La disperazione di un padre, la ricerca di farsi “giustizia” da sé sfociata in una violentissima rissa finita con un accoltellamento mortale. Ci sarebbe una vicenda di questo tipo all’origine della colluttazione avvenuta la scorsa notte nel centro di Ferrara, intorno alle 23.30 nel bar Big Town di via Bologna, costata la vita a un uomo di 42 anni. La vittima si chiamava Davide Buzzi. Ferito in modo grave un giovane di 20 anni che era con lui, accoltellato al ventre. Il titolare del bar (Mauro Di Gaetano, 41 anni) e suo padre Giuseppe (69 anni), feriti in modo lieve, dopo un lungo interrogatorio sono in stato di fermo, accusati, in concorso, di omicidio volontario e tentato omicidio. Una notte da far west quella vissuta a Ferrara, in una zona di locali e di giovani, tanti increduli accorsi vicino all’area transennata dalle forze dell’ordine. In base a quanto ricostruito, Davide Buzzi accusava i titolari del bar di non aver allertato per tempo i soccorsi nella notte tra il 12 e il 13 agosto quando il suo figliastro di 19 anni morì, proprio in via Bologna, dopo aver accusato un malore.
Per questo caso una delle ipotesi investigative fu che il giovane avesse assunto poco prima della cocaina che potrebbe aver esacerbato un difetto congenito al cuore, a lui già noto per un episodio precedente che già lo portò all’ospedale. Così Buzzi, ieri sera, accompagnato dal cugino del figlio, avrebbe cercato in qualche modo vendetta per la morte del ragazzo. I due sarebbero arrivati al locale a bordo di una Bmw nera, lasciata parcheggiata in mezzo alla strada, portando con sé una grossa tanica rossa contenente benzina o altro liquido infiammabile. L’intento probabile era dare fuoco al bar. Il titolare e suo padre erano presenti e avrebbero però reagito.
La colluttazione che ne è scaturita è terminata con Buzzi a terra, incosciente e con il volto sfigurato e tagli al collo e al petto, e con il giovane che era con lui raggiunto da una coltellata al ventre, dal basso verso l’alto. Il 42enne è stato con molta difficoltà intubato sul posto dal personale sanitario del 118 ma è morto poco dopo l’arrivo all’ospedale Sant’Anna di Cona: le sue condizioni erano disperate già da subito. Il 22enne è invece riuscito ad allontanarsi autonomamente dal locale, poi è rimasto in strada al momento dell’arrivo dei carabinieri e del 118 che lo ha soccorso. Sul posto è intervenuto un vasto dispiegamento di forze sia della polizia sia dei carabinieri: questi ultimi hanno la competenza investigativa, a notte inoltrata è intervenuto il nucleo investigativo per i rilievi. Dalla morte del figliastro, a metà agosto, il 42enne avrebbe cercato di far giustizia al lutto che lo aveva colpito. Non solo aveva già minacciato i titolari del bar ma nelle scorse settimane Buzzi aveva aggredito in centro un uomo che accusava di essere il possibile pusher del figlio. La sua vittima in quel caso era riuscita a rifugiarsi in un bar fino all’arrivo delle forze dell’ordine che, a fatica, erano riuscite a placare il 42enne.
“So benissimo che se sono qui è per la grande solidarietà del popolo italiano e per il sostegno internazionale. A questo devo la vita. I politici e i governi non sono proattivi, agiscono se è la cittadinanza dal basso che fa pressioni. Sì, è vero, si è parlato alla Camera e al Senato del mio caso, ma perché c’era una pressione dal basso”.
Lo ha detto Patrick Zaki in un evento all’Auditorium della Nuvola dell’Eur a Roma che chiude il sabato di Più Libri più Liberi. “Il carcere è una ferita che non passa mai”, “chiunque abbia avuto la mia sorte e lavora nella difesa dei diritti umani ha il timore o di essere detenuto di nuovo o di tornare in quella piccola cella. È inesorabile che ti poni un sacco di domande. Non sono lo stesso uomo che è entrato la dentro, quell’esperienza ha cambiato il mio modo di pensare” ha raccontato Zaki in dialogo con Pegah Moshir Pour e Marianna Aprile in occasione dell’uscita del suo libro ‘Sogni e illusioni di libertà. La mia storia’ (La nave di Teseo). “Ogni giorno c’è qualcosa di piccolo, banale, ovvio che ti fa sentire la paura di ritornare in galera. Ora non riesco a stare in un luogo dove non vedo una finestra. Un odore, qualche cosa che sento può ricondurmi a quello, alla piccola cella al Cairo. Il carcere è una ferita. So che il mio non è un riprendere da dove ero partito, ma un riadattarsi”.
Zaki ha anche raccontato di essere sempre rimasto in contatto con i compagni di prigionia, con i loro familiari. “Cerco di seguire le notizie di scarcerazioni. In questo momento non è facile perché tutti i fari sono puntati su quello che succede nelle guerre e il numero delle scarcerazioni diminuisce. Io ne faccio un compito quotidiano di scrivere lettere ai miei compagni di prigione. Io che ci sono stato dietro le sbarre so che la peggiore sensazione è quella di essere dimenticati. È questa la paura. Mia madre in questo mi ha molto aiutato, perché mi ha sempre informato di quello che accadeva e questo mi ha dato la forza di resistere. Sotto questo profilo sono stato fortunato. Per questo mi consumo a scrivere e parlare dei prigionieri di coscienza nel mio Paese” spiega. Superato anche il senso di colpa verso la sua famiglia alto borghese che non aveva tradizioni di impegno politico. “La mia famiglia non era particolarmente politicizzata.
Il timore che si cominciasse a esercitare pressioni su di loro era grande. Se non avessi avuto la forza che ho avuto grazie al popolo italiano potrei raccontare una storia diversa, il familiare licenziato o altro. Credo di essere riuscito a fare progressi sul piano personale, ma mi chiedo ancora se potrà succedere qualcosa alle persone che mi stanno intorno. E pensate cosa vuol dire essere madre di un detenuto” dice. E aggiunge: “Il mio sistema di supporto sono le donne. La mia rete quando erano in galera sono state mia madre, mia sorella, la mia fidanzata che ora è mia moglie. In Italia la pietra angolare della mia scarcerazione è stata Rita Monticelli, è lei che mi ha mantenuto viva l’attenzione”.
Avrebbe organizzato con il padre e un amico un’aggressione contro due persone nelle campagne di San Marzano, in provincia di Taranto. E durante la discussione, dopo aver estratto una pistola per sparare contro i due rivali, ha ferito per errore suo padre a una coscia, uccidendolo. È accaduto la sera del 7 dicembre nelle campagne di San Marzano, per questioni legate all’utilizzo dei cavalli da traino nella festa di San Giuseppe. Con l’accusa di omicidio volontario è stato fermato dai carabinieri il 27enne Angelo D’Angela, l’uomo che avrebbe esploso il proiettile che ha ferito per errore alla gamba il 59enne Antonio, che è poi morto dissanguato.
Fermato anche il 42enne Massimiliano Papari che avrebbe partecipato all’aggressione. Quest’ultimo è accusato di concorso in omicidio. Alla base della presunta spedizione punitiva ci sarebbero vecchi dissidi legati all’utilizzo dei cavalli che la vittima, titolare di un’azienda agricola, allevava. La discussione sarebbe iniziata al circolo dei carrettieri che partecipa all’organizzazione del tradizionale corteo e sarebbe proseguita in un secondo momento in contrada Principe. È qui che la lite sarebbe degenerata fino a quando Angelo D’Angela ha deciso di sparare.
Alle due persone affrontate i D’Angela e Papari addebitavano la responsabilità di un incendio doloso avvenuto l’estate scorsa in un terreno degli stessi D’Angela a cui fu incendiato un camion. Il confronto è proseguito a parole fino al momento della sparatoria. Il proiettile esploso dal 27enne, però, non ha raggiunto il bersaglio al quale mirava, ma ha ferito alla coscia sinistra suo padre, recidendo l’arteria femorale. D’Angela è morto dissanguato nonostante il tentativo del figlio di salvarlo, trasportandolo all’ospedale Giannuzzi di Manduria.
Qui i medici hanno fatto il possibile per aiutarlo ma non c’era più nulla da fare. La salma è stata posta sotto sequestro in attesa dell’autopsia. Il figlio è stato da subito interrogato dagli investigatori che hanno anche sentito altri parenti. Secondo il pm Francesco Ciardo, il 27enne, pur sparando contro un’altra persona, aveva comunque intenzione di uccidere, anche se il colpo, nella concitazione degli eventi, ha raggiunto suo padre che non era il suo reale obiettivo. Da questa circostanza nasce l’accusa di omicidio volontario.
Sono due i presepi vaticani 2023, uno in piazza San Pietro e l’altro in Aula Paolo VI. Le due natività, volute fortemente dallaDiocesi di Rieti e affidate per la realizzazione a Fondaco Italia, sono state pensate per celebrare gli ottocento anni dal primo presepe della storia, voluto nel 1223 da San Francesco d’Assisi a Greccio, nel reatino.
Nel 1223, preso dallo sconforto per le violenze e per lo spargimento di sangue che investiva Betlemme, travolta dalle crociate, il patrono d’Italia chiese al suo amico Giovanni Velita e sua moglie Alticama di portare una greppia (mangiatoia) un bue, un asino e di invitare tutta la popolazione di Greccio a radunarsi la sera del 24 dicembre. Da quel momento Greccio, come qualsiasi altro luogo dove viene realizzato il presepe, è diventato Betlemme.
“Il nostro obiettivo – ha spiegato Enrico Bressan, presidente di Fondaco Italia – è soprattutto la tutela del patrimonio artistico italiano. L’idea delle natività vaticane nasce dal restauro del santuario di Greccio, l’eremo francescano in provincia di Rieti dove, nel 1223, ottocento anni fa, San Francesco inventò il presepe.
Oltre ad ispirarci al santo di Assisi, al quale è dedicato questo progetto, ci siamo rifatti a quella straordinaria comunità di intenti e abbiamo coinvolto una serie di realtà imprenditoriali ed eccellenze artistiche per realizzare i due presepi vaticani”.
“Siamo lieti di tornare a Roma – ha dichiarato Riccardo Bisazza, presidente di Orsoni Venezia 1888 – dove abbiamo già collaborato a un importante restauro della Basilica di San Pietro, e di ritrovare il Santo Padre che, nel 2018, inaugurò a Bucarest la nuova Cattedrale della Salvezza del Popolo per la quale siamo impegnati a realizzare le tessere di mosaico che un team di 70 mosaicisti sta utilizzando per la decorazione dell’interno della cattedrale ortodossa più grande al mondo.
Il presepe di San Francesco in Sala Nervi accompagnerà le prossime festività e sarà visto in tutto il mondo durante le dirette dal Vaticano; siamo orgogliosi di aver contribuito al progetto di Fondaco Italia con i mosaici veneziani che testimoniano un’eccellenza Made in Italy unica al mondo.”
Il presepe di piazza San Pietro, pensando alla prima natività vivente, è stato progettato come un’istallazione artistica che prende la forma di una scenografia teatrale. La realizzazione è stata possibile grazie al contributo di partner privati ed affidata agli esperti artigiani di Cinecittà che hanno interpretato il disegno dell’artista presepista Francesco Artese, i personaggi sono stati realizzati dal maestro artigiano presepiale Antonio Cantone di Napoli, coordinati dai curatori Enrico Bressan e Giovanna Zabotti di Fondaco Italia.
La struttura, collocata sopra una base a forma ottagonale, come richiamo all’ottocentenario, prende spunto dalla roccia del Santuario di Greccio ed è concepita come una quinta che, in un perpetuo dialogo armonico, viene abbracciata idealmente dal colonnato di Piazza San Pietro.
Davanti ad essa, collocata a terra, una vasca in cui scorre, simbolicamente, il fiume Velino, ovvero le acque che, oggi come allora, dalla Valle Santa reatina giungono a Roma.
La scena vede al centro l’affresco della grotta di Greccio (opera del 1409 attribuita al Maestro di Narni di scuola giottesca) davanti al quale un frate officia la messa in presenza di San Francesco con in braccio il Bambinello, la Madonna e San Giuseppe in adorazione a lato della greppia, dietro a cui giacciono il bue e l’asinello.
Ad assistere alla rappresentazione tre frati, Giovanni Velita e la moglie Alticama, ovvero gli amici che hanno aiutato San Francesco a dare vita alla sua “opera prima”. I personaggi, in terracotta dipinta e di grandezza naturale, sono stati realizzati realizzati da Cantone e Costabile di Napoli, mentre l’illuminazione è stata affidata alla lighiting designer Margherita Suss.
La natività musiva dell’Aula Paolo VI, invece, è stata resa possibile grazie al contributo di Orsoni Venezia 1888, l’unica fornace a fuoco vivo a Venezia, che utilizza le stesse tecniche oltre un secolo per produrre mosaici in foglia d’oro 24 carati, ori colorati e smalti in più di 3.500 colori, dai rossi imperiali ai blu Madonna fino ad una gamma che conta più di 120 toni differenti per i colori degli incarnati.
Orsoni ha realizzato le tessere per il presepe in Sala Nervi: oltre 30.000 tessere per 4,5 mq di smalti di cui il 5% di tessere in foglia d’oro 24 carati, trasformate in opera sacra dal Maestro mosaicista Alessandro Serena. La scena raffigura una natività classica con San Francesco inginocchiato, in segno di totale devozione, in povertà e semplicità, mentre Chiara è orante accanto a lui.