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Economia

Commercio estero, la digitalizzazione per combattere il falso made in Italy e aiutare il Sud nell’export

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Made in Italy, export, strategie per l’internazionalizzazione delle aziende italiane nel mondo. Questi i temi della conferenza di presentazione del XXXIII rapporto ICE “L’Italia nell’economia internazionale”. Un peso preponderante, quello dell’export sull’economia italiana: un terzo del nostro PIL deriva dalle esportazioni. Mentre l’economia italiana a fine 2018 non aveva ancora raggiunto i livelli pre-crisi, l’export è cresciuto del 16,9%. “Ciò contribuisce ad un saldo attivo della bilancia commerciale: 44 miliardi di euro, il 2,2% del PIL” spiega Carlo Ferro, presidente dell’Agenzia ICE. L’export italiano serve una quota del 2,85% sul totale del commercio mondiale e l’Italia è il nono paese esportatore al mondo.  “Il ruolo fondamentale nell’esportazione del Made in Italy lo giocano le piccole e medie imprese. Attenzione però alla distribuzione per regione: una nota poco positiva, che mostra un persistente gap geoeconomico nella distribuzione regionale dell’export: il 73% proviene dalla regioni del Nord, il 16% dalle regioni del centro, soltanto l’11% dal Sud”, aggiunge Ferro.

Il Sottosegretario allo Sviluppo Economico Michele Geraci vede nello sviluppo digitale la chiave di volta per il salto di qualità dell’export italiano. “Il Paese ha bisogno di investimenti in materia di digitalizzazione – spiega Geraci – anche perché i prodotti del Made in Italy sono quelli più facilmente soggetti a sopraffazione. Bisogna fare importanti passi in avanti sul blockchain, affinché chi compri un prodotto italiano sia sicuro dell’origine e della genuinità del prodotto”.

“Il Sud ha un potenziale enorme, anche perché qui si parte spesso da -30: se gli imprenditori italiani sono degli eroi, quelli del sud sono supereroi, devono superare una serie di difficoltà che li temprano, poi però quando arrivano ad armi pari sui mercati esteri sono particolarmente forti” dice Luigi di Maio, ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, chiamato a concludere la conferenza di presentazione del rapporto Ice a Napoli.

Il ministro chiarisce poi quale sarà l’impegno del governo, il piano per il Made in Italy, un piano straordinario da 140 milioni, che vede un incremento rispetto ai 130 milioni stanziati lo scorso anno. E poi batte su un punto fondamentale: il ricorso alle nuove tecnologie per il contrasto al falso e ai prodotti contraffatti. “Col Made in Italy incassiamo 40 miliardi mentre il business della merce contraffatta fattura circa 100 miliardi. Il contrasto a questo business passa per nuove tecnologie come la blockchain, che possono garantire la tracciabilità del prodotto, consentendo ad ogni consumatore, sugli scaffali di tutto il mondo, di avere con il proprio smartphone la garanzia che quel prodotto è tracciato e proviene effettivamente dall’Italia”. “Noi come Mise – conclude il ministro – abbiamo investito 45 milioni di euro per sperimentare la blockchain su tre filiere: il tessile, l’agroalimentare e una parte della meccanica di precisione. Questo ci consentirà di tracciare sia il prodotto che i singoli pezzi, garantendo un’autenticità generale”.

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Concordato, spunta l’ipotesi di una nuova finestra

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Il concordato fiscale potrebbe avere una seconda vita. Non una proroga ma una riapertura dei termini di altri due mesi, fino al 31 dicembre 2024. E’ l’ipotesi su cui sta ragionando il governo per il ‘sequel’ dell’opzione che consente a lavoratori autonomi e partite Iva di congelare tasse e controlli per i prossimi due anni, aderendo al patto con il fisco. Chiusa la prima fase il 31 ottobre, per i contribuenti potrebbe aprirsi una seconda finestra con altre scadenze e nuovi incassi. Sulla prima tranche, calcoli dei commercialisti partono da una stima del 10% di adesioni da parte dei contribuenti potenzialmente coinvolti (la platea degli aventi diritto è di 4,7 milioni). Tra i più ottimisti c’è chi arriva a sfiorare la percentuale del 20%. Al momento non ci sono certezze su numeri e soldi. Per avere i primi dati bisognerà aspettare qualche giorno, fino a un massimo di dieci.

Di certo sarà difficile raggiungere l’incasso inizialmente ventilato di 2 miliardi di euro. Intanto anche un concordato bis divide la politica. Per la maggioranza, andrebbe così avanti la campagna ‘Fisco amico’ voluta da Palazzo Chigi per far emergere l’evasione con l’alternativa soft degli adeguamenti spontanei. Contrarissime, invece, le opposizioni. Si passerebbe da “un condonaccio all’italiana” a “una cosa penosa, la resa totale del fisco”, denuncia Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. Gli fa eco Mario Turco, senatore del M5s: “E’ un condono preventivo. Aderisce chi ha la certezza di avere redditi maggiori nel prossimo biennio, così da bypassare tasse e controlli. Il risultato è un minor gettito e un probabile danno erariale. Più tranchant Avs: “Il governo si candida al primato dei fallimenti”.

Al di là di pro e contro, per ora dal ministero dell’Economia nessun segnale. Un ‘nuovo’ concordato preventivo, subito dopo quello appena scaduto, resta un’ipotesi sul tavolo. Dirimente, però, la differenza tra proroga e riapertura dei termini. Apparentemente solo tecnica. Dietro, invece, c’è la possibilità o meno di disporre, subito, di fondi per la terza manovra del governo Meloni. E con una destinazione prioritaria com’è la promessa riduzione delle aliquote Irpef.

Al contrario la proroga, sebbene potenzialmente più generosa di risorse, farebbe slittare il conteggio e soprattutto l’uso di quanto incassato dall’Agenzia delle entrate finora. Nel frattempo, l’opzione ‘concordato bis’ raccoglie il consenso dei commercialisti. “E’ un’opportunità”, sintetizza il Consiglio nazionale dei commercialisti. Per il presidente dell’associazione che rappresenta oltre 120 mila professionisti del settore, Elbano de Nuccio: “Sicuramente rappresenterebbe un’opportunità per chi non ha avuto il tempo materiale per fare le dovute riflessioni”, spiega, e quindi per regolarizzarsi versando la somma concordata.

A parte la convenienza dello strumento, e la capacità di fare altri ‘proseliti’ allungando i termini, resta cruciale l’entità dei proventi raccolti fino alla deadline di ieri. Un ‘tesoretto’ che può fare la differenza, vista la ‘promessa’ fatta dal governo ai partiti di maggioranza di usare proprio quei soldi per abbassare le tasse a favore del ceto medio. Un “impegno imprescindibile” per Forza Italia che più di tutti, fra gli alleati di centrodestra, chiede che nella manovra ci sia un taglio dell’Irpef oltre 40 mila euro lordi annui (fino a 50 o 60mila). E su cui si batterà fino in fondo, assicura. Bene quindi un eventuale allungamento dei termini per le partite Iva – è il ragionamento dei forzisti – ma quel che conta è l’incasso pregresso. “I fondi del concordato preventivo devono essere utilizzati per ridurre l’Irpef”, scandisce il vicepremier e leader di FI, Antonio Tajani.

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L’iPhone spinge Apple, ricavi sopra attese. Bene Amazon

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Apple e Amazon archiviano un trimestre sopra le attese e sperano di rassicurare Wall Street, innervosita dalle trimestrali non convincenti di Microsoft e Meta che hanno mandato in fumo i guadagni realizzati dai listini nel mese di ottobre. Il prezzo più salato lo ha pagato il Nasdaq che ha chiuso la seduta in calo del 2,76%. Lo S&P 500 ha perso l’1,86% e il Dow Jones lo 0,90%. Spinta dall’iPhone, Apple ha realizzato nel quarto trimestre dell’esercizio fiscale ricavi record a 94,9 miliardi di dollari, mentre l’utile è sceso del 35% a 14,7 miliardi a causa del pagamento della maxi sanzione per le tasse in Europa. I ricavi dall’iPhone sono saliti del 5,5% a 46,22 miliardi, circa la metà del totale, segnalando un netto cambio di rotta rispetto alla debolezza die primi sei mesi dell’anno.

In Cina i ricavi sono scesi dello 0,3% a 15,02 miliardi, sotto le attese degli analisti. Amazon ha chiuso il terzo trimestre con una solida crescita dell’utile e dei ricavi grazie alla domanda per i servizi di cloud computing. I ricavi sono saliti dell’11% a 158,9 miliardi, con Amazon Web Services cresciuta del 19% a 27,45 miliardi. L’utile netto è salito a 15,3 miliardi rispetto ai 9,9 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I conti di Apple e Amazon potrebbe allentare i timori degli investitori, preoccupati – dopo le trimestrali di Microsoft e Meta – per la corsa senza freni all’intelligenza artificiale. Una preoccupazione che ha affondato Wall Street.

Nonostante la frenata dell’inflazione – l’indice Pce è sceso in ottobre al 2,1%, ai minimi dal 2021 – i listini americani hanno ceduto anche sotto il peso dell’attesa dell’occupazione americana e dell’incertezza delle elezioni, con Kamala Harris e Donald Trump testa a testa nei sondaggi. Venerdì è in calendario il dato sul mercato del lavoro che, secondo gli economisti, potrebbe essere il peggiore dell’era di Joe Biden con soli 110.000 posti di lavoro creati, meno della metà di quelli di settembre e la cifra più bassa dal 2020. A condizionare il dato sono gli uragani Helene e Milton, che hanno causato ingenti danni in North Carolina e in Florida, e lo sciopero in casa Boeing. Per i democratici e Kamala Harris la rilevazione rischia di rivelarsi una doccia fredda.

La campagna della vicepresidente è già in difficoltà sul fronte economico e una gelata dell’occupazione a quattro giorni dal voto potrebbe infliggerle un duro colpo. In attesa della fotografia del mercato del lavoro, Wall Street è arretrata con Big Tech. Se la trimestrale di Google aveva alleviato i timori sull’IA, i conti di Microsoft e Meta li hanno riaccesi. Pur presentando ricavi e utile sopra le attese, i due colossi hanno deluso con le loro stime, facendo crollare del 3,1% l’indice che monitora le Magnificent Seven (Apple, Amazon, Google, Tesla, Nvidia, Microsoft e Meta).

Redmond ha chiuso il primo trimestre dell’esercizio fiscale con utile netto in aumento dell’11% a 24,7 miliardi su ricavi cresciuti del 16% a 65,6 miliardi di dollari grazie alla domanda per il cloud computing spinta dal boom nell’adozione di strumenti di intelligenza artificiale. Microsoft ha previsto però un rallentamento della crescita delle attività cloud. Nel periodo luglio-settembre i ricavi di Meta sono invece saliti del 19% a 40,58 miliardi di dollari, mentre l’utile netto è balzato del 35% a 15,68 miliardi. Il colosso di Mark Zuckerberg ha paventato anche una “significativa” crescita delle spese di capitale per il prossimo anno. Le previsioni dei due giganti hanno innervosito gli investitori, tornati a temere che la corsa all’IA si sia spinta troppo in avanti: agli investimenti miliardari paventati, infatti, non corrispondo ancora risultati tangibili.

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L’industria in crisi, cala l’occupazione a settembre

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La crisi dell’industria non si ferma, con il fatturato che va ancora giù ad agosto. Segna invece una battuta d’arresto l’occupazione a settembre, dopo tre mesi di crescita. Il bilancio nei dodici rimane comunque positivo, anche se il calo mensile apre all’interrogativo se il mercato del lavoro italiano sia davanti ad una inversione di tendenza o solo ad un inciampo. Il quadro dell’Istat si muove così tra dati altalenanti. Ultimi quelli sull’inflazione che ad ottobre torna a salire, con l’accelerazione del carrello della spesa.

La debacle del fatturato dell’industria si riassume nel nuovo segno meno registrato ad agosto, contenuto ad un -0,1% rispetto al mese precedente ma che tocca il -4,6% rispetto ad un anno prima. In questo caso, è il 17esimo di fila. Una caduta in valore, oltre che in volumi, che riflette difficoltà nel mercato interno ed europeo, con la locomotiva della Germania ormai in frenata. Altro fronte, quello del lavoro. A settembre, dopo aver toccato livelli record, il numero degli occupati scende di 63mila unità (-0,3%), tornando sotto quota 24 milioni (a 23 milioni 983mila).

Diminuiscono sia i dipendenti permanenti che a termine, sia uomini che donne, mentre rimangono stabili gli autonomi. Ma nell’arco di un anno, gli occupati sono comunque 301mila in più (+1,3%). Si conferma la spinta all’insù che arriva innanzitutto dai dipendenti a tempo indeterminato (+331mila) e poi dagli autonomi (+81mila) e, all’opposto, il calo dei dipendenti a termine (-110mila). E nonostante il calo mensile, il terzo trimestre chiude con un incremento di 84mila occupati (+0,4%). Se il tasso di occupazione a settembre dunque scende al 62,1%, il tasso di disoccupazione risulta stabile al 6,1% – comunque ai minimi di maggio 2007 – ma sale quello giovanile al 18,3%. E crescono gli inattivi, ovvero coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano (il tasso di inattività sale al 33,7%).

La riduzione degli occupati si inscrive in un quadro di “forte rallentamento dell’economia”, sottolinea l’Ufficio studi di Confcommercio. Con il rischio che se proseguisse nei prossimi mesi, avverte, “ne conseguirebbero gravi effetti sia sulla crescita del 2024 sia, soprattutto, su quella del 2025”. Al momento, comunque, il mercato del lavoro appare “ancora solido e vitale, nonostante questo inciampo”. Vede “nuovi segnali di criticità” Confesercenti sostenendo che questa battuta d’arresto “va monitorata con attenzione perché, pur mantenendo una crescita rispetto all’anno precedente, si collegherebbe alla frenata in atto dell’economia”.

Un quadro che vede ad ottobre un aumento dell’inflazione allo 0,9% su base annua (dal +0,7% del mese precedente). Una lieve ripresa, considerata quasi fisiologica, ma che pesa di più per alcuni settori, gli alimentari in testa. Tanto che il cosiddetto carrello della spesa torna a correre: i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona accelerano al +2,2%. I consumatori rilanciano l’allarme. Per una famiglia con due figli questa risalita equivale ad un aggravio di spesa pari in media a +238 euro annui solo per l’acquisto di cibi e bevande, calcola il Codacons. Parla di “autunno caldo sul fronte dei prezzi”, l’Unione nazionale dei consumatori.

Di qui il richiamo ad intervenire per sostenere i consumi e a cascata l’attività delle imprese. “Un Paese che non consuma per effetto di prezzi alti e un basso potere d’acquisto, è un Paese che non cresce”, rimarca l’Adoc. Per Federdistribuzione è fondamentale che la legge di Bilancio venga incardinata “nella prospettiva di sostegno ai redditi delle famiglie e di facilitazione degli investimenti e delle opportunità di crescita delle imprese”.

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