Maghreb in arabo significa Occidente e designa, nella geografia dell’Islam, il lembo estremo dei territori appartenenti alla Umma, la comunità dei credenti, in Africa settentrionale. Oggi questa espressione indica concretamente un insieme di Paesi che, in un’accezione ristretta, comprende Tunisia, Algeria e Marocco. In un’accezione allargata, il Grande Maghreb include anche la Mauritania e la Libia. Si tratta di un vasto insieme geopolitico che occupa una parte importante della sponda Sud del Mediterraneo. I nostri dirimpettai rappresentano un significativo conglomerato demografico, un immenso patrimonio di cultura, uno spazio di primaria importanza per le nostre relazioni economiche e commerciali. Insomma, se qualcosa succede nel Maghreb, stiamo certi che in qualche modo, presto o tardi, ciò avrà delle ripercussioni sul nostro benessere, sulla nostra stabilità, sui nostri assetti sociali e culturali.
In questo periodo stanno succedendo cose rilevanti, in particolare nel Maghreb ristretto. Rilevanti e concomitanti, punto da non sottovalutare, di cui si parla poco in Europa e quasi per nulla in Italia.
In Tunisia, il 25 luglio il Presidente Kaïs Saïed, eletto nel 2019, ha sciolto il governo guidato da Hichem Mechichi e “sospeso” il Parlamento. Saïed è un professore universitario di Diritto Costituzionale e si è appellato alla Costituzione, appunto, per proclamare quello che a tutti gli effetti può essere considerato uno “Stato d’eccezione”. In virtù del quale, di fatto, il potere si concentra nelle mani del Presidente e gli dà la possibilità di governare attraverso decreti. L’opposizione, e in specie il primo partito Ennahda, di tendenza islamista “moderata”, ha parlato di golpe per bocca del suo leader Rached Ghannouchi. Ma poi ha dovuto ammettere che effettivamente la Costituzione tunisina del 2014, -quando Ennahda era al potere, peraltro- consente al Presidente di prendere il provvedimento cui ha fatto ricorso Saïed. Solo che, ecco, lo stato d’eccezione –che è una faccenda eccezionale, come dice il nome- si deve risolvere entro 30 giorni secondo i termini dell’articolo 80 della Carta. I trenta giorni son passati e Saïed ha prorogato le sospensioni, compresa l’immunità parlamentare, fino a quando non vi saranno nuovi annunci. Curiosa espressione in bocca a un costituzionalista….Golpe, dunque? Abuso di potere? Le preoccupazioni si diffondono. L’organo che potrebbe (e dovrebbe) dirimere la questione, vale a dire la Corte Costituzionale, nonostante la buona volontà e l’impegno del Presidente, non ha potuto mai essere nominata per l’opposizione delle opposizioni, e particolarmente di Ennahda. Quindi siamo a un punto morto.
Tunisia. Il Presidente Kaïs Saïed, eletto nel 2019
Il popolo tunisino, stando ai sondaggi, è largamente col Presidente, di cui coglie l’aspirazione riformista in chiave pragmatica, a fronte di un sistema politico-istituzionale segnato da corruzione e inefficienza, ormai incapace di affrontare e risolvere i problemi veri della gente, a cominciare da quelli economici e sociali. E si prevede che un partito del Presidente, che si presentasse a prossime elezioni, varrebbe almeno un 20%, ponendosi al secondo posto, alle spalle –amaro paradosso- del Partito Desturiano Libero, vale a dire la formazine guidata da Abir Moussi, che riunisce i privilegiati del vecchio regime, gli orfani del vecchio presidente Ben Ali, autocrate e capo di una cleptocrazia contro cui la rivoluzione dei gelsomini, con le sue aspirazioni profumate, di libertà e di rinnovamento, era cominciata, prima fra tutte le primavere nordafricane.
In concomitanza, come si diceva, apprendiamo che l’Algeria ha rotto le relazioni diplomatiche con il Marocco. Fatto gravissimo, già verificatosi tra i due Paesi che si sono voltati le spalle in un lungo periodo che va dal 1976 al 1988. Le cause? Sono tante, ma tutte ruotano attorno al dossier sensibile di un altro territorio che occorrerebbe aggiungere al Maghreb ristretto. Un territorio esteso poco meno dell’Italia, noto come Sahara Occidentale, che qualcuno come l’Algeria, chiama RASD (Repubblica Araba Democratica del Sahrawi), riconoscendone uno statuto di sovranità che quel territorio non ha. Non lo possiede de iure, visto che l’ONU lo considera territorio non pienamente autonomo, anche se 87 Paesi membri lo riconoscono. Tanto meno lo possiede de facto, essendo considerato dal Marocco che lo occupa per la maggior parte, come una sua provincia meridionale. Insomma parliamo, del vecchio possedimento coloniale spagnolo detto Sahara Occidentale, di cui l’Algeria sostiene da sempre la piena sovranità ma che il Marocco ha annesso.
Il Re del Marocco
Nell’annunciare questa crisi politico-diplomatica il Ministro degli esteri algerino Ramtane Lamamra ha fatto un lungo elenco delle ragioni che hanno condotto a questa decisione. Gli atti di ostilità addebitati al regno alawita vanno dall’invasione del 1963 in occasione della “Guerra delle sabbie”, mentre l’Algeria usciva appena dalla lunga guerra per l’Indipendenza dalla Francia, agli ultimi mesi, con il Marocco che, per il tramite del suo ambasciatore all’ONU, sostiene apertamente il MAK (Movimento per l’autodeterminazione della Kabilia), che l’Algeria considera dal suo canto un’organizzazione terroristica. Come se non bastasse, Rabat è accusata da Algeri di essere implicata addirittura negli incendi estivi delle foreste del Nord.
Nell’immaginario islamico, il Maghreb è sempre stato pensato come un’area turbolenta, se paragonata ai più stabili ed affidabili “centri” spirituali e califfali d’Oriente. Oggi questa relazione simbolica non può certo valere, considerando quel che succede nel Mashrek, tra Baghdad e Damasco. Ma varrebbe la pena prestare più ascolto, da parte dell’UE, a quel che accade alle porte di casa, prima che i giochi si facciano troppo pericolosi. Forse la Tunisia ci sta chiedendo qualcosa e una mediazione di Bruxelles tra Algeria e Marocco potrebbe essere la benvenuta…
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
La situazione delle donne in Afghanistan continua a peggiorare. Con un annuncio shock, i talebani hanno detto che inizieranno a lapidare a morte in pubblico le donne accusate di adulterio, rivendicando il diritto di far rispettare la sharia (la legge islamica). Nel proclamarlo con un messaggio vocale trasmesso dalla tv di Stato, il leader supremo, Hibatullah Akhundzada, ha voluto avvertire principalmente coloro che, in Occidente, criticano il governo talebano, che Akhundzada controlla di fatto da Kandahar, attraverso editti basati sulla sua interpretazione rigorosa dell’Islam. Nel messaggio il mullah, che nessuno ha mai visto, ha definito i difensori dei diritti umani occidentali “rappresentanti del diavolo”.
“Voi dite che è una violazione dei diritti delle donne quando le lapidiamo. Ma presto attueremo la punizione per l’adulterio”, ha detto. “Fustigheremo le donne in pubblico. Le lapideremo in pubblico. Sono tutte cose che vanno contro la vostra democrazia, ma continueremo a farlo”, ha proseguito. Il leader supremo ha giustificato la mossa come il proseguimento della lotta dei talebani contro le influenze occidentali. “Il nostro lavoro non si è concluso con la conquista di Kabul, ma è appena iniziato”, ha aggiunto. La notizia è stata accolta con orrore, ma non con sorpresa, dai gruppi per i diritti delle donne afghane, secondo i quali lo smantellamento di ogni diritto e protezione residua per i 14 milioni di donne e ragazze del Paese è ormai quasi completato.
Secondo Safia Arefi, avvocata e responsabile dell’organizzazione afghana ‘Women’s Window of Hope’, l’annuncio dei talebani è stato favorito dal silenzio della comunità internazionale. “Con questo annuncio, è iniziato un nuovo capitolo di punizioni e le donne afghane stanno vivendo una profonda solitudine”, ha detto Arefi, citata dal Guardian. “Ora nessuno è al loro fianco per salvarle dalle punizioni talebane. La comunità internazionale ha scelto di rimanere in silenzio di fronte a queste violazioni dei diritti delle donne”, ha aggiunto.
I talebani hanno ripreso il potere nell’agosto del 2021, in seguito al crollo del governo sostenuto a livello internazionale e al ritiro di tutte le truppe occidentali guidate dagli Stati Uniti dopo quasi 20 anni di coinvolgimento nella guerra afghana. Da allora il regime ha bloccato l’istruzione femminile oltre le scuole elementari e ha imposto crescenti restrizioni alla partecipazione delle donne nei luoghi di lavoro pubblici e privati, impedendo loro di lavorare con l’Onu e altre organizzazioni umanitarie. Ma il mullah giustifica queste misure affermando di seguire la cultura afghana e i principi islamici.
La depressione Nelson continua a fustigare il Portogallo. La giornata di ieri è stata particolarmente difficile, con fenomeni climatici estremi che hanno provocato disagi e preoccupazione tra i portoghesi, i quali tuttavia non hanno mancato di testimoniare i fenomeni attraverso le loro reti sociali. Nel pomeriggio un tornado si è manifestato vicino al ponte Vasco da Gama, il più lungo dei due che a Lisbona collegano le sponde dell’estuario del Tago. Il vento forte ha obbligato anche a invertire la rotta di diversi aerei in fase di atterraggio nell’aeroporto Humberto Delgado. Ma la capitale portoghese non è stata l’unica a registrare fenomeni climatici rari. Le basse temperature, per esempio, hanno provocato delle inusuali nevicate all’isola Terceira, nell’arcipelago delle Azzorre. Il maltempo, dicono i meteorologi, si protrarrà in Portogallo almeno fino a Pasqua.
Il Ministero della Difesa siriano afferma che diversi civili e militari sono stati uccisi in seguito ad attacchi dell’esercito israeliano e di un gruppo militante nella città settentrionale di Aleppo. L’Osservatorio siriano per i diritti umani parla da parte sua di circa 30 morti.
I raid aerei israeliani contro diverse aree nelle campagne circostanti Aleppo sono avvenuti “in concomitanza” con un attacco di droni contro civili che il dicastero ha descritto come condotto da “organizzazioni terroristiche” della città di Idlib, secondo quanto riportano diversi media arabi. Il governo siriano non ha fornito al momento cifre sul numero delle vittime.
Una fonte militare ha detto all’agenzia di stampa ufficiale Sana che “verso l’1:45 il nemico israeliano ha lanciato un attacco aereo dalla direzione di Athriya, a sudest di Aleppo”, aggiungendo che “civili e personale militare” sono stati uccisi e feriti nell’attacco.