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Conte revoca il sottosegretario Siri, l’intero Consiglio dei Ministri ha espresso fiducia e apprezzamento nel premier

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Sulla proposta di revoca del sottosegretario Armando Siri avanzata dal premier Giuseppe Conte, a quanto si apprende da fonti di governo, non c’è stata alcun voto nella riunione. Da tutti i ministri, si apprende ancora, è stata espressa fiducia nel capo del governo.

Consiglio dei Ministri. La Lega non rompe il Governo e sostiene Conte anche nella revoca di Siri

“Grazie a quello che abbiamo proposto come M5s il Consiglio dei ministri ha deciso di avviare la procedura di revoca dell’incarico di sottosegretario” ad Armando Siri, “perchè quando si parla di inchiesta di corruzione e mafia la politica deve agire prima della giustizia” ha dichiarato il vicepremier M5s Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. “Per me è un grande orgoglio di fare parte di questo governo e della decisione presa da tutti quanti insieme”, aggiunge. “Ho la piena fiducia di tutti? Questo è un passaggio di alta valenza politica e sia chiaro che ci deve essere la piena condivisione del metodo e anche della soluzione che oggi porto”. È quanto ha detto, secondo quanto spiegano fonti di governo, il premier Giuseppe Conte nell’ambito della proposta della revoca del sottosegretario Armando Siri avanzata in Cdm. E la risposta, spiegano le stesse fonti, è stata positiva da parte di tutti i ministri presenti. Di tutti. Lega e M5S. “Altri casi simili si possono presentare anche in futuro e io rivendico il metodo adottato oggi anche per il futuro, rivendico di poter discernere – senza alcun condizionamento e senza alcun automatismo nè favorevole nè contrario – caso per caso. Se perdiamo al fiducia dei cittadini non potremmo più averli al nostro fianco e non potremo agire come governo del cambiamento”. È quanto avrebbe  sottolineato il premier Giuseppe Conte proponendo la revoca del sottosegretario Armando Siri in Cdm.

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Salvini precetta i sindacati sui trasporti, è scontro

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E’ muro contro muro tra Salvini e i sindacati di base: l’incontro di oggi tra le parti per cercare di scongiurare lo sciopero di venerdì prossimo, che coinvolgerà anche i mezzi di trasporto pubblici, si è concluso senza nessun accordo. Immediata quindi la risposta di Salvini che ha deciso di precettare i lavoratori che protestano e di ridurre da 24 a 4 ore la mobilitazione. Ma l’Usb non ha intenzione di fare un passo indietro e conferma che lo sciopero si farà e resterà di un giorno intero. “E’ mio piacere e mio dovere ascoltare” ha detto Salvini sottolineando che il diritto di sciopero “è sacrosanto”. Ma si tratta del penultimo venerdì prima di Natale e quindi di un periodo “fondamentale per milioni di italiani”: per questo, ha detto, uno sciopero di 24 ore “era inammissibile”. Al termine dell’incontro il ministro dice di aver chiesto di ridurre le ore di sciopero, “mi hanno detto educatamente di no”. E per questo “formalizzerò la mia richiesta di ridurre a 4 ore la giornata di sciopero per garantire a chi vuole scioperare il proprio diritto, ma per non bloccare l’Italia intera a 10 giorni dal Natale”.

Per il sindacato di base l’incontro con Salvini “si è dimostrato una liturgia” e per questo, per tutta risposta, ” Usb conferma lo sciopero nella sua forma originaria. Non cediamo alle richieste del ministro che ha rilanciato a mezzo stampa, non appena finito l’incontro, l’intenzione di ridurre lo sciopero a 4 ore”. A questo punto coloro che aderiranno alla mobilitazione potrebbero anche rischiare una serie di sanzioni: da 500 a 1.000 euro per singolo lavoratore e da 2.500 a 50.000 per singola organizzazione sindacale. Ma l’Usb dice di aver ribadito al ministro che la commissione di garanzia non ha trovato niente da eccepire sullo sciopero generale del 13 dicembre, che coinvolgerà tutte le categorie pubbliche e private oltre quella dei trasporti.

E proprio per questo il sindacato sconsiglia Salvini a procedere con un’ordinanza visto che già lo scorso anno, in una situazione analoga, il sindacato “aveva disobbedito alla precettazione e aveva fatto ricorso al Tar, vincendolo”. Il ragionamento del ministro tuttavia va oltre il singolo problema di venerdì prossimo e arriva a toccare un nodo normativo più generale. “Si potrà e si dovrà ragionare insieme ai sindacati, non contro i sindacati, di un aggiornamento della legge sullo sciopero” afferma osservando che è cero che si tratta di un diritto costituzionale garantito, “ma se c’è più di uno sciopero al giorno vuol dire che anche lo strumento sciopero va aggiornato all’anno 2025”. Per questo, a suo parere, “anche ripensare alla forma sciopero, sia nell’interesse degli scioperanti e dei lavoratori sia nell’interesse degli altri lavoratori, penso che sia utile”. E andrà fatto “non contro ma insieme” raccomanda.

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Stretta del Governo sui cronisti, non si pubblicano ordinanze cautelari

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Arriva la stretta del governo sulla cronaca giudiziaria. Non sono state introdotte nuove sanzioni, ma ora scatta il divieto di pubblicazione “delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Lo prevede il decreto legislativo approvato oggi in Consiglio dei ministri, che era stato ribattezzato “legge bavaglio” dalle opposizioni e dalla Federazione nazionale della stampa. Il provvedimento, si legge, ha accolto le osservazioni delle commissioni parlamentari “solo in riferimento all’ampliamento del contenuto della norma, ma non all’introduzione di un nuovo apparato sanzionatorio”.

Durante l’esame della misura, infatti, dalla maggioranza e da Italia Viva erano arrivate indicazioni per introdurre multe sia per i giornalisti che per gli editori (fino a 500mila euro). La scure non è però passata al vaglio finale della riunione di Palazzo Chigi. E c’è già chi si è organizzato diversamente. Proprio oggi a Milano è stato siglato un protocollo, “il primo di questo genere in Italia”, che permetterà ai giornalisti accreditati al Palazzo di Giustizia di chiedere formalmente ed ottenere copie delle ordinanze cautelari dell’ufficio gip o alcuni altri atti giudiziari, come decreti o sentenze, secondo “una definizione di interesse pubblico” che terrà conto di un preciso “decalogo”. Il documento ‘pilota’ è firmato dal presidente del tribunale milanese, Fabio Roia, dal procuratore Marcello Viola e dai rappresentanti degli ordini degli avvocati e dei giornalisti.

Secondo Viola con la nuova legge “non cambia nulla. Nelle ultime due ordinanze significative”, quelle sul caso che riguarda le Curve Nord e Sud dello stadio Meazza e quella con al centro la presunta rete di cyber-spie, “i gip hanno fatto un lavoro di sintesi e assemblaggio evidenziando solo gli elementi del grave quadro indiziario e tutelando i terzi estranei”.

Il codice di procedura penale prevedeva già all’articolo 114 il divieto di pubblicazione, “anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”, ma faceva eccezione per l’ordinanza che dispone la misura cautelare.

Il nuovo decreto legislativo cassa questa eccezione ed aggiunge un comma che vieta esplicitamente “la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali”. Si tratta di disposizioni, recita l’articolo 1 il provvedimento, “per il rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza delle persone fisiche sottoposte a indagini o imputate in un procedimento penale in attuazione della direttiva (Ue) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016”.

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La Corte costituzionale conferma i limiti ai mandati dei sindaci

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Non è manifestamente irragionevole la scelta legislativa di stabilire, a seconda della dimensione demografica dei Comuni, un limite ai mandati consecutivi dei sindaci, sempre che essa realizzi un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali coinvolti da tale scelta. Lo afferma la Corte costituzionale (con sentenza n. 196) che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, proposte dalla Regione Liguria, nei confronti di una disposizione del decreto-legge n. 7 del 2024, che ha modificato la disciplina del Testo unico degli enti locali.

Con tale disposizione, il legislatore ha previsto che per i sindaci dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti non vi sia alcun limite ai mandati; che per i sindaci dei Comuni con popolazione compresa tra 5.001 e 15.000 abitanti il limite di mandati consecutivi sia pari a tre. Infine, che per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti resti fermo il limite di due mandati consecutivi. In particolare, la Regione Liguria riteneva che la nuova disciplina violasse diversi parametri costituzionali, considerando irragionevole la previsione di due o tre mandati consecutivi a seconda del dato dimensionale del Comune.

Di qui la richiesta di estendere anche ai sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti il limite di tre mandati consecutivi. La Corte ha ribadito che la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi è una scelta normativa idonea a bilanciare l’elezione diretta del sindaco con l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali. Il punto di equilibrio tra tali contrapposti interessi costituzionali deve essere fissato dal legislatore, ed è sindacabile solo se manifestamente irragionevole.

“L’attuale art. 51, comma 2, del t.u. enti locali pone limiti diversi ai mandati consecutivi secondo una logica graduale, sul presupposto che tra le classi di Comuni nei quali si articola l’attuale disciplina vi siano rilevanti differenze, in ordine agli interessi economici e sociali che fanno capo agli stessi: si tratta di un esercizio non manifestamente irragionevole della discrezionalità legislativa, che intende realizzare un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali che vengono in considerazione”, conclude la Consulta.

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