La creatività artigianale è la prima manifestazione che ha accompagnato la comparsa dell’umanità. Prima ancora di ogni altra forma evolutiva, organizzativa e produttiva, l’oggetto artigianale ha costituito la prima testimonianza identitaria della presenza della vita. In questo senso, gli oggetti dell’artigianato artistico concorrono a creare l’identità di un popolo, intesa come l’insieme delle tradizioni, delle conoscenze e dei tratti distintivi che ne sanciscono la riconoscibilità e unicità.
Questa la definizione dell’artigianato artistico condivisa in un documento, la Carta internazionale dell’artigianato artistico, che intende sostenere, valorizzare e promuovere il settore da considerarsi come espressione della cultura materiale, legata all’ambiente in cui i fenomeni artistici e gli oggetti d’arte si manifestano o vengono prodotti.
Ed è proprio dalla produttività artistica, in pieno centro urbano di Napoli, a ridosso di un piccolo distretto artigiano e dentro uno spazio ad alta vocazione artistica e culturale, che si innesta il progetto Materia viva, raccordo tra Scuola Territorio Arte e Imprese con l’obiettivo di costruire reti territoriali ed esperienze di sviluppo della cultura produttiva con particolare riferimento all’artigianato, al design e alla ricerca artistica e tecnologica.
L’attenzione è rivolta ai luoghi del “fare arte”, al fine di restituire valore sociale alle attività produttive di un territorio, recuperando i saperi stratificati, troppo spesso dimenticati o addirittura sconosciuti. Materia Viva costituisce, pertanto, l’insieme di azioni (a cura di Maria D’Ambrosio e Giovanni Petrone) per fare luce sulla cultura materiale e produttiva dei territori, a partire da quello tra Napoli e Marcianise. All’Associazione F2Lab, attiva per connettere arte e impresa, e a Casa del Contemporaneo, centro di produzione teatrale, che sostengono e promuovono il progetto, si affiancano il Comune di Marcianise, il Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale dell’Università della Campania, il Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II, e l’Istituto G. Caselli e Real Fabbrica di Capodimonte, insieme con imprenditori, artisti e studiosi da diverse parti d’Italia.
Con un primo seminario tenutosi il 30 marzo scorso e con l’installazione ‘Vacuo’ del Collettivo DAMP, Materia Viva si fa spazio a Napoli, a Palazzo Fondi, in un palazzo demaniale trasformato in via temporanea in centro per l’industria culturale, a ridosso di rua Catalana e delle sue attività artigianali legate alla lavorazione del ferro, con l’idea di portare al centro dell’attenzione e del dibattito pubblico il tema delle aree produttive e di quelle industriali per rendere più visibile un sistema economico che nel tempo ha costruito competenze specializzate, dato forma al paesaggio urbano e generato ricerca e innovazione a partire dai materiali: dal tufo che i primi coloni greci hanno cavato e utilizzato per costruire il primo insediamento urbano di Palepolis (sul Monte Echia, a Pizzofalcone), passando per il ferro degli artigiani insediati in rua Catalana dal tempo degli Angioini, fino alla porcellana con la Real Fabbrica dei Borbone a Capodimonte, e agli attuali materiali polimerici e ai nuovi materiali termoplastici prodotti e lavorati a Marcianise recuperando e riciclando polistirolo, plastiche e altri scarti.
Quindi, in pieno centro urbano di Napoli, a ridosso di un piccolo distretto artigiano e dentro uno spazio ad alta vocazione artistica e culturale, si avviano i lavori di un gruppo che unisce sapienza ricerca e operosità dei diversi partner che collaborano a Materia Viva e al suo sviluppo futuro. Spazi urbani aree produttive ricerca generativa, costituiscono il focus tematico di intervento, studio e creazione, da intersecare con quello della circolarità, della sostenibilità, della rigenerazione. La fabbrica, le botteghe, i laboratori, sono i luoghi privilegiati da riattraversare, da vivere, da conoscere e da collegare al resto del sistema sociale territoriale, questo il concept di F2LAB, così come fortemente sostenuto, in primis, dalla vulcanica e determinata Maria D’Ambrosio: “L’arte contemporanea e la ricerca performativa sono molto vicine, per sensibilità e pratiche ‘di sintesi’, al mondo della produzione, una vicinanza da cui si parte per ripensare alla produzione artistica connessa a quella artigianale, manufatturiera e industriale, e per tornare a produrre intercettando e qualificando una committenza pubblica capace di riportare attenzione agli spazi di pubblico dominio, in quelle zone di interesse strategico che possono essere le aree produttive dalle quali generare e costruire nuovi ‘paesaggi’ da raccordare e ricucire rispetto al tessuto urbano.”
Questo costituisce anche, da alcuni anni, l’obiettivo prioritario, la mission e la vision di quello che ormai è diventato un Polo formativo di riferimento del settore, un hub culturale, un opificio in piena attività produttiva: la Real Fabbrica di Capodimonte e l’Istituto ad indirizzo raro G. Caselli. Partner attivo del progetto la Real Fabbrica di Capodimonte e l’Istituto, con Valter Luca De Bartolomeis alla direzione che mira, con azioni concrete e collaborazioni importanti, a valorizzare i percorsi educativi dei giovani, le competenze e le conoscenze tecniche e culturali negli ambiti artistici caratterizzanti le specificità territoriali, e, soprattutto, a favorire il collegamento organico tra il mondo della scuola e le realtà imprenditoriali locali. “Oggi, nel mondo della ceramica” sostiene Valter Luca De Bartolomeis, “il punto cruciale è coniugare la tradizione, fatta di abilità, esperienza e del mistero di antichi segreti, con l’innovazione continua richiesta dal mercato. L’attestazione del nostro impegno pubblico, di una concreta vocazione al territorio, si completa nei Laboratori aperti e soprattutto nel progetto del Forno Civico, già aperto al pubblico e messo a disposizione di altre realtà imprenditoriali e/o artigiane che vogliano avvalersi di questo servizio. Significative le collaborazioni con designer e artisti come Calatrava, Liu Jianhua, Walead Beshty, Yee Sookyung, Mariangela Levita, Diego Cibelli, solo per citarne alcuni.”
Insomma “materia viva” in “luoghi operosi” e tra i luoghi della produttività più conosciuti al mondo c’è proprio Capodimonte, dove la porcellana ha rivestito un ruolo fondamentale dal 1743, quando Re Carlo di Borbone e sua moglie Anna di Sassonia fondarono la Real Fabbrica di Capodimonte, la cui produzione artistica nel tempo diventerà più pregiata e famosa di quella francese e tedesca, grazie anche alla particolarità dell’impasto ceramico, più tenero e di colore latteo. Ancora oggi nei laboratori della scuola di ceramica, nell’edificio originario della Real fabbrica, si lavora “l’oro bianco”, continuum di una tradizione preziosa caratteristica del territorio partenopeo, un’eccellenza rara del Mady in Italy, conosciuta nel mondo e che configura e connota, non solo il tessuto culturale, ma anche socio-economico e di costume del territorio. Ed è proprio nell’incontro tra tradizione e innovazione, nei termini di una progettualità nuova, L’Istituto ad indirizzo Raro G. Caselli si apre verso futuri e possibili scenari, rinnovando i linguaggi, mantenendo gli standard di qualità e, così come spiega lo stesso De Bartolomeis, riferendosi ad un mercato attento e colto, “chiamati a certificare questo standard di qualità attraverso il marchio della Real Fabbrica di Capodimonte, noi siamo fortemente legati alla produzione e al mercato del lavoro di riferimento”, proprio per stimolare l’inserimento dei nostri “giovani artieri” e per riportare la porcellana ad essere “materia viva in un luogo operoso” capace di configurare l’assetto socio-economico e culturale di un intero territorio.
Roseli Rita Ferraioli *
*Responsabile ufficio stampa Istituto raro Caselli e Real Fabbrica di Capodimonte
“Siamo diventati una civiltà di gente che vuol vedere, non sente più, sente male, per mancanza di conoscenza, per ignoranza”. Polemico, anche se “felice di essere qui con i miei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini”, Riccardo Muti ieri sera al Teatro Pergolesi di Jesi, in provincia di Ancona, ha inaugurato le celebrazioni per i 250 anni dalla nascita (avvenuta nella vicina Maiolati) di Gaspare Spontini, con un concerto al termine del quale ha attaccato l’oblio in cui è caduta tanta parte del patrimonio musicale italiano. Un discorso molto politico, “anche se la politica dal podio non si fa”, diretto soprattutto “a chi ha in mano le sorti del nostro Paese” per chiedere più attenzione per la musica, lungo oltre 20 minuti, punteggiato dagli applausi del pubblico.
La musica italiana “ha dominato il mondo con Spontini a Berlino, Mercadante a Madrid, Cherubini a Parigi, Salieri e, ancora prima, Porpora e a Vienna, Cimarosa e Paisiello a San Pietroburgo. I nostri compositori hanno fatto l’Europa, prima dei nostri politici ed economisti”. Muti ha elogiato le Marche, una regione che “ha dato i natali a tantissimi artisti, non solo nel campo dell’architettura e della pittura, ma anche della musica. Voi avete a distanza di pochi chilometri Giovan Battista Pergolesi (nato proprio a Jesi, ndr) e Spontini”. E ha elogiato le due città che “si stanno prodigando per sottolineare l’importanza di questi due giganti della musica”, ma “molte persone non sanno chi sono e questa è una vergogna per noi”. Perché “la musica italiana non è semplicemente l’espressione sguaiata di note acute tenute all’infinito, ma la nostra storia è una storia di nobili e grandi compositori”. Compositori che “hanno fatto l’Europa prima dei nostri politici ed economisti”.
“Pensate che Spontini era un re prima a Parigi e poi a Berlino – ha detto ancora Muti -, e nelle memorie di Wagner si legge che quando Spontini arrivò a Dresda per dirigere La Vestale scese da una carrozza principesca venendo da un’umile casa di Maiolati. Wagner s’inginocchia addirittura davanti a lui”. Due colossi della musica “dimenticati”: “Pergolesi era ammiratissimo da Bach, all’età di 26 anni muore lasciandoci dei capolavori incredibili”. Capolavori raramente eseguiti e lo stesso accade per La Vestale o l’Agnese di Hohenstaufen di Spontini o altre opere. “Va bene il ‘Vincerò’ che dura mezz’ora ed è anche piacevole – ha ironizzato il maestro – ma non rappresenta tutta la nostra musica”. E “se andate a vedere la partitura di Puccini, non esprime ‘ad libitum’ fino a quando tutti quanti, presi da frenetici orgasmi, urlano uau”. “Cosa è successo al nostro Paese? – si è chiesto Muti -. E’ successo che nelle grandi occasioni ci si veste bene, si compare nei palchi e poi si scompare? O dobbiamo metterci in testa che la musica e la storia della musica insegnata bene e portata alle nuove generazioni possa migliorare il futuro del nostro Paese?”.
Tutto queste però “non succede” e per questo il pubblico non sa più ascoltare. “Noi abbiamo in debito verso il nostro passato – si è accalorato -, abbiamo una storia infinita di bellezza e arte che molti ragazzi oggi non conoscono e che sta diventando solamente un’occasione di ascolto per alcuni privilegiati. Non sono un politico, ma con grande malinconia mi avvicino alla fine della vita perché noi non siamo più degni delle radici su cui abbiamo fatto spuntare fiori, o alberi o foglie”. “Verdi rimane il Michelangelo del musica e ha coperto tutto l’Ottocento”. E anche Puccini è rappresentativo di un certo periodo. Ma “quando Spontini scrive la Vestale, dentro c’è tutto quello che poi Wagner prenderà. Questo siamo e questo dovrebbero sapere quelli che guidano l’Italia e questo dovrebbero insegnare a scuola”.
La parola d’ordine è trasparenza. Quella chiesta a gran voce dall’industria culturale e creativa davanti allo sviluppo vertiginoso dell’intelligenza artificiale generativa (IA). L’appello è stato raccolto dall’Ue, che con l’AI Act, appena vidimato dal Parlamento europeo, sta provando a creare uno scudo a tutela di giornalisti, scrittori, musicisti, registi, chi vive insomma della propria creatività. Si parla di professioni che rischiano di essere travolte dalla nuova tecnologia alimentata dal petrolio dell’economia digitale: i dati. Le loro opere – canzoni, libri, reportage, film – sono impiegate sia per addestrare i cosiddetti modelli linguistici di grandi dimensioni, su cui si basano sistemi come ChatGPT, sia per creare opere derivate. Si può ritenere questo processo come una violazione del diritto d’autore? Secondo il New York Times la risposta è affermativa.
In un caso destinato a fare scuola, la Vecchia Signora in Grigio ha portato in tribunale Microsoft e OpenAI, la società nota per aver creato ChatGPT, accusandole di aver copiato e utilizzato illegalmente i suoi articoli per addestrare i modelli di IA. I due colossi tech non hanno rivelato pubblicamente la composizione dei dataset su cui viene istruita la nuova tecnologia. Ed è su questo che interviene l’AI Act. I sistemi come ChatGPT e i modelli su cui si basano dovranno, infatti, soddisfare determinati requisiti di trasparenza e rispettare le norme europee sul diritto d’autore durante le fasi di addestramento dei vari modelli.
“Un passaggio importante” per Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Associazione Italiana Editori (Aie) e di Confindustria Cultura Italia (Cci), secondo cui le richieste del mondo delle industrie culturali e creative “hanno trovato orecchie attente nel governo italiano e in modo trasversale tra gli europarlamentari che hanno votato a favore dell’AI Act”. “La trasparenza – ha evidenziato – è il requisito per poter analizzare criticamente gli output dell’IA e, per chi detiene i diritti, sapere quali opere sono utilizzate nello sviluppo di questi strumenti, se provengono da fonti legali e se l’uso è stato autorizzato”.
Ma la strada è ancora lunga. La legge europea è solo “un primo passo per far valere i propri diritti”, ha commentato un’ampia coalizione di organizzazioni dei settori creativi e culturali europei, esortando a mettere in pratica “queste importanti norme in modo significativo ed efficace”. A fare la differenza sarà l’attuazione della normativa, la definizione degli standard, ma anche la previsione di una policy a tutela del diritto d’autore che affronti ad esempio la questione della remunerazione dei detentori dei diritti per l’uso di opere coperte da copyright.
Dopo Pesaro per il 2024 e Agrigento per il 2025 è l’Aquila la città scelta come capitale italiana della cultura 2026. A proclamarla è stato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano nel corso della cerimonia che si è svolta a Roma, nella Sala Spadolini del ministero, alla presenza della giuria presieduta da Davide Maria Desario e composta da Virginia Lozito, Luisa Piacentini, Andrea Prencipe, Andrea Rebaglio, Daniela Tisi, Isabella Valente, e dei rappresentanti di tutte e dieci le città finaliste: oltre all’Aquila, Agnone (Isernia), Alba (Cuneo), Gaeta (Latina), Latina, Lucera (Foggia), Maratea (Potenza), Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena). “L’Aquila è una città ricca di storia e di identità e merita certamente di essere capitale della cultura” dice parlando con i giornalisti Sangiuliano, che ricorda anche come la commissione sia “assolutamente autonoma e indipendente dalla mia persona”. Il ministro avrebbe voluto dare “questo riconoscimento a tutte le città che erano candidate, questo purtroppo non era possibile. Adesso studieremo un modo per coinvolgerle in questo momento”.
L’Aquila “si avvia a celebrare i 15 anni del terremoto – commenta il sindaco della città Pierluigi Biondi -. Essere capitale italiana della cultura non è un risarcimento, ma rappresenta un elemento attorno a cui ricostruire il tessuto sociale della nostra comunità”. La cultura “è un elemento fondante, è recupero dell’identità e proiezione nel futuro – aggiunge – . Le altre città finaliste saranno parte di questo percorso. Vi garantiamo che saremo all’altezza del compito che ci assegnate… viva l’Italia”. Il progetto presentato dal capoluogo abruzzese è intitolato ‘L’Aquila Città multiverso’ ed è “un ambizioso programma di sperimentazione artistica per la creazione di un modello di rilancio socio-economico territoriale a base culturale, capace di proiettarla verso il futuro seguendo i quattro assi della Nuova Agenda Europea della Cultura: coesione sociale, salute pubblica benessere. creatività e innovazione, sostenibilità socio-ambientale”, si legge nelle linee guida. “Siamo molto felici, è un altro segno di rinascita dell’Abruzzo – commenta Marco Marsilio, appena confermato alla presidenza della Regione -. Sapevamo di essere molto competitivi e che il dossier presentato era eccellente. La giuria lo ha riconosciuto”. Il progetto dell’Aquila “ci ha convinto per la sua qualità, ma anche per aspetti come il budget, la capacità di includere per tutto l’anno i territori e per il coinvolgimento dei giovani” spiega Davide Maria Desario, presidente della giuria. Ognuno dei progetti delle città finaliste “rappresenta l’emblema dell’Italia come vorremmo che fosse, l’Italia del fare”. Per questo Desario torna a lanciare la proposta (poi accolta dal ministro, ndr) “che oltre oltre al premio alla città vincitrice si integri il bando con un riconoscimento anche alle altre finaliste”. Fra le reazioni alla vittoria, prevalgono le congratulazioni da parte delle altre città finaliste ma si solleva anche qualche polemica.
“A pensar male si fa peccato ma, come dice l’adagio, spesso si indovina. O forse è solo un caso che, a pochi giorni, dalle elezioni regionali in Abruzzo il titolo sia stato conferito proprio a La città de L’Aquila?” si chiede in una nota il deputato del Pd Andrea Gnassi, ex sindaco di Rimini. Critico anche l’attuale sindaco della città romagnola Jamil Sadegholvaad che fa i complimenti a L’Aquila ma parla di “invasioni di campo preventive scomposte anche da parte di chi dovrebbe essere super partes” nella competizione. Il nostro auspicio “è che Rimini e la Romagna alluvionata possano essere Capitale italiana della cultura l’anno successivo – commenta il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini -, a partire proprio dall’alluvione senza precedenti del maggio 2023 da cui hanno saputo subito risollevarsi e ripartire”. Invece il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle del Molise Andrea Greco oltre a esprimere il rammarico per la sconfitta di Agnone (Isernia) che era tra le dieci finaliste, critica Bruno Vespa, che avrebbe dimostrato “una meno che sufficiente caratura giornalistica” per l’endorsement a L’Aquila che avrebbe fatto sulla tv pubblica alla vigilia della designazione: “E’ stato per lo meno spiacevole per non utilizzare altri termini”.