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Esteri

Colpo al Louvre, i due sospetti confessano in parte: “I gioielli non sono ancora stati ritrovati”

La procura di Parigi conferma parziali confessioni dei due arrestati per il furto dei gioielli della Corona al Louvre. I preziosi, del valore di 88 milioni di euro, restano ancora introvabili. 

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L’inchiesta sul clamoroso colpo al Louvre segna un passo decisivo.
A quattro giorni dal fermo dei due sospetti, la procuratrice della Repubblica di Parigi, Laure Beccuau, ha confermato che entrambi hanno parzialmente confessato. Tuttavia, i gioielli della Corona, stimati in 88 milioni di euro, non sono ancora stati recuperati.

“Mantengo la speranza di restituirli al Louvre e alla nazione”, ha dichiarato Beccuau, precisando che le indagini stanno avanzando “in modo significativo”.

I due arrestati hanno 34 e 39 anni, il primo algerino, il secondo francese, entrambi residenti nel quartiere di Aubervilliers, alla periferia nord della capitale.


La dinamica del furto e la fuga

Secondo la ricostruzione della Procura, i due uomini sarebbero gli stessi ripresi dalle telecamere mentre entravano nella Galleria di Apollo tramite il montacarichi del museo.
Da lì sarebbero fuggiti con nove gioielli reali, tra cui la celebre Corona dell’imperatrice Eugenia, poi caduta durante la fuga.

La direttrice del Louvre ha confermato che il restauro del diadema danneggiato sarà un’operazione “delicata e complessa”.


Le accuse e i rischi di pena

Con la scadenza dei termini di detenzione, i due sospetti saranno presentati davanti al giudice per l’apertura formale dell’inchiesta.
Le accuse sono pesanti: furto in banda organizzata, reato che può comportare fino a 15 anni di carcere, e associazione per delinquere, per la quale la pena può arrivare a 10 anni.

“Nulla consente, al momento, di affermare che abbiano avuto complicità all’interno del museo”, ha chiarito Beccuau, aggiungendo però che le autorità non escludono la presenza di un gruppo più ampio, forse composto da quattro o più persone, coinvolte nell’azione.


Un bottino invendibile

I gioielli rubati – appartenenti alla collezione reale francese – restano introvabili.
La procuratrice ha lanciato un messaggio diretto ai responsabili e ai ricettatori:

“Saranno ovviamente invendibili. Chiunque li acquistasse si renderebbe colpevole di ricettazione. C’è ancora tempo per restituirli”.


I profili dei sospetti

Il 34enne algerino, residente in Francia dal 2010, è stato arrestato mentre tentava di imbarcarsi per Algeri “senza biglietto di ritorno”.
Il suo passato comprende scippi e furti.
Il 39enne francese è stato fermato nei pressi della propria abitazione: anche per lui il casellario segnala furti aggravati, ma nessuna prova che fosse pronto a fuggire all’estero.

L’indagine, seguita con attenzione in tutta Europa, prosegue nel massimo riserbo.
Il Louvre, intanto, attende con speranza la restituzione dei suoi tesori e prepara un piano di rafforzamento della sicurezza nelle sale che custodiscono i simboli più preziosi della storia imperiale francese.

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Esteri

Venezuela nella morsa della tensione: cresce la paura di un attacco Usa mentre Maduro chiama alla calma

Il Venezuela vive ore di tensione dopo le indiscrezioni su un possibile attacco Usa contro infrastrutture legate ai narcos. Maduro parla di complotto per il petrolio, mentre l’opposizione si divide tra sostegno a Washington e dialogo con Lula.

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Nonostante le smentite di Donald Trump, il Venezuela resta con il fiato sospeso.
Le indiscrezioni pubblicate dal Wall Street Journal e poi confermate dal Miami Herald hanno evocato lo spettro di imminenti attacchi statunitensi contro porti e aeroporti che Washington ritiene collegati ai cartelli della droga, in particolare al Cartello de los Soles, vicino al regime di Nicolás Maduro.

La tensione cresce mentre nel Paese si moltiplicano i segnali di una nuova escalation militare Usa nei Caraibi, dopo gli strike americani contro 14 imbarcazioni di presunti narcos e il rafforzamento della presenza navale statunitense nella regione.


Maduro: “Vogliono rubare il nostro petrolio”

Il presidente Maduro ha reagito pubblicamente alle notizie, parlando davanti alle telecamere delle tv di Stato.
Vogliono rubare il nostro petrolio”, ha dichiarato, invitando i venezuelani a mantenere “calma, compostezza e nervi saldi”, sottolineando la necessità di “unità nazionale” di fronte alle “minacce imperialiste”.

Negli ultimi giorni il leader chavista ha intensificato i contatti con i governi alleati di Russia, Cina e Iran, nel tentativo di ottenere appoggi internazionali. Tuttavia, finora, gli aiuti ricevuti appaiono più simbolici che concreti.


Russia e Cina avvertono Washington

La Cina ha espresso la propria ferma opposizione a qualsiasi azione militare contro Caracas.
Il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun ha invitato gli Usa a “ascoltare la voce dei Paesi caraibici e della comunità internazionale”, difendendo l’integrità territoriale del Venezuela.

Dalla Russia, la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zachárova ha confermato che il Cremlino mantiene un “contatto costante” con Caracas ed è “pronto a rispondere adeguatamente” a ogni richiesta di aiuto del governo venezuelano.


L’opposizione si divide tra sostegno agli Usa e appello al dialogo

A sostenere le azioni di Washington è María Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana e vincitrice del Premio Nobel per la Pace, costretta da mesi a vivere in clandestinità.
Finalmente accade ciò che chiediamo da anni: tagliare le fonti di finanziamento provenienti dal traffico di droga e dalle attività criminali”, ha dichiarato a Bloomberg.
Machado, che intrattiene rapporti regolari con alti funzionari Usa come Marco Rubio, ha definito il regime di Maduro “una struttura di narco-terrorismo”.

Più cauti altri esponenti dell’opposizione come Henrique Capriles, Manuel Rosales e Jesús Chuo Torrealba, che hanno accolto con favore la proposta del presidente brasiliano Lula di aprire un dialogo tra Stati Uniti e Venezuela.
La Casa Bianca non ha risposto, mentre Machado ha respinto l’ipotesi di negoziato.


Un Paese in crisi che spaventa l’intera regione

Secondo un sondaggio di AtlasIntel, la crisi venezuelana continua a essere una delle principali preoccupazioni dell’America Latina.
L’indagine, condotta su oltre 6.700 persone tra Venezuela e resto del continente, conferma la percezione diffusa di un Paese travolto da una crisi politica, economica e umanitaria, con effetti che si estendono ben oltre i suoi confini.

Il Venezuela resta così sospeso tra la minaccia di un conflitto esterno e l’implosione interna di un regime sempre più isolato, mentre il mondo osserva con crescente inquietudine il ritorno della tensione nel cuore dei Caraibi.

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Esteri

Escalation in Venezuela: gli Stati Uniti schierano la più grande forza navale dai tempi della crisi di Cuba

Gli Stati Uniti ammassano nei Caraibi la più imponente flotta dai tempi della crisi di Cuba. Sale la tensione con il Venezuela di Maduro, mentre l’Onu e il Congresso americano condannano i raid Usa.

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Soffiano venti di guerra in Venezuela. Gli Stati Uniti hanno dato il via al più grande dispiegamento navale nella regione dai tempi della crisi dei missili di Cuba del 1962.
La prossima settimana arriverà anche la USS Gerald Ford, la più grande portaerei americana, salpata da Spalato con a bordo 50 cacciabombardieri, 4.000 soldati e tre navi da guerra.

A completare il dispositivo: 15 incrociatori e cacciatorpediniere armati di missili Tomahawk, un sottomarino a propulsione nucleare, bombardieri B-1 e B-52, elicotteri delle forze speciali e la task force dei marines composta da 2.200 uomini.

Sulle piste di Porto Rico sono inoltre pronti a decollare dieci F-35 e una squadriglia di droni Reaper, mentre il traghetto “MV Ocean Trader” ospita una base galleggiante con 159 incursori specializzati nelle operazioni in Sud America.


L’ombra di una nuova escalation contro Maduro

Ufficialmente, l’operazione è stata lanciata per colpire i cartelli del narcotraffico venezuelani, ma a Washington cresce l’ipotesi di un intervento militare diretto contro Nicolás Maduro.
Il presidente Donald Trump nega di voler attaccare Caracas, ma gli analisti vedono nella mossa americana il preludio a una possibile escalation.

“Una volta che la Ford arriverà nei Caraibi, inizierà un conto alla rovescia: Trump avrà circa un mese per decidere se attaccare”, ha spiegato Ryan Berg del Center for Strategic & International Studies al Washington Post.
Secondo il Wall Street Journal, la Cia ha già ottenuto il via libera per operazioni coperte sul territorio venezuelano e sarebbe pronta una lista di obiettivi militari: porti, aeroporti e basi sospettate di coprire le rotte dei narcos.


Le reazioni internazionali e la condanna dell’Onu

Intanto il presidente Maduro ha chiesto aiuto a Russia, Cina e Iran, mentre l’Onu ha condannato i raid americani contro presunte imbarcazioni di narcotrafficanti, che finora hanno causato almeno 61 vittime.
Secondo le Nazioni Unite, “queste operazioni violano il diritto internazionale e costituiscono omicidi extragiudiziali”.

Anche al Congresso Usa cresce il dissenso: diversi democratici e alcuni repubblicani chiedono chiarimenti all’amministrazione sulla base legale di un eventuale attacco.
Ma a pesare è soprattutto la taglia da 50 milioni di dollari posta dagli Stati Uniti sulla testa di Maduro, dopo un fallito tentativo di corrompere il suo pilota per far atterrare il suo aereo.


Il rischio di una nuova crisi nei Caraibi

Gli scenari restano incerti. La direttrice della National Intelligence, Tulsi Gabbard, ha assicurato che “con Trump è finita la stagione del regime change”, ma i fantasmi dei colpi di Stato della Cia in America Latina tornano ad aleggiare.
Una fonte militare citata dal Miami Herald ha avvertito: “Maduro sta per trovarsi intrappolato. Alcuni generali sono pronti a consegnarlo, perché un conto è parlare di morte, un altro è vederla arrivare”.

La crisi venezuelana rischia così di trasformarsi nel più grave confronto militare tra Washington e l’America Latina degli ultimi sessant’anni.

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Carlo III cancella il fratello Andrea: fine di un principe e di una vergogna di corte

Re Carlo III cancella tutti i titoli del fratello Andrea, travolto dallo scandalo Epstein. Il duca di York diventa un cittadino comune, ma per molti la punizione arriva troppo tardi.

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È la fine ufficiale del principe Andrea, ex duca di York e fratello minore di Carlo III, travolto da anni di scandali e ormai considerato la pecora nera dei Windsor.
Il sovrano britannico ha deciso di cancellare ogni titolo e privilegio reale al fratello, colpito dalle accuse di abusi sessuali legate al caso Jeffrey Epstein.

Con un decreto formale, Andrea è stato rimosso dal Roll of the Peerage, il registro dei titoli nobiliari del Regno Unito. Non è più “Sua Altezza Reale”, né principe, ma un “commoner”, un cittadino qualunque. Persino il titolo di duca di York — ereditato per grazia reale — è stato cancellato.

La decisione è arrivata con una serie di royal warrant inviati al ministro della Giustizia David Lammy, che in qualità di Lord Cancelliere ha aggiornato i registri ufficiali.


Una punizione tardiva per la “pecora nera” dei Windsor

La mossa di Carlo III è stata accolta da molti come inevitabile, ma tardiva.
Da anni i media britannici e una parte dell’opinione pubblica chiedevano una presa di posizione netta, dopo le infamanti accuse di violenze rivolte ad Andrea da Virginia Giuffre, una delle vittime del giro di prostituzione minorile organizzato da Epstein.

La giovane, morta suicida lo scorso aprile, aveva descritto con lucidità la relazione forzata col principe.

“Una ragazza normale ha fatto cadere un principe con il suo coraggio”, ha dichiarato la famiglia Giuffre dopo l’annuncio di Buckingham Palace.

Per molti, la monarchia ha agito solo per salvare se stessa, dopo che Carlo III era stato contestato pubblicamente per non aver ancora punito il fratello.


Un re deciso a proteggere l’immagine della Corona

Il sovrano ha scelto una linea di rigore, anche per liberare il futuro re William da un’eredità ingombrante.
I rapporti fra i due fratelli erano da tempo gelidi. Andrea, protetto per anni dall’amore della madre regina Elisabetta, è stato ora definitivamente isolato.

Cacciato da Royal Lodge, la residenza di Windsor, sarà trasferito a Sandringham, nel Norfolk, in un alloggio pagato privatamente dal re. Le figlie Beatrice ed Eugenie conservano per ora il titolo di principesse, ma il futuro resta incerto anche per loro.


Possibili sviluppi giudiziari e nuova bufera politica

Il caso, tuttavia, non è chiuso.
Secondo l’autore della biografia Andrew Lownie, “non credo che per lui sia finita”.
L’organizzazione Republic, storicamente anti-monarchica, ha annunciato un’iniziativa legale per portare Andrea davanti alla giustizia con accuse di abusi sessuali, corruzione e cattiva condotta pubblica.

Dagli Stati Uniti, il fratello di Virginia Giuffre, Sky Roberts, ha chiesto un’indagine penale e ha invocato pressioni di Carlo su Donald Trump per rendere pubblici i documenti dello scandalo Epstein.

Intanto, nel Regno Unito, la vicenda ha aperto una crepa politica. Alcuni deputati chiedono che il Parlamento possa discutere del ruolo e dei privilegi reali, mentre la parlamentare Zarah Sultana è arrivata a chiedere apertamente l’abolizione della monarchia.


Fine di un principe, inizio di un nuovo capitolo

Con la cancellazione di Andrea, Carlo III tenta di salvare la reputazione dei Windsor, ma la macchia resta profonda.
Per molti britannici, la famiglia reale ha chiuso la stalla quando i cavalli erano già scappati.
E il principe caduto, un tempo simbolo di aristocratica sicurezza, oggi rappresenta solo l’imbarazzo di una dinastia che lotta per restare credibile nel XXI secolo.

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