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Cronache

Confisca beni per 5 milioni ad imprenditore del settore rifiuti condannato in Cassazione

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La Direzione Investigativa Antimafia, articolazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, a seguito del provvedimento emesso dalla Suprema Corte di Cassazione, ha eseguito un provvedimento di confisca definitiva di beni immobili, quote societarie e disponibilità finanziarie, già sottoposte a sequestro dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere- Sezione per l’Applicazione delle Misure di Prevenzione, su proposta della Procura della Repubblica di Napoli, nei confronti di un imprenditore operante nel settore della raccolta, del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti, ritenuto contiguo alle consorterie camorristiche operanti sul territorio di Mondragone (CE).
Nel mese di ottobre 2010, l’interessato è stato condannato alla pena di 3 anni e 6 mesi dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per concorso esterno in associazione mafiosa a seguito di indagini espletate dalla DIA che avevano permesso di ricostruirne il profilo criminale già a partire dagli anni ‘80.
L’imprenditore, nello specifico, è stato individuato quale espressione imprenditoriale dei clan mondragonesi, a vantaggio dei quali avrebbe gestito il lucroso business della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.
Con il provvedimento odierno è stata confermata la confisca di 5 società operanti nel settore edilizio, della raccolta e dello smaltimento di rifiuti e della gestione di aree ed attività commerciali, 7 beni immobili, 3 beni mobili registrati e 2 rapporti finanziari per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro.
L’odierno risultato si inserisce nell’ambito delle attività Istituzionali finalizzate all’aggressione dei patrimoni illecitamente acquisiti e riconducibili, direttamente o indirettamente, a contesti delinquenziali di tipo mafioso, agendo così a tutela e salvaguardia della parte sana del tessuto economico nazionale.

 

 

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Cronache

‘Il più bello d’Italia’ vuole diventare prete

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Edoardo Santini

Passerelle, riflettori e il mondo patinato della moda. C’era tutto questo, solo quattro anni fa, nella vita e nei sogni di Edoardo Santini, 21 anni, un giovanissimo ragazzo che sognava concorsi di bellezza e di sfilare per i brand e le firme più prestigiose. Un sogno realizzato quello di Edoardo che vinse infatti il titolo di più bello d’Italia. Un traguardo tanto desiderato. Poi qualcosa è cambiato. Quel mondo dorato e avvolgente non lo appagava come aveva immaginato nei sogni da giovanissimo. Ha sentito che doveva cercare altrove la sua felicità interiore: ha sentito la vocazione dentro di sé e adesso studia per entrare in seminario, vuole diventare prete. Quel 2019 quando era stato eletto il più bello d’Italia, e poi ballerino e nuotatore, sembra ormai un’altra vita. Il vincitore del concorso nazionale promosso da Abe, ha messo da parte le sfilate e il lavoro come modello, ma anche il nuoto, il ballo e il sogno di diventare attore professionista, per entrare al propedeutico ed essere sacerdote. “A 21 anni mi ritrovo in cammino per diventare se dio vorrà un prete”, spiega in un video pubblicato qualche giorno fa sui social.

“In questi anni – dice – ho avuto modo di incontrare dei ragazzi che mostrandomi cosa vuol dire “essere chiesa” mi hanno dato la forza di indagare questa domanda che mi porto dietro fin da quando ero piccolo, ma che varie paure mi impedivano di approfondire”. Edoardo ha messo così da parte ‘il lavoro da modello, la recitazione e il ballo, perché dei sì comportano inevitabilmente dei no’, dice nel suo messaggio sui social. Ma non vuole rinnegare il passato: «In in questi anni ho incontrato persone meravigliose che mi hanno dato tanto e permesso si vivere l’arte. Non abbandono tutto, perché le mie passioni fanno parte di me ma le vivrò e riproporrò in contesti diversi”. “Lo scorso anno per fare un primo passo – racconta sempre Santini – sono andato a vivere con due preti e quella è stata l’esperienza più bella della mia vita, un’esperienza che mi ha permesso di incontrare dei fratelli e che mi ha permesso di incontrare nella quotidianità quella risposta che aspettavo scendesse dall’alto”. Santini, dopo la richiesta al vescovo, è entrato al propedeutico, ha iniziato a studiare teologia e a prestare servizio in due parrocchie nella diocesi fiorentina. “Diventerò prete? Non lo so, sono qui per scoprirlo. Ho fatto quel passo che mi terrorizzava, che mi impediva di essere pienamente me stesso, pronto nel caso a dire: ‘No, sbagliavo’. Quello di cui però sono certo è che non mi pentirò di questo viaggio, perché a ora posso gridare: sono Edoardo, 21 anni e sono felice”.

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Funerali Giulia Cecchettin martedì 5 dicembre a Padova

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L’ultimo saluto a Giulia Cecchettn verrà dato martedì 5 dicembre, alle ore 11.00, con la cerimonia funebre prevista nella Basilica di Santa Giustina. Lo si legge nelle epigrafi già affisse stamane a Vigonovo, il paese di Giulia. Il nulla osta della Procura al rilascio della sala alla famiglia, dopo l’autopsia di ieri, è atteso in queste ore. Santa Giustina è una chiesa capace di ospitare migliaia di persone, affacciata su Prato della Valle, una piazza vastissima che permettere a molti di seguire la cerimonia, su maxi schermi, anche all’esterno della basilica.

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Boss minaccia ex moglie: pentita, è pronta la ruspa

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Una vita matrimoniale iniziata con la costrizione, proseguita con costanti aggressioni verbali, picchiata dall’ex marito e minacciata dall’ex suocero. “Mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita”. A parlare con i pm della Dda di Reggio Calabria è l’ex moglie di Rosario Arena, di 44 anni, arrestato a Rosarno dai carabinieri assieme al padre Domenico, di 69, già condannato per mafia. Minacce ed estorsioni sono le accuse contestate ai due indagati ritenuti vicini alla cosca Pesce e nei confronti dei quali il gip Tommasina Cotroneo ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dal sostituto procuratore della Dda Sabrina Fornaro.

Le vessazioni a cui era sottoposta l’ex moglie di Arena erano note nella cittadina della Piana di Gioia Tauro. Ne aveva fatto riferimento, infatti, un collaboratore di giustizia ed erano emerse anche in alcune intercettazioni. Il riscontro lo ha fornito la stessa donna che ai magistrati ha raccontato le attività criminali della famiglia del marito e, soprattutto, cosa ha subito dal 2001 quando, a 15 anni, prima di entrare al liceo, è stata rapita da Rosario Arena e costretta a convivere con l’uomo che nel 2003, una volta maggiorenne, ha dovuto sposare. “Io e i miei genitori abbiamo capito che non ci potevamo opporre. – si legge nel verbale della vittima -. Della famiglia Arena so che non hanno mai lavorato onestamente. Già durante la mia vita matrimoniale ho subito numerose volte minacce dal mio ex suocero e dal mio ex marito, che mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa. Quando ho lasciato Rosario, 13 novembre 2018, Domenico Arena, il mio ex suocero, mi ha detto che ci avrebbe uccisi”, riferendosi ai propri familiari.

“Ricordo che mio suocero – sono sempre le parole della donna – proponeva a noi donne della famiglia di occuparci della coltivazione di sostanza stupefacente. Mio marito mi chiamava ‘pentita’” perché non partecipava alle attività illecite. Quando Rosario Arena è stato lasciato dalla moglie ha vissuto la separazione come un’onta da punire. Secondo gli inquirenti, infatti, mentre era ancora detenuto, attraverso i figli, avrebbe detto alla donna che una volta scarcerato “avrebbe sistemato tutto”. “Dovrai morire di fame” è la frase che le avrebbe rivolto, invece, l’ex suocero utilizzando un falso profilo facebook. La vita matrimoniale della vittima – si legge nell’ordinanza – “è stata improntata a pressioni psicologiche continue, in quanto il suocero ed il marito pretendevano che lei, come le altre nuore, prendesse parte attiva agli affari illeciti della famiglia, tra cui il traffico di stupefacenti, e che avesse con il suocero atteggiamenti sessuali promiscui e confidenziali”. Oltre alle minacce alla donna, padre e figlio arrestati stamani sono accusati anche di avere minacciato un medico dell’ospedale di Bari con lo scopo di ottenere un certificato che sarebbe servito a Domenico Arena, all’epoca detenuto, per eludere il carcere e usufruire dei domiciliari. La Dda ha, inoltre, scoperto un’estorsione ai danni della cooperativa agricola “Fattoria della Piana” che, secondo gli inquirenti, negli ultimi 18 anni, era diventata una vera e propria fonte di reddito illecito della famiglia Arena.

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