La cattura di Matteo Messina Denaro rappresenta “un successo dello Stato, di tutto lo Stato”, a partire dai magistrati fino ai carabinieri e a tutti coloro che in questi lunghi anni hanno lavorato senza sosta per assicurare alla giustizia il boss imprendibile. La “soddisfazione” di Sergio Mattarella è piena e profonda: chi ha potuto parlarci ben comprende il groviglio di sentimenti che il presidente siciliano sta provando in queste ore.
Perchè il capo dello Stato una volta eletto si spoglia della sua provenienza geografica, del suo passato politico ed inizia un percorso di rigida osservanza delle regole che l’alto incarico impone. Ma chiedergli di annullare la propria storia personale, i propri affetti, i traumi familiari è forse chiedere troppo. Era il 6 gennaio 1980 quando venne ucciso proprio a Palermo Piersanti Mattarella, allora Presidente della Regione Sicilia. Accanto c’era la moglie Irma Chiazzese.
Uno dei primi ad accorrere fu il fratello minore Sergio. Per l’omicidio verranno condannati – come mandanti – i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci. Non c’è Matteo Messina Denaro e il killer non è mai stato identificato ma da allora si continua a parlare di un torbido incrocio tra mafia e terrorismo nero. Per anni le indagini hanno puntato anche sulla figura di Giusva Fioravanti. Ecco perchè per una volta può essere concesso all’arbitro delle nostre istituzioni una intima riflessione su uno degli eventi più traumatici della sua vita. Una commozione che il presidente, com’è nel suo stile, tiene riservata.
“E’ un successo dello Stato”, si limita ad osservare Mattarella nulla concedendo a quel di più che è la sua sicilianità, la sua memoria, quella sua Palermo che tutto nasconde, tanto bella quanto complessa, dove l’ultimo capo della mafia è stato catturato mentre si curava sotto falso nome in una delle cliniche più famose della città. C’è anche una sobria lode alle indagini che testimonia la fiducia del capo dello Stato nella magistratura e nelle forze dell’ordine. Quasi a voler ricordare che la cattura del boss non è frutto del caso ma il raccolto finale di un certosino lavoro di scrematura, di inchieste faticose, di ore e ore di appostamenti.
“Un successo di tutto lo Stato”, del quale nessuno si deve impadronire, rispetto al quale anche l’uomo Mattarella sceglie la strada del riserbo personale a quella più semplice dell’esaltazione. In effetti nessuno può ignorare che la testa dell’operazione sta nella procura di Palermo, che i magistrati sono i registi di questo successo. Da quasi otto anni Mattarella è il presidente della Repubblica e le storie familiari sono importanti ma non decisive, spiegano infatti al Quirinale con un “understatement” che certo non cancella il turbamento del capo dello Stato di fronte a una cattura che segna la fine di un’era. È stato il capo della mafia, latitante per trent’anni, è contento per l’Italia al di là della vicenda del fratello, osservano ancora al Quirinale.
Per questo non deve sembrare poco empatica l’unica nota ufficiale del Quirinale dove si informa che Mattarella ha subito telefonato al Ministro dell’Interno e al Comandante dell’Arma dei Carabinieri “per esprimere le sue congratulazioni per l’arresto di Matteo Messina Denaro, realizzato in stretto raccordo con la Magistratura”.