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Cronache

Caso Giulia Tramontano, ergastolo confermato a Impagnatiello ma senza premeditazione

La Corte d’Assise d’Appello di Milano conferma l’ergastolo per Alessandro Impagnatiello per l’omicidio di Giulia Tramontano

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La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato la condanna all’ergastolo per Alessandro Impagnatiello (foto Imagoeconomica), l’ex barman che il 27 maggio 2023 uccise con 37 coltellate la fidanzata incinta di sette mesi, Giulia Tramontano, a Senago. La sentenza, depositata con largo anticipo rispetto alle scadenze, esclude però l’aggravante della premeditazione.

Le motivazioni dei giudici

Nelle 59 pagine di motivazioni i giudici spiegano che non ci sono prove di un “proposito criminoso coltivato nel tempo”. L’avvelenamento con topicida somministrato nei mesi precedenti, secondo la Corte, aveva come obiettivo quello di causare un aborto e non di uccidere la compagna. L’omicidio, invece, maturò poche ore prima del delitto, quando Impagnatiello capì di essere stato smascherato dalle due donne con cui aveva relazioni parallele.

Crudeltà e convivenza restano aggravanti

Confermate invece le aggravanti della crudeltà – undici coltellate inflitte quando Giulia era ancora viva – e del vincolo di convivenza. I giudici sottolineano che Impagnatiello uccise non perché la compagna volesse lasciarlo o per il figlio che aspettava, ma per l’“intollerabile umiliazione” di essere sbugiardato pubblicamente davanti a chi rappresentava, per lui, la sua immagine sociale.

Le reazioni dei familiari e le possibili mosse processuali

La decisione ha suscitato dure reazioni da parte della famiglia della vittima. La sorella Chiara aveva parlato di “vergogna” e “disgusto” per l’esclusione della premeditazione, ricordando le ricerche online e i tentativi di avvelenamento. Ora la Procura generale valuta un ricorso in Cassazione per contestare nuovamente la premeditazione, mentre la difesa potrebbe insistere per ottenere la cancellazione anche dell’aggravante della crudeltà e il riconoscimento di attenuanti.

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Cronache

Caso “La cattura di San Pietro”: cadono due accuse per Sgarbi, resta il processo per riciclaggio

Cadono autoriciclaggio e contraffazione, ma Sgarbi andrà a processo per riciclaggio nel caso della tela del ’600 “La cattura di San Pietro”. Al centro, il presunto trafugamento e la comparsa in mostra dell’opera modificata.

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Cadono due accuse, resta in piedi la terza. È il primo snodo giudiziario nel caso della pregiata tela del ’600 La cattura di San Pietro, che vede imputato Vittorio Sgarbi. Il gup di Reggio Emilia ha escluso il processo per autoriciclaggio e contraffazione di beni culturali, ma ha disposto il rinvio a giudizio per riciclaggio.

La ricostruzione dell’accusa

Secondo l’impianto accusatorio, il dipinto sarebbe stato trafugato nel 2013 dal castello dell’anziana nobildonna Margherita Buzio. L’opera — attribuita a Rutilio Manetti — sarebbe stata poi modificata: una torcia, inserita da un restauratore che avrebbe ricevuto incarico da Sgarbi, avrebbe alterato l’aspetto originario del quadro.

A far arrivare il fascicolo a Reggio Emilia è stata la confessione del pittore Lino Frongia, che ha ammesso di aver aggiunto la fiammella sul dipinto. L’opera sarebbe ricomparsa nel 2021, in una riproduzione 3D esposta nella mostra I pittori della luce a Lucca, curata dallo stesso Sgarbi.

Le zone d’ombra sulle indagini

Il furto, segnalato anche all’Interpol, era stato denunciato nel 2013 ma il reato è prescritto. Nella denuncia compariva già il nome di Sgarbi e quello del suo collaboratore Paolo Bocedi, che secondo i carabinieri avrebbe consegnato la tela — arrotolata e danneggiata — a un restauratore. La replica in 3D sarebbe servita, secondo gli investigatori, a mascherare gli interventi effettuati sull’originale.

La difesa di Sgarbi

Sgarbi sostiene che i quadri siano due e non lo stesso, spiegando di aver trovato l’opera in suo possesso in un castello abbandonato acquistato nel Viterbese. Secondo la difesa, le misure delle due tele non corrisponderebbero e gli archivi personali del critico lo dimostrerebbero.

Gli avvocati Alfonso Furgiuele e Giampaolo Cicconi osservano: «I due reati archiviati sono quelli su cui abbiamo svolto attività difensiva. Per l’imputazione residua ci riserviamo di presentare una memoria».

Il processo proseguirà dunque solo sul fronte del riciclaggio, con una vicenda giudiziaria che resta intricata e ancora lontana dalla conclusione.

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Cronache

Mela annurca, addio a Giugliano: la culla dell’“oro rosso” si svuota mentre la produzione vola nell’alto casertano

La mela annurca non è più a Giugliano: aziende delocalizzate nell’alto casertano, produzione in crescita ma prezzi in calo. Tra nuovi giovani agricoltori e difesa dei territori, l’antica patria dell’annurca perde il suo primato.

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Qualcuno la chiamava l’oro rosso della terra. Ma a Giugliano, che per decenni è stata la patria della mela annurca, oggi restano solo scampoli di coltivazioni: piccoli appezzamenti a Varcaturo, la masseria Casolla a Villaricca, poco altro. Il rosso simbolo della Campania si è spostato altrove.

La produzione si sposta nell’alto casertano

«La produzione ormai non si trova più a Giugliano», spiega Valentina Stinga, presidente Coldiretti Napoli. I produttori resistono, ma i melai si sono spostati. Oggi l’annurca si coltiva a Vairano, Francolise, Presenzano, Teano.

Negli anni Ottanta e Novanta la speculazione edilizia divorò le terre agricole giuglianesi. Molti agricoltori vendettero tutto per trasferirsi nell’alto casertano, dove oggi si concentra la filiera.

Un mercato ancora florido nonostante gli spostamenti

«L’area nord di Napoli non è più la culla dell’annurca», conferma Giuseppe Giaccio, presidente del Consorzio campano. Ma il settore resta fortissimo:

  • 3.000 ettari coltivati in Campania,

  • 600 ettari solo tra i consorziati,

  • 130 soci,

  • un indotto da 100 milioni di euro,

  • distribuzione nei mercati di Milano, Torino, Bergamo, Firenze.

Quest’anno l’offerta è aumentata del 20-30% con un prodotto di qualità altissima, ma i prezzi sono in calo per l’eccesso di produzione.

I giovani che tornano alla terra

La forza dell’annurca attrae anche nuove generazioni. Come Gerardo Rusciano, 26 anni, originario di Chiaiano:

  • laurea in Agraria,

  • trenta ettari a Teano,

  • quattro dipendenti fissi, cinque familiari al lavoro,

  • picchi di 15 operai in fase di raccolta.

Durante il Covid ha creato uno dei primi servizi di delivery: dal 2020 oltre 28mila consegne tra Napoli, provincia e Caserta.

Chi resiste a Giugliano

Qualcuno però non ha lasciato la terra d’origine. Castrese Galluccio difende il suo meleto di sette ettari a Varcaturo, affacciato sui Campi Flegrei.

«La vera mela annurca si fa qui», dice, rivendicando le caratteristiche uniche dei terreni flegrei. Negli anni ’30 e ’40 la sua era la mela più commercializzata del Mediterraneo, poi soppiantata da varietà americane e giapponesi.

Oggi, per competere, Galluccio non punta sul frutto fresco ma sui principi attivi: la sua produzione è quasi tutta assorbita dalla multinazionale New Nordic, che usa l’annurca per creare pillole e caramelle utili a ridurre colesterolo, migliorare il microbiota e favorire la ricrescita dei capelli nelle donne in menopausa.

L’annurca come simbolo della salute dei territori

La mela annurca è da sempre un termometro del territorio. Lo ricorda anche il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna:
«Fuori gli inquinatori della nostra terra come fece Gesù con i mercanti nel tempio. Difendiamo i nostri prodotti».

Parole che risuonano come un monito: a Giugliano, antica patria dell’annurca, i mercanti hanno vinto. Oggi quell’oro rosso vive altrove, mentre la sua culla originaria ne conserva solo l’ombra.

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Cronache

Addio a Francesco Greco, magistrato rigoroso e sereno: una vita al servizio della giustizia

È morto Francesco Greco, magistrato simbolo di rigore ed equilibrio. Dalle prime indagini sui casalesi alla Procura di Napoli Nord, una carriera dedicata alla giustizia e al contrasto ai reati ambientali.

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Sereno, preparato, equilibrato e determinato. Così amici e colleghi descrivono Francesco Greco (foto Imagoeconomica), morto a 74 anni dopo una malattia. Una figura che ha rappresentato per decenni un presidio indiscutibile della giurisdizione, sempre con autorevolezza e rispetto delle regole.

L’emozione ai funerali al Duomo

I funerali si sono tenuti al Duomo, celebrati dal cardinale Mimmo Battaglia, che ha ricordato lo spessore umano ed etico del magistrato. Presenti colleghi, avvocati e tanti cittadini che negli anni avevano incrociato il suo lavoro. Il capo della Procura nazionale antimafia, Gianni Melillo, è apparso profondamente commosso. A ripercorrerne la figura professionale è stato Carlo Visconti.

Dalle prime indagini ai casalesi al contrasto alla camorra

Greco aveva indossato la toga giovanissimo a Castel Capuano, vera “palestra giuridica” degli anni Settanta e Ottanta. Da lì seguì le prime indagini sui casalesi, insieme a chi condusse il processo Spartacus. Poi si occupò di camorra e malaffare in Campania con un impegno costante e rigoroso.

I ruoli e le sfide

Era stato aggiunto a Nola, capo del pool anticamorra a Napoli, e poi procuratore vicario e reggente della Procura partenopea dopo il pensionamento di Giovandomenico Lepore.
La sfida più significativa fu la guida della nascente Procura di Napoli Nord: Greco ne fu il primo procuratore. Qui approfondì uno dei temi a lui più cari, il contrasto ai crimini ambientali e all’emergenza della terra dei fuochi, lavorando con strumenti giuridici e prevenzione. Da Napoli Nord seguì anche il caso degli abusi sui minori a Caivano dopo la vicenda della piccola Fortuna.

Un uomo rigoroso, ma sempre pronto al dialogo

Colleghi e avvocati lo ricordano come un magistrato serio e giusto, mai arrogante, sempre disponibile al confronto. Il pm Ettore La Ragione lo descrive come «un esempio per molti pubblici ministeri». Rigoroso nella gestione delle inchieste, sapeva dialogare con le controparti senza rinunciare alla fermezza.

Il profilo etico e umano

Austero anche quando era impegnato in indagini di grande impatto mediatico — dai filoni sulle aziende partecipate dello Stato ai casi che sfioravano la politica nazionale — Greco ha sempre mantenuto uno stile sobrio e rispettoso della funzione pubblica.

In pensione si era dedicato al volontariato, alla cultura e ai temi ambientali, continuando a dare contributo civile al territorio.

Francesco Greco lascia la moglie, i due figli, i nipoti e un vuoto profondo in chi ha avuto modo di conoscerlo come uomo e magistrato.

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