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Politica

Congresso Pd, Maurizio Martina: nessun accordo con M5S e una donna presidente del partito

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Un presidente donna e nessun accordo con i Cinquestelle in caso di caduta del governo: sono i due punti fermi del Pd che immagina Maurizio Martina nella sua corsa alla segreteria. Il primo, inedito. Il secondo forse mai detto così nettamente. Accompagnati da una proposta, dell’ex reggente per il Congresso, che è fondata “sull’unità, non retorica, ma da praticare ogni giorno”. Unità chiesta a gran voce dai militanti a piazza del Popolo a fine settembre. Il deputato lombardo dice chiaro e tondo che in caso di caduta del governo “un accordo con M5S” non lo farebbe. È impossibile, assicura, perchè loro hanno fatto “le peggio cose”. Una precisazione che arriva all’indomani della bagarre sul vice di Nicola Zingaretti, Massimiliano Smeriglio, che in un’intervista aveva sostenuto l’ipotesi di un “disgelo” con i grillini, scatenando la protesta nel partito e l’ira dei renziani. “Li ho battuti due volte”, aveva assicurato subito dopo Zingaretti tentando di calmare le acque, e un accordo con i pentastellati non si farà. “Voglio solo tentare di recuperare i nostri elettori”, aveva aggiunto. Martina, in diretta tv da Lucia Annunziata, tenta di marcare le differenze con il “rivale” Zingaretti più in alto di lui nei sondaggi, in uno spazio che si è aperto in assenza di un candidato renziano dopo il forfait di Marco Minniti.

Congresso Pd. Gruppo dirigente litigioso

L’ex ministro dell’Agricoltura difende quanto di buono fatto dai “governi riformisti” del Pd (“un patrimonio inestimabile”) ammettendo però che “sul tema del lavoro” sono stati fatti “errori decisivi” ed “è mancata l’interpretazione della questione sociale”. Insomma “nè nostalgia nè cesura”, incalza, “chi vota per me vota per una prospettiva” di alternativa al governo gialloverde, l’unico nemico vero. E Renzi? “Ha negato l’ipotesi di uscita dal Pd e mi pare neghi l’ipotesi di una sua ricandidatura” alla segreteria del partito, afferma Martina. “Deve ancora dare un contributo a questa sfida – osserva – ma tutti dobbiamo cambiare”.

Ma con Renzi è d’accordo sul ruolo chiave di Emmanuel Macron nell’Ue.  Alla proposta di un presidente donna alla guida del partito, che e’ stato accusato piu’ volte di non rispettare davvero la parita’ di genere, risponde la presidente di TowandaDem Francesca Puglisi che pochi giorni fa aveva attaccato gli “uomini del Pd” dicendo: “Abbiamo capito che il congresso ve lo farete da soli”. “Apprezziamo l’idea di Martina – commenta l’ex parlamentare – è un inizio. Ma chiediamo anche che al centro del congresso ci siano i temi che stanno a cuore alle donne. E noi abbiamo 10 proposte tra cui quella di aiutare 10 mila donne sole, in povertà, o quella di dire basta agli obiettori di coscienza nei reparti di ginecologia e maternità”. Fa sentire la sua voce anche l’unica candidata alla segreteria, Maria Saladino, che lancia un appello a tutte le donne Dem affinchè la sostengano nella sua corsa alla segreteria. Mercoledì scade il termine per raccogliere le firme per le candidature (1.500 tra gli iscritti di 5 regioni diverse).

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Scudo erariale resta, allarme dei giudici contabili

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Resta alta la tensione fra giudici contabili e maggioranza di governo. L’ultimo fronte è aperto dal decreto legge Milleproroghe, che allunga di quattro mesi la durata dello scudo erariale, che solleva gli amministratori pubblici da responsabilità contabili in caso di colpa grave, limitandole al danno “dolosamente voluto”. La novità suscita “fortissime perplessità” nell’Associazione dei magistrati della Corte dei conti. La critica si somma a quelle sulla riforma sulla Corte dei conti che in Parlamento procede a rilento, e su cui è acceso anche il faro del Quirinale, come ammettono fonti di centrodestra. Doveva approdare in Aula alla Camera in questi giorni, poi a metà dicembre e ora ha come orizzonte gennaio.

In attesa di uno o più emendamenti, che potrebbero riscrivere alcune parti cruciali della proposta di legge targata Tommaso Foti e quindi FdI. Le modifiche in fase di definizione dovrebbero riguardare soprattutto il capitolo organizzativo, ossia l’accorpamento delle sezioni territoriali e la centralizzazione a Roma delle funzioni requirenti delle Procure. Due aspetti duramente contestati dall’Associazione dei magistrati contabili e dalle opposizioni, richiamando a più riprese il recente monito di Sergio Mattarella, che ha rimarcato come la Corte sia “garante imparziale della corretta gestione delle risorse pubbliche”.

Sono in arrivo uno o più emendamenti, che dovrebbero essere presentati nelle prossime ore alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia dai relatori (Sara Kelany di FdI e Pietro Pittalis di FI): ci si lavora, spiegano in ambienti parlamentari, in asse con Palazzo Chigi, e non mancano interlocuzioni con il Colle. Da mesi i giudici contabili sostengono che qualsiasi riforma della responsabilità amministrativa dovrebbe essere accompagnata dall’abolizione dello scudo erariale, adottato sulla scia dell’emergenza Covid, prorogato più volte per rimediare alla ‘paura della firma’ e ora di nuovo fino al 30 aprile. “Si rischia un vero e proprio scudo tombale – nota la presidente dell’Associazione magistrati della Corte dei conti, Paola Briguori -, in violazione del dettato della Corte costituzionale.

Cinque anni di mancato risarcimento dei danni erariali per condotte attive gravemente colpose sono davvero troppi danni non risarciti che resteranno per sempre a carico dei contribuenti”. Dalla maggioranza la risposta arriva da FI. “C’è una circostanza che dovrebbe interrogare l’associazione – afferma Pittalis -: dal 2019 al 2024 solo il 9% dell’ammontare delle condanne della Corte dei Conti è stato recuperato. È evidente che c’è qualcosa che non va nel sistema e di questo ci stiamo occupando. Vogliamo valorizzare il lavoro dei giudici contabili e rendere effettive le loro sentenze”. Alla critica dei magistrati contabili si unisce il coro delle opposizioni. Per i dem Debora Serracchiani e Federico Gianassi, dietro la proroga dello scudo erariale c’è “l’ossessione della maggioranza e del governo di approvare in tempi stretti la riforma che stravolge il ruolo e le funzioni” della Corte.

“La destra sta facendo una guerra alla Corte dei conti, poi proroga il cosiddetto ‘scudo erariale’ – attacca Marco Grimaldi (Avs) -: è una vera vergogna. Vanno aggiunti la cancellazione del reato di abuso d’ufficio e lo scudo penale per gli amministratori. Questi tasselli nel loro insieme garantiranno ai colletti bianchi totale impunità”. Per Alfonso Colucci (M5s) la misura, “sbagliata e pericolosa di per sé”, diventa “esplosiva in combinato disposto con l’abolizione del controllo concomitante della Corte dei conti sul Pnrr e con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio”.

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Politico incorona Meloni, “è la più potente d’Europa”

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“Chi chiami se vuoi parlare con l’Europa? Se sei Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e consigliere chiave del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, il numero da chiamare è quello di Giorgia Meloni”. La testata internazionale Politico ha incoronato la premier italiana come la persona più potente d’Europa per il 2025, definendola nella sua classifica d’influenza l’interprete perfetta dello zeitgeist, lo spirito del tempo, “sempre più radicale che fiorisce su entrambe le sponde dell’Atlantico”. “In meno di un decennio, la leader di destra di Fratelli d’Italia è passata dall’essere liquidata come una pazza ultranazionalista all’essere eletta prima ministra d’Italia, affermandosi come una figura con cui Bruxelles, e ora Washington, possono fare affari”, evidenzia la testata considerata una voce autorevole nel panorama politico globale in una lunga descrizione che ripercorre l’ascesa di Meloni e le principali tappe dei suoi due anni anni di governo, definito come “uno dei più stabili mai esistiti nell’Italia del dopoguerra”.

Da quando è arrivata a Palazzo Chigi, osserva Politico, Meloni “ha mantenuto al minimo la sua retorica anti-Ue ed evitato scontri con Bruxelles”, spiazzando anche i suoi detrattori ed “emergendo come una delle sostenitrici più convinte dell’Ucraina”. L’affermazione della leader di Fratelli d’Italia è coincisa con la resa dei conti nel Vecchio Continente sulla crisi migratoria. Meloni ha saputo giocarsi le sue carte: attraverso una “collaborazione con la presidente Ursula von der Leyen” e la firma di “accordi storici con Tunisia, Mauritania ed Egitto”. Oltre al modello Albania da cui, si evidenzia, non si sono discostati nemmeno i leader di centrosinistra come il tedesco Olaf Scholz e il britannico Keir Starmer. Sfruttando il vuoto di potere lasciato da Parigi e Berlino, la premier ha ora spazio per “portare avanti le sue politiche”.

E “la rielezione di Trump”, nel giudizio della testata di proprietà del gruppo editoriale Axel Springer, potrà darle “ancora più slancio”. Anche grazie al sostegno di Elon Musk, che la acclama come paladina del contrasto all’immigrazione illegale. Se finora Meloni ha usato la sua influenza principalmente in Italia, la domanda – evidenzia infine Politico – è se adesso “inizierà a esibire i muscoli a livello internazionale e se, con un nuovo vento che soffia attraverso l’Atlantico, continuerà a giocare bene con istituzioni come l’Ue e la Nato oppure tornerà alle sue radici di destra e sfiderà lo status quo”.

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Salvini precetta i sindacati sui trasporti, è scontro

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E’ muro contro muro tra Salvini e i sindacati di base: l’incontro di oggi tra le parti per cercare di scongiurare lo sciopero di venerdì prossimo, che coinvolgerà anche i mezzi di trasporto pubblici, si è concluso senza nessun accordo. Immediata quindi la risposta di Salvini che ha deciso di precettare i lavoratori che protestano e di ridurre da 24 a 4 ore la mobilitazione. Ma l’Usb non ha intenzione di fare un passo indietro e conferma che lo sciopero si farà e resterà di un giorno intero. “E’ mio piacere e mio dovere ascoltare” ha detto Salvini sottolineando che il diritto di sciopero “è sacrosanto”. Ma si tratta del penultimo venerdì prima di Natale e quindi di un periodo “fondamentale per milioni di italiani”: per questo, ha detto, uno sciopero di 24 ore “era inammissibile”. Al termine dell’incontro il ministro dice di aver chiesto di ridurre le ore di sciopero, “mi hanno detto educatamente di no”. E per questo “formalizzerò la mia richiesta di ridurre a 4 ore la giornata di sciopero per garantire a chi vuole scioperare il proprio diritto, ma per non bloccare l’Italia intera a 10 giorni dal Natale”.

Per il sindacato di base l’incontro con Salvini “si è dimostrato una liturgia” e per questo, per tutta risposta, ” Usb conferma lo sciopero nella sua forma originaria. Non cediamo alle richieste del ministro che ha rilanciato a mezzo stampa, non appena finito l’incontro, l’intenzione di ridurre lo sciopero a 4 ore”. A questo punto coloro che aderiranno alla mobilitazione potrebbero anche rischiare una serie di sanzioni: da 500 a 1.000 euro per singolo lavoratore e da 2.500 a 50.000 per singola organizzazione sindacale. Ma l’Usb dice di aver ribadito al ministro che la commissione di garanzia non ha trovato niente da eccepire sullo sciopero generale del 13 dicembre, che coinvolgerà tutte le categorie pubbliche e private oltre quella dei trasporti.

E proprio per questo il sindacato sconsiglia Salvini a procedere con un’ordinanza visto che già lo scorso anno, in una situazione analoga, il sindacato “aveva disobbedito alla precettazione e aveva fatto ricorso al Tar, vincendolo”. Il ragionamento del ministro tuttavia va oltre il singolo problema di venerdì prossimo e arriva a toccare un nodo normativo più generale. “Si potrà e si dovrà ragionare insieme ai sindacati, non contro i sindacati, di un aggiornamento della legge sullo sciopero” afferma osservando che è cero che si tratta di un diritto costituzionale garantito, “ma se c’è più di uno sciopero al giorno vuol dire che anche lo strumento sciopero va aggiornato all’anno 2025”. Per questo, a suo parere, “anche ripensare alla forma sciopero, sia nell’interesse degli scioperanti e dei lavoratori sia nell’interesse degli altri lavoratori, penso che sia utile”. E andrà fatto “non contro ma insieme” raccomanda.

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