No, non è preveggenza. È realtà. Comunque andranno le cose giovedì sera al Forum di Assago, qualsiasi cosa diranno i giudici e qualunque numero digiteranno i telespettatori su app e telecomandi, il vincitore sei tu. Il successo e la sconfitta dispensati dal caso o dalle scelte altrui sono due impostori che vanno trattati allo stesso modo, con la stessa indifferenza. L’ha scritto Kipling e ha capito tutto. La sola vittoria che conti è interiore. Tu lo sai e ce l’hai dentro.
Hai la vittoria dentro perché sei un artista geniale e un ragazzo di 21 anni come tanti. Perché scrivi come un poeta e canti come un guerriero. Perché conosci la rabbia ma anche la speranza. Perché non hai bisogno di trucchi e parrucchi per mostrare il tuo carisma sul palco. Ti bastano un paio di jeans e una maglietta bianca, i capelli corti e la tua faccia intelligente da “guagliò” dove si legge tutta la fierezza aspra dei timidi.
E, soprattutto, hai la vittoria dentro perché sei figlio della tua terra e cittadino del mondo. Se non fossi nato a Meta di Sorrento, con il golfo di Napoli negli occhi e nel sangue, probabilmente non saresti chi sei e non avresti vinto X Factor 12.
Napoli è come l’oro. Quando lo si trova in natura, nascosto dentro una roccia o sul fondo di un fiume, l’oro è opaco e scuro. Solo se lo si mette in un crogiolo bollente diventa brillante come una stella perché il fuoco lo purifica, separandolo dalle sue scorie e lasciandone solo l’essenza. La terra dove sei nato può apparire scura come la povertà, la fatica, la malavita, la disoccupazione, i rifiuti tossici e le tirannie della storia. Ma sa sempre accendere il fuoco e ritrovare la sua invincibile essenza, fatta di antica civiltà, d’arte, di mare, di luce, di rivolta, d’ironia e, naturalmente, di canzoni.
Tu le somigli. Conosci «il fango dei campetti provinciali, gli stadi semivuoti calcati da criminali». Ma canti anche che «le rivoluzioni non le fa la bellezza, ma c’ho una certezza: un giorno ne avranno bisogno».
Detesti «il freddo che avanza, l’anima sintetica, l’estetica dell’ansia». Ma vorresti «cambiare il mondo domani», magari grazie a «un impianto con i bassi pazzeschi e una folla che salta all’unisono fino a spaccare i marmi, fino a crepare gli affreschi…».
Che non sono certo quelli simbolici di Michelangelo, ma piuttosto quelli della convenzionalità, del quieto vivere, del potere ottuso, delle mode asfissianti e delle «facce spente». Da come scrivi e come canti, si intuisce che hai addosso le ferite di una tua personale guerra, chissà quale, fatta di «filo spinato» e di «aria tossica», che ti riempiva i polmoni quando «cadeva una bomba» e tu aspettavi «la prossima, la prossima e la prossima»… Eppure, mentre «la radiolina gracchiava in un giorno d’aprile», tu avevi già trovato il coraggio di gettare il fucile.
Il fuoco del tuo crogiolo napoletano risveglia le fiamme di chi ti ascolta anche se è nato a Varese, Aosta o Bolzano. Succede agli artisti veri, che sono sempre universali. Quanti si sono sentiti «a dreamer» e sperato di non essere «the only one»? Quanti sono stati in Via del Campo e hanno capito che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori»? Quanti hanno cercato «un tempo sognato che bisognava sognare»? E ora, siine certo, la tua «folla danzante di vandali» si sta ingrandendo ogni giorno che passa. Sono in molti a ritrovarsi, nel tuo inno alla libertà.
Ah, un’ultima cosa, anzi due. Prima di tutto, anche se hai già vinto ti voteremo lo stesso, con tutti i telecomandi e le app che avremo a disposizione. Vuoi vedere che per una volta la vittoria bugiarda e la vittoria sincera riusciranno a essere la stessa cosa?
E infine non preoccuparti di non aver mai visto il Napoli di Maradona. Quel giorno piovoso del novembre 1985 in cui il Pibe de Oro sfidò al San Paolo le leggi della fisica e, colpendo piano il pallone di interno sinistro, riuscì a travalicare l’allibita barriera juventina schierata a quattro metri dalla porta e fece gol, non eri nato ma c’eri anche tu. Perché sei di quelli che non amano chi vince facile.