggiunto, ma “è prevedibile che continuerà a intensificarsi nei prossimi giorni”. La ministra ha convocato per lunedì il Consiglio interterritoriale del Sistema sanitario nazionale di salute, per “unificare i criteri per “affrontare i picchi di virus respiratori”, dopo che regioni come la Catalogna e la Comunità Valenziana hanno ripristinato da oggi l’obbligo di mascherina in ospedali, centri sanitari e residenze di anziani.

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