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Cronache

Cassazione: errore di ragionamento in assoluzioni Ruby ter

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C’è stato un “vizio”, un errore giuridico “che ha inficiato l’intero ragionamento” nella sentenza con cui il Tribunale di Milano nel febbraio 2023 ha assolto tutti gli imputati, tra cui Silvio Berlusconi, poi morto a giugno di quell’anno, Karima El Mahroug e altre giovani ex ospiti delle serate di Arcore, nel processo sul caso Ruby ter con al centro le accuse di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso ottobre, dopo il ricorso direttamente alla Suprema Corte dell’aggiunta Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio, ha annullato con rinvio quel verdetto, disponendo un processo d’appello per 22 imputati, ovvero le cosiddette ‘ex olgettine’ e l’ex legale di Ruby.

Le assoluzioni in primo grado erano arrivate per una questione giuridica in quanto le ragazze erano state sentite nei due processi milanesi sul caso Ruby, quasi tredici anni fa, come testi semplici, mentre avrebbero dovuto, secondo i giudici, essere già indagate per gli “indizi” che c’erano sui versamenti che avrebbero ricevuto dal Cavaliere ed essere ascoltate come testimoni assistite da legali. La Cassazione spiega, invece, che la corruzione in atti giudiziari, in sostanza, non poteva essere a loro già contestata in quel momento, perché non erano ancora pubblici ufficiali, qualifica che serve perché si configuri la corruzione.

E che lo sono diventate proprio solo quando sono state citate come testimoni, con la fase dell’ammissione delle liste testi nel novembre 2011. In 26 pagine di motivazioni molto tecniche i giudici della sesta penale (presidente Giorgio Fidelbo), oltre ad annullare senza rinvio le accuse di falsa testimonianza perché prescritte, dispongono il processo d’appello sulle altre imputazioni dando le “coordinate del ragionamento giuridico”. Spetterà, poi, scrivono, ai giudici di secondo grado di Milano ricostruire le “condotte” per “verificare la configurabilità dell’ipotizzata corruzione in atti giudiziari” o nel caso “l’originaria configurabilità di soli reati unilaterali di induzione, con esonero delle dichiaranti”, ossia dell’ex ospiti di villa San Martino, “da ogni tipo di responsabilità”.

In sostanza, i giudici nelle motivazioni mettono in luce lo stretto legame giuridico che c’è “tra la veste di testimone e il reato di corruzione in atti giudiziari” e spiegano che le ragazze non potevano essere indagate prima di assumere quella qualifica di testi, ossia di pubblici ufficiali, come ha sostenuto, invece, il Tribunale milanese. “Prima di tale momento il delitto di corruzione non è configurabile – si legge – cosicché non sono configurabili neppure indizi che possano assumere rilievo pregiudicante”.

Il Tribunale di Milano ha dato “rilievo” ad “elementi indiziari” che ci sarebbero stati prima che le giovani diventassero testi nel novembre 2011 e che erano, invece, per la Cassazione, “radicalmente inidonei” dal punto di vista giuridico a “corroborare qualsiasi ipotesi di reato”, proprio perché non erano ancora testimoni. Nella sentenza, poi, i giudici, dichiarandole prescritte, spiegano pure che non ci sono dubbi che da parte delle giovani nei processi sul caso Ruby ci siano state testimonianze false. E chiariscono anche che il nuovo processo per corruzione in atti giudiziari deve vedere imputato, così come chiedevano sempre i pm, anche l’ex avvocato di Karima, Luca Giuliante, che era chiamato a rispondere “di corruzione attiva, in concorso con Silvio Berlusconi, quale intermediario” con Ruby per i pagamenti. Per una posizione sola, quella di Luca Risso, l’ex compagno di Ruby e che era accusato di riciclaggio, il ricorso della Procura di Milano è stato dichiarato “inammissibile”.

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Castellucci: responsabile ma non colpevole per il Morandi

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Parla in aula per la prima volta Giovanni Castellucci dopo il crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018, 43 vittime). E lo fa, sette anni dopo la tragedia, per quasi cinque ore, con dichiarazioni spontanee, decidendo di non rispondere alle domande dei pubblici ministeri e dei giudici al processo. “Mi sento tuttora responsabile ma non colpevole. Dopo ho cercato di fare quello che potevo, ma questo è nulla di fronte all’enormità della tragedia. Non riesco ad accettare il fatto che questo ponte sia crollato”, le sue primissime parole. L’ex amministratore delegato ha ripercorso la sua esperienza nella società respingendo le accuse di essere un “padre padrone” o un “accentratore” o di avere agito per interessi economici. Una difesa auto assolutoria che ha fatto infuriare i parenti delle vittime, in aula in tanti oggi.

“Se volesse parlarci gli sputerei in faccia – le parole dure di Paola Vicini, la mamma di Mirko l’ultima vittima estratta dalle macerie dopo giorni -. Lui è andato a cena quella sera mentre io aspettavo il corpo di mio figlio e gli altri erano all’obitorio”. L’ex ad di Aspi ha anche ricordato di avere dato il suo bonus ai parenti delle vittime, lasciandolo ad Aspi, ma i parenti hanno denunciato di non avere mai visto nulla. Di fatto Castellucci ha poi scaricato i tecnici e il direttore generale di allora, Riccardo Mollo. “Il sollievo che ho è che penso di avere fatto sempre tutto quello che dovevo e potevo fare – ha spiegato alla fine delle cinque ore – sulla base di quello che sapevo per mettere i tecnici, che invece sapevano cosa facevano, nelle condizioni di operare al meglio”.

Poi ha parlato di Gianni Mion, ex ad della holding dei Benetton Edizione: “lo sentivo costantemente e mai che mi avesse sollevato un dubbio, nemmeno un sopracciglio”. Mentre Mollo, ex direttore generale che secondo l’accusa avrebbe detto a una riunione che i ‘controlli ce li autocertifichiamo’, forse “ha usato una espressione non opportuna”. L’ex top manager ha spiegato che “non è vero che tagliammo manutenzioni per aumentare dividendi. Per me è una accusa inaccettabile. Sul Morandi c’erano lavori e manutenzioni continue. In ogni caso io sono sempre stato indipendente nei confronti degli azionisti e ho sempre deciso in base a ciò che ritenevo giusto”. Il problema, la risposta fuori dall’aula di Egle Possetti, portavoce del Comitato parenti vittime del Morandi “è che loro avranno anche fatto manutenzioni, ma non hanno fatto quelle corrette”.

Castellucci ha respinto anche l’accusa di aver saputo dei rischi e di non avere fatto nulla. “Un’accusa che si basa sul fatto che in quella famosa riunione sul completamento dei lavori, l’ingegner Tozzi avrebbe dichiarato che lo stato di conservazione evidenzia problemi strutturali. E io non avrei dato nessuna urgenza per il progetto di retrofitting. Un comportamento del genere sarebbe stato non spiegabile anche a me stesso. Non è stato riportato il ‘non’. In realtà aveva detto che ‘non si evidenziavano problemi strutturali”. E ancora, “da quelle riunioni non ebbi nessun segnale di potenziale problematicità sugli stralli. Da nessuno è emerso qualche dubbio sulla sicurezza dell’opera”. Anche Giovanna Donato, altra parente delle vittime, non ha usato mezzi termini. “Provo rabbia, pena e sdegno, perché lui era responsabile, non può dire ‘non sapevo’ o ‘non me l’hanno detto’, si sta arrampicando sugli specchi, non è dignitoso, perciò mi fa pena”. Con Castellucci è finita di fatto l’istruttoria. Forse entro l’estate inizierà la requisitoria dei pm.

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Indagati in 4 per operaio morto trafitto da scheggia

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Per il momento si tratta soltanto di un atto dovuto a tutela delle garanzie difensive in vista degli esami autoptici sulla salma, che saranno effettuati martedì primo aprile. Poi si vedrà se con il prosieguo delle indagini saranno accertate eventuali responsabilità. Dunque, oggi la Procura della Repubblica di Pordenone ha iscritto nel registro degli indagati quattro persone, con l’accusa di omicidio colposo. La vicenda è quella dell’ incidente sul lavoro in cui ieri notte un giovane operaio, Daniel Tafa, ha perso la vita. Tafa, di 22 anni, è rimasto ucciso trafitto da una grossa scheggia incandescente mentre svolgeva il suo turno alla Stm, azienda specializzata in stampaggio a caldo, ricalcatura, stampaggio per estrusione.

Gli indagati sono il proprietario dell’ azienda, imprenditore torinese, il responsabile per la sicurezza e direttore dello stabilimento, di Maniago (Pordenone), il perito che ha verificato le attrezzature della fabbrica, un professionista di Concordia Sagittaria (Venezia), e il tecnico che ha certificato il corretto funzionamento della macchina che ha causato l’incidente, una professionista di Vicenza. La famiglia della vittima, per il tramite dell’avvocato che la assiste, Fabiano Filippin, ha invece nominato Antonello Cirnelli come perito di parte per l’autopsia e gli altri accertamenti medico-legali.

Ovviamente, soltanto dopo aver effettuato l’autopsia sarà possibile celebrare i funerali. Una decisione che dovrebbe prendere, stasera, il Comune di Vajont, dove era nato il giovane, nel corso di una già programmata seduta del Consiglio comunale. Sarà indicata anche la proclamazione del lutto cittadino, forse nello stesso giorno delle esequie di Tafa, che lascia i genitori e due fratelli di 17 e 12 anni. Oggi, intanto, sulla tragedia è intervenuta la vicepresidente del Senato Mariolina Castellone sui suoi social ricordando che Daniel aveva appena compiuto i 22 anni e, festeggiato il compleanno, era subito dopo andato al lavoro, nella stessa azienda dove lavorava il padre con il quale, sembrerebbe, si sarebbe scambiato il turno.

Castellone, ricordando anche le altre due vittime sul lavoro morte ieri, Nicola Sicignano, 50 anni, e Umberto Rosito, 38 anni, ha chiesto l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro e l’introduzione della procura nazionale del lavoro. Lo scorso anno i morti sul lavoro sono stati 1090; quest’anno il bilancio è ancora più drammatico: solo a gennaio erano già 60 i morti sul lavoro e ad oggi siamo a +33% rispetto allo scorso anno. “Una vera e propria strage, una piaga sociale alla quale porre rimedio subito”, commenta Castellone. Anche perché spesso si tratta di morti che potrebbero essere evitate con “controlli più efficaci, più attenzione alla sicurezza e punendo chi sacrifica la sicurezza per il profitto”.

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Confermata multa Ue da 65 milioni a Unicredit

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Il Tribunale dell’Ue ha confermato le multe inflitte nel 2021 dalla Commissione europea a tre delle sette banche responsabili, secondo Bruxelles, di essersi scambiate tra il gennaio 2007 e novembre 2011 informazioni su operazioni sui titoli di stato europei, traendo vantaggi sulle emissioni, i collocamenti o le negoziazioni. Tra queste figurava anche Unicredit, alla quale i giudici a Lussemburgo hanno confermato la multa limando l’importo da 69,4 a 65 milioni di euro. “Preso atto” della sentenza, l’istituto italiano ha fatto sapere di valutare un ricorso alla Corte di Giustizia dell’Ue: “UniCredit non è d’accordo con le conclusioni del Tribunale in merito alla partecipazione di UniCredit alla violazione”, ha affermato un portavoce.

Il Tribunale Ue ha confermato anche la multa a Nomura (limata 129,5 a 125,6 milioni) e a Ubs (invariata a 172,3 milioni). Già nel 2021 tra le sette banche coinvolte NatWest era stata ‘graziata’ da Palazzo Berlaymont secondo le consuete regole antitrust Ue, visto che aveva rivelato gli accordi. Per Natixis e Bank of America si era prescritta la possibilità della Commissione di comminare la multa, mentre Portigon era stata anch’essa ‘graziata’ per le modalità di calcolo dell’importo della sanzione (era in negativo nell’esercizio valutato per il conteggio). Tutte e sei le banche, NatWest esclusa, avevano poi fatto ricorso alla decisione della Commissione. Il Tribunale ha sostanzialmente confermato le sanzioni segnalando nel caso di Nomura che la Commissione è incorsa in un errore nel determinare di uno degli elementi dell’ammenda.

Per Unicredit ha invece rilevato che il comportamento anticoncorrenziale è iniziato 17 giorni più tardi rispetto alla data indicata dalla Commissione. I giudici hanno però confermato che si è trattato di “un’infrazione unica e continuata e che gli scambi di informazioni commercialmente sensibili, le pratiche di fissazione dei prezzi e di ripartizione della clientela sul mercato tanto primario quanto secondario dei titoli di stato europei presentano un grado particolarmente elevato di dannosità per la concorrenza”.

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