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Cina contro l’accordo sui porti di Panama, cita patriottismo

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I media statali cinesi hanno rinnovato e intensificato le critiche a CK Hutchison, la conglomerata basata a Hong Kong di proprietà del magnate ultranovantenne Li Ka-shing, sostenendo che l’accordo di vendita delle attività portuali del Canale di Panama al consorzio guidato dal colosso americano BlackRock è antipatriottico. Ta Kung Pao, quotidiano in lingua cinese controllato dall’Ufficio di collegamento del governo centrale, l’autorità che rappresenta Pechino nell’ex colonia britannica, ha pubblicato un altro articolo nel fine settimana dal titolo ‘I grandi imprenditori sono tutti eminenti patrioti’.

Toni simili rispetto a quello di giovedì, ma con due differenze: la citazione del patriottismo e la pubblicazione integrale dell’articolo sui siti web dell’Hong Kong and Macao Work Office del Partito comunista cinese, dell’Hong Kong and Macao Affairs Office del governo centrale e anche dell’Ufficio di collegamento, indicando quindi opinioni che riflettono quelle di Pechino.

L’accordo in questione prevede che CK Hutchison accetti in linea di principio di trasferire al consorzio il 90% nella Panama Ports Company, insieme al suo 80% effettivo e di controllo in 43 porti comprendenti 199 attracchi in 23 Paesi con un valore complessivo dell’operazione di 22,8 miliardi di dollari. L’articolo ha invitato gli imprenditori cinesi a resistere alla tempesta così come la Cina sta “affrontando l’egemonia e il bullismo americano” e le aziende di “stare saldamente unite alla madrepatria”.

Coloro che soccombono a comportamenti egemonici e prepotenti per fare un “affare” una tantum, passeranno alla storia come “infamia storica”. L’articolo ha messo in discussione la natura dell’accordo come “commerciale” e ha parlato di patriottismo con allusioni a imprenditori cinesi del passato, da Chang Chien che aprì un cotonificio privato alla fine del XIX secolo a Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, che “salvò la sovranità tecnologica dell’industria delle telecomunicazioni cinese”. Pertanto, “le vere qualità degli eroi si rivelano chiaramente in tempi di mare agitato”.

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Crisi Ucraina, Trump alza il tono: «Chi non collabora è un imbecille». E minaccia lo stop ai negoziati

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Il tempo stringe, e Donald Trump lo sa bene. Il presidente americano ha lanciato un messaggio netto e ambiguo al tempo stesso: o i negoziati di pace tra Ucraina e Russia portano a risultati concreti in tempi brevi, o gli Stati Uniti si ritireranno dal tavolo. «Chi rende le cose difficili è un imbecille. Passeremo ad altro», ha detto ai giornalisti, con il consueto tono ruvido, lasciando intendere che la pazienza di Washington è agli sgoccioli.

Il piano Usa: territori alla Russia, stop alle sanzioni, niente Nato per Kiev

La bozza dell’intesa, secondo indiscrezioni riportate da Bloomberg, concede molto a Mosca: prevede infatti il congelamento del conflitto lungo l’attuale linea del fronte, lasciando i territori occupati alla Russia, Crimea inclusa. Non solo: viene escluso l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e si ipotizza un allentamento delle sanzioni in cambio della cessazione delle ostilità.

Ma Volodymyr Zelensky non ci sta. «Non considereremo mai i territori ucraini come russi», ha ribadito, chiudendo la porta a ogni cessione territoriale. La sfiducia di Kiev nei confronti del piano americano è palpabile, e si riflette anche nel clima tra i sostenitori: tra i meme che circolano online, uno mostra un coniglio dilaniato da un bombardamento a Kharkiv con la scritta: «Questo è il tuo coniglio di Pasqua, Mr Trump».

Mosca gioca al rialzo: «Serve più tempo»

Nel frattempo, il Cremlino prende tempo. Il portavoce Dmitry Peskov ha affermato che ci sono «sviluppi», ma che serviranno «molte discussioni difficili». Nessun ordine da parte di Vladimir Putin per rinnovare la tregua sugli impianti energetici, scaduta da giorni. E Mosca insiste su condizioni inaccettabili per Kiev, tra cui la sovranità russa sulle cinque regioni occupate e la fine delle forniture militari occidentali.

Memorandum e minerali: gli Usa restano sul campo

Nonostante le minacce di Trump, Washington non abbandona Kiev. Giovedì è stato firmato un memorandum d’intesa economica, primo passo verso un accordo che prevede lo sfruttamento congiunto delle terre rare ucraine in cambio di supporto militare. L’intesa dovrebbe essere siglata tra il 24 e il 26 aprile, segnale che la cooperazione continua, anche se con molte ombre.

Fratture nell’amministrazione Usa

Le posizioni, però, non sono univoche neanche a Washington. Il vicepresidente JD Vance, in visita a Roma, si è detto «ottimista» sull’esito dei negoziati, mentre il segretario di Stato Marco Rubio, da Parigi, ha usato toni più duri: «Non possiamo continuare all’infinito, è una questione di giorni, non di mesi».

Rubio ha presentato un piano in tre punti: concessione dei territori occupati alla Russia, riduzione delle sanzioni, e cancellazione dell’adesione ucraina alla Nato. Uno schema che non tiene conto delle richieste minime di sicurezza di Kiev, e che segnala una volontà crescente negli Stati Uniti di chiudere il dossier Ucraina, anche a costo di scontentare gli alleati.

Verso un disimpegno Usa?

La sensazione è che Washington voglia lasciare la regia della crisi agli europei, con l’asse franco-britannico pronto a guidare la cosiddetta «coalizione dei volenterosi». Resta da capire se e in quale misura gli Stati Uniti continueranno a fornire armi a Kiev in caso di rottura definitiva dei negoziati.

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Meloni a Washington, elogi da Trump e attenzione della stampa Usa: «Un rapporto speciale»

Il New York Times: «Trump l’ha sommersa di elogi». Bloomberg: «Segnale di distensione sui dazi».

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Una visita ricca di simboli e implicazioni quella della premier Giorgia Meloni alla Casa Bianca, dove ha incontrato il presidente Donald Trump in un faccia a faccia definito dal New York Times «un incontro in gran parte senza intoppi», durante il quale il tycoon «l’ha sommersa di elogi iperbolici» e ha espresso una particolare «affezione» per la leader italiana. Per il quotidiano statunitense, si tratta di un evento che «cementa un rapporto speciale».

“Rendere l’Occidente di nuovo grande”

A colpire gli osservatori americani è stata la frase con cui Meloni ha fatto eco, seppur in modo indiretto, al celebre slogan trumpiano Make America Great Again: «Vogliamo rendere l’Occidente di nuovo grande». Un passaggio evidenziato dalla stampa Usa come un chiaro segnale di sintonia ideologica, rafforzato da una presa di distanza comune dai temi della diversità e dell’ideologia woke, su cui Meloni e Trump condividono una visione critica.

Bloomberg: «Primo segnale di distensione sui dazi»

Per Bloomberg, la visita ha avuto un’importanza strategica sul piano commerciale: è infatti la prima volta che Trump manifesta apertura a un confronto costruttivo con l’Unione Europea sui dazi, ponendo fine – almeno nei toni – alla storica retorica aggressiva nei confronti di Bruxelles. «Sono scomparse le invettive contro l’Unione Europea», nota l’agenzia finanziaria, mentre Trump riconosce la possibilità di «un accordo facile» con l’Europa e altri partner.

Il Washington Post guarda altrove

Curiosamente, il Washington Post ha dato poco rilievo all’incontro Meloni-Trump, preferendo in prima pagina un’inchiesta dedicata alle infiltrazioni mafiose tra gli ultrà delle squadre milanesi Milan e Inter. Tuttavia, nell’analisi del bilaterale, sottolinea come Trump non abbia mostrato fretta nel concludere nuovi accordi commerciali, convinto che «i dazi arricchiscano gli Stati Uniti», sebbene abbia lasciato aperta la porta a possibili negoziati.

Wall Street Journal: “Ora tutti vogliono comprare americano”

Il Wall Street Journal, infine, ha dedicato la foto di prima pagina all’incontro tra Meloni e Trump nello Studio Ovale, con un titolo che strizza l’occhio all’orgoglio del presidente americano: «I Paesi di tutto il mondo promettono di comprare americano», sottolineando il nuovo slancio agli investimenti internazionali negli Stati Uniti.

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Vertice Meloni-Trump alla Casa Bianca: da Musk alle missioni su Marte, energia, sicurezza e tecnologia

Colloquio informale con Elon Musk, pressing USA su Cina e web tax. Nel comunicato finale l’impegno congiunto su difesa, GNL e tecnologie strategiche.

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È entrato in silenzio, senza clamore, ma con il peso di chi orienta il futuro. Elon Musk, CEO di SpaceX e Tesla, ha fatto capolino alla Casa Bianca durante il vertice tra Giorgia Meloni e Donald Trump, partecipando al pranzo bilaterale nella Cabinet Room. «Contenta di rivedere a Washington l’amico Elon Musk», ha scritto la premier italiana sui social, pubblicando le foto dell’incontro con “Mr. SpaceX”.

Al centro del colloquio, le missioni spaziali ExoMars 2026 e 2028, con l’Italia coinvolta attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) nella fornitura del rover europeo che camminerà sul suolo marziano. Ma il dossier “spazio” è stato solo una delle portate del business lunch che ha visto Meloni confrontarsi con Trump, il vicepresidente J.D. Vance, e il segretario alla Difesa Pete Hegseth su pace, sicurezza, energia e geopolitica.

Ucraina, pace e ruolo dell’Italia

La guerra in Ucraina è stata uno dei temi cardine: secondo fonti americane, Trump punta a chiudere presto, costringendo Putin al tavolo. Gli USA chiedono all’Europa di fare la propria parte, anche con un allentamento selettivo delle sanzioni.
Nel comunicato congiunto è stata riconosciuta la leadership di Trump nel favorire il cessate-il-fuoco e nel lavorare per una pace giusta e duratura, come sintetizzato anche in un rapporto classificato consegnato ai principali alleati europei, inclusa l’Italia.

Cina e sicurezza tecnologica

Ma il vero piatto forte è stata la sicurezza. L’amministrazione Trump preme perché l’Europa rompa i legami con Pechino, soprattutto sulle tecnologie critiche. Il documento finale cita espressamente l’impegno reciproco a usare solo fornitori affidabili nelle reti strategiche: il riferimento è chiaro, anche se la Cina non viene mai nominata.
Nel mirino, le infrastrutture legate a 5G, intelligenza artificiale, quantum computing e 6G. Meloni, che segue il dossier personalmente, prepara un provvedimento che limiterà gli accessi cinesi negli appalti pubblici sulle tecnologie sensibili, privilegiando i partner Nato. Una misura coerente con la nuova direttiva europea “Nis” sulla cybersicurezza.

L’alternativa a Pechino: l’Imec e l’India

Nella strategia di disaccoppiamento dall’influenza cinese, centrale il progetto IMEC (India-Middle East Economic Corridor), descritto come “uno dei più grandi progetti di integrazione economica del secolo”. Roma guarda con attenzione alla cooperazione con India ed Emirati Arabi Uniti, come alternativa credibile alla Nuova Via della Seta.

Energia e cantieristica: 10 miliardi in arrivo

Meloni ha annunciato 10 miliardi di nuovi investimenti italiani negli USA, in parte legati all’aumento dell’importazione di GNL statunitense e alla diversificazione delle fonti energetiche.
Sul fronte industriale, Fincantieri è pronta a espandere il proprio cantiere navale in Florida, con un progetto di rilancio della cantieristica civile e commerciale americana.

Piano Mattei, migranti e web tax

L’amministrazione Trump ha espresso sostegno alle politiche italiane sul Piano Mattei e sull’immigrazione, mentre resta tensione sul dossier fiscale. La web tax italiana e le barriere agli investimenti tech sono considerate penalizzanti: nel comunicato si chiede una “tassazione equa e non discriminatoria”. Un’apertura, forse, a un alleggerimento del regime fiscale per i colossi della Silicon Valley, ma senza fughe in avanti.

 

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