La Procura di Milano vuole far luce sui 5 milioni e 300 mila euro depositati su un conto Ubs a Lugano, prima gestiti attraverso due trust alle Bahamas, del presidente della Lombardia Attilio Fontana e capire se davvero l’intera somma, scudata nel 2015, sia la generosa eredita’ lasciata dalla madre. Con una rogatoria in Svizzera, trasmessa oggi, prende il via cosi’ un nuovo filone d’indagine nato da quello con al centro il cosiddetto caso ‘camici’ e nel quale il governatore, gia’ indagato per frode in pubbliche forniture, risulta iscritto anche per false dichiarazioni nella voluntary disclosure e autoriciclaggio, reati contestati dai pm Luigi Furno, Carlo Scalas e Paolo Filippini e dall’aggiunto Maurizio Romanelli. Il sospetto e’ che parte di quella cifra sia frutto di un’evasione fiscale, anche con rimesse portate in Svizzera in contanti, ma che risulterebbe prescritta. Sotto osservazione di inquirenti e investigatori, in particolare, ci sarebbe il 2005, anno in cui, in base agli accertamenti finora svolti e dei quali il Nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf da’ conto in un’informativa, il patrimonio su quel conto oltreconfine e’ passato da 2,5 a 4,3 milioni di euro. Un incremento al momento ritenuto anomalo, ma che per la difesa sarebbe effetto di un errore contabile. Gli inquirenti, pero’, vogliono far chiarezza e hanno ipotizzato i due nuovi reati per la richiesta di assistenza giudiziaria all’autorita’ elvetica, che si e’ resa necessaria in quanto ci sarebbero, in sostanza, flussi non chiari e mancherebbero alcuni documenti per avere tutte le spiegazioni possibili su alcune movimentazioni. Il falso nella voluntary verte, stando all’ipotesi, nella dichiarazione sull’origine dei soldi e l’autoriciclaggio, invece, sul reimpiego dal 2015 in poi delle somme che si sospettano frutto di evasione. Fontana, che non vuole assolutamente “lasciare ombra alcuna in ordine alla procedura della Voluntary”, rivendicando la regolarita’ dello scudo fiscale su quella che a suo dire e’ veramente un’eredita’, si e’ messo a disposizione della magistratura milanese ed e’ pronto a fornire i documenti che mancherebbero e eventualmente a presentarsi di persona al quarto piano del Palazzo di Giustizia. Ed e’ proprio di questo che i suoi legali, gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, stamane hanno parlato con il procuratore Francesco Greco in un incontro nel quale, peraltro, hanno concordato un comunicato stampa ‘congiunto’, vista la delicatezza del caso che arriva in un momento difficile per la Regione Lombardia a causa dell’emergenza Covid e del piano vaccinale. L’inchiesta, da cui e’ generata la nuova tranche svizzera, riguarda l’affidamento diretto, senza gara, del 16 aprile 2020 di una fornitura di 75 mila camici e altri dpi, per far fronte alla prima ondata di Coronavirus, per oltre mezzo milione di euro a Dama spa, societa’ di Andrea Dini, cognato del governatore, e di cui Roberta Dini, moglie di Fontana, detiene una quota. Indagati anche Andrea Dini e l’ex dg di Aria, centrale acquisti regionale, Filippo Bongiovanni (per frode in pubbliche forniture e un’ipotesi di turbativa) e una dirigente di Aria. Secondo i pm, per cercare di risarcire il cognato per i mancati introiti, dopo che, a maggio, venne a galla il conflitto di interessi e la compravendita fu trasformata in donazione, Fontana cerco’ di bonificargli 250mila euro provenienti dal suo conto a Lugano. Un’operazione finita, pero’, nel mirino dell’antiriciclaggio della Banca d’Italia come sospetta e poi segnalata alla Gdf e alla Procura milanese. Da qui gli accertamenti nella seconda e parallela tranche d’indagine, anche attraverso l’Agenzia delle Entrate, e oggi l’avvio della rogatoria.