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Cronache

Colpo al narcotraffico: 11 arresti tra Aversa, Capua e Caiazzo

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Di seguito un comunicato stampa del Procuratore della Repubblica distrettuale di Napoli sull’esito di una inchiesta che ha portato alla decapitazione di una banda di narcotrafficanti

Nel corso della decorsa notte, i Carabinieri del Comando Provinciale Caserta, coadiuvati in fase esecutiva dal Nucleo CC Cinofili di Sarno, nel contesto di una articolata attività d’indagine condotta dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia CC di Capua, coordinati dalla Procura della Repubblica di Napoli, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari coercitive, emessa dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, che ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di nr. 8 indagati, nonché il regime restrittivo degli arresti domiciliari nei confronti di nr.3 indagati, per i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti in concorso (p. e p. dagli artt.110, 81 cpv. c.p. e 73 e 74 DPR 309/90).

Il provvedimento scaturisce dagli esiti delle indagini che hanno consentito di accertare, tra la fine dell’anno 2020 e l’inizio dell’anno 2021, l’esistenza di un gruppo egemone di soggetti residenti nei comuni di Capua, Aversa e Caiazzo, dediti allo spaccio sulla piazza di Capua e comuni limitrofi, di sostanze stupefacenti del tipo hashish, crack e cocaina.

Le indagini, condotte attraverso attività tecniche d’intercettazione delle conversazioni tra i vari indagati, associate ad attività di osservazione, pedinamento e controllo, hanno fornito un quadro dinamico delle condotte delittuose svolte da questi ultimi, in modo sistematico e continuativo, consentendo di accertare lo smercio della sostanza stupefacente, nonché le relazioni di tutti i principali indagati. Infatti, gli acquirenti davano appuntamento allo spacciatore tramite WhatsApp, utilizzando termini convenzionali ovvero linguaggio criptico, il cui contenuto lasciava facilmente desumere l’imminente cessione. 

Numerosi sono stati i riscontri, per lo più attraverso il controllo degli acquirenti a cui, di volta in volta, veniva sequestrato lo stupefacente acquistato che, per quantità, per la modalità di presentazione, ovvero per altre circostanze dell’azione, appariva destinato ad un uso non personale, consentendo ai Carabinieri di censire un continuo via vai di persone che si rivolgeva agli indagati per comprare dosi a qualsiasi ora. 

Sono circa 233 gli episodi di spaccio accertati, indicati in 36 capi di imputazione.

Nelle fasi di esecuzione della misura, dalle perquisizioni domiciliari effettuate presso le abitazioni degli arrestati, all’interno dell’intercapedine ricavata in un muro delle cantine di uno dei palazzi, sono stati rinvenuti 17 panetti di hashish del peso complessivo di circa gr.1800, per un valore di mercato di € 13.000 (tredicimila) e un bilancino di precisione.

Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari di essa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

  • NOMI DEGLI INDAGATI RAGGIUNTI dalla MISURA CAUTELARE:
  1. AMENDOLA LUCIA, 13.02.1968 (carcere);
  2. DI RIENZO ANTONIO, 31.12.1969, (carcere);
  3. MANDESI DAVIDE, 13.11.1995, (carcere);
  4. MANDESI FABIO, 28.10.1994, (carcere);
  5. MONACO CLAUDIO, 10.01.1971, (carcere);
  6. MONACO ROBERTO, 02.05.1967 (carcere);
  7. PISTONE CARMINE, 23.12.1991, (carcere);
  8. PIUCCI ARCANGELO, 11.05.1966, (carcere);
  1. INSERO STEFANO, 26.11.1984, (arresti domiciliari);
  2. VERRONE LUIGI, 23.03.2001, (arresti domiciliari);
  3. VILARDI GIUSEPPE, 16.06.1974, (arresti domiciliari).

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Cronache

Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Cronache

Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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