Confermare la fiducia al governo e garantirgli poi l’appoggio esterno. Il piano del M5s, in attesa di capire se e’ compatibile con le valutazioni di Mario Draghi, sopravvive a un’altra giornata di riunioni informali e assemblee su zoom in un clima a tratti da derby allo stadio, con scontri verbali e insulti, e qualche spiaggia sullo sfondo delle inquadrature: i cosiddetti governisti provano a mandare un segnale al premier, ma non vanno oltre la quindicina di interventi di dissenso, su oltre sessanta, nell’assemblea dei parlamentari che in gran maggioranza sostiene la mossa di Giuseppe Conte. Il travaglio interno non e’ concluso, la riunione e’ aggiornata a domani pomeriggio, anche se nelle letture dei dirigenti del partito ora il vero ostacolo alla sopravvivenza dell’esecutivo sono Forza Italia e Lega: sono loro, e’ il ragionamento, che hanno stravolto lo scenario ponendo il veto, si’ a un Draghi bis ma senza il Movimento. Per Conte e’ stata l’ennesima giornata di confronti, non solo interni ma anche con esponenti del Pd. L’esito di questa crisi puo’ segnare la fine dell’alleanza progressista, che sabato prossimo celebra le primarie per le Regionali in Sicilia. Anche a quel pericolo, oltre ai rischi per riforme e Pnrr ha accennato il ministro Federico D’Inca’ ribadendo la gravita’ del voto anticipato e sollevando la necessita’ di una tregua tra Conte e Draghi. Il suo e’ conteggiato nella quindicina di interventi di dissenso, con Federica Dieni, Giulia Grillo, Luca Sut, Azzurra Cancelleri, Rosalba Cimino, Vita Martinciglio, Soave Alemanno, Diego De Lorenzis, Niccolo’ Invidia, Elisabetta Maria Barbuto, Elisa Tripodi, Gabriele Lorenzoni e Celeste D’Arrando. Voci che contestano la gestione del partito e mandano segnali “rassicuranti” a Palazzo Chigi. Come a dire che puo’ contare su di loro, che si smarcheranno da un Movimento che non ha piu’ la fisionomia di quando entro’ nella maggioranza di unita’ nazionale. Al momento, pero’, sono meno del previsto, contando che un paio di dissidenti usciti allo scoperto in realta’ sono titubanti. “Sono poche”, ammette un governista. Gli indecisi attendono le parole di Davide Crippa, il capogruppo 5s alla Camera, che non e’ ancora intervenuto in assemblea. Di certo, chi non intende seguire la linea del Movimento lo lascera’, forse gia’ prima di mercoledi’. Intanto fra i contiani c’e’ la convinzione che il leader abbia saputo tenere la rotta, mediando (con il lavoro anche di Appendino, Bonafede, Patuanelli e Todde) fra chi da tempo voleva uscire subito dal governo e chi invece considera opportuno sostenere l’esecutivo fino alla sua naturale scadenza, e vedeva gia’ rischi nella scelta di non votare la fiducia al dl aiuti al Senato. Ma la crisi non e’ colpa del M5s, e’ la difesa dei colonnelli del leader: se Draghi, anziche’ decidere di dimettersi, avesse convocato un vertice di maggioranza, noi gli avremmo votato subito dopo la fiducia; e perche’ ora non va avanti, i numeri li ha? Una risposta la da’ Alessandro Di Battista, a cui guarda almeno una parte del Movimento: “Se Draghi davvero lo volesse sarebbe ancora il Presidente del Consiglio di un governo di unita’ nazionale, perche’ quasi tutti gli voterebbero la fiducia, avrebbe numeri schiaccianti. Ma teme che cio’ che la situazione in arrivo in autunno possa minare la grande credibilita’ internazionale che crede di avere: non vede l’ora di andarsene – e’ la tesi dell’ex M5s -. Se poi gli dovesse arrivare una telefonata importante dalla Casa Bianca o dall’ad di BlackRock potrebbe andare diversamente”.