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Caro Marco Anastasio, complimenti! X Factor 12 l’hai già vinto tu…

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No, non è preveggenza. È realtà. Comunque andranno le cose giovedì sera al Forum di Assago, qualsiasi cosa diranno i giudici e qualunque numero digiteranno i telespettatori su app e telecomandi, il vincitore sei tu. Il successo e la sconfitta dispensati dal caso o dalle scelte altrui sono due impostori che vanno trattati allo stesso modo, con la stessa indifferenza. L’ha scritto Kipling e ha capito tutto. La sola vittoria che conti è interiore. Tu lo sai e ce l’hai dentro.

Hai la vittoria dentro perché sei un artista geniale e un ragazzo di 21 anni come tanti. Perché scrivi come un poeta e canti come un guerriero. Perché conosci la rabbia ma anche la speranza. Perché non hai bisogno di trucchi e parrucchi per mostrare il tuo carisma sul palco. Ti bastano un paio di jeans e una maglietta bianca, i capelli corti e la tua faccia intelligente da “guagliò” dove si legge tutta la fierezza aspra dei timidi.

E, soprattutto, hai la vittoria dentro perché sei figlio della tua terra e cittadino del mondo. Se non fossi nato a Meta di Sorrento, con il golfo di Napoli negli occhi e nel sangue, probabilmente non saresti chi sei e non avresti vinto X Factor 12.

Napoli è come l’oro. Quando lo si trova in natura, nascosto dentro una roccia o sul fondo di un fiume, l’oro è opaco e scuro. Solo se lo si mette in un crogiolo bollente diventa brillante come una stella perché il fuoco lo purifica, separandolo dalle sue scorie e lasciandone solo l’essenza. La terra dove sei nato può apparire scura come la povertà, la fatica, la malavita, la disoccupazione, i rifiuti tossici e le tirannie della storia. Ma sa sempre accendere il fuoco e ritrovare la sua invincibile essenza, fatta di antica civiltà, d’arte, di mare, di luce, di rivolta, d’ironia e, naturalmente, di canzoni.

Tu le somigli. Conosci «il fango dei campetti provinciali, gli stadi semivuoti calcati da criminali». Ma canti anche che «le rivoluzioni non le fa la bellezza, ma c’ho una certezza: un giorno ne avranno bisogno».

Detesti «il freddo che avanza, l’anima sintetica, l’estetica dell’ansia». Ma vorresti «cambiare il mondo domani», magari grazie a «un impianto con i bassi pazzeschi e una folla che salta all’unisono fino a spaccare i marmi, fino a crepare gli affreschi…».

Che non sono certo quelli simbolici di Michelangelo, ma piuttosto quelli della convenzionalità, del quieto vivere, del potere ottuso, delle mode asfissianti e delle «facce spente». Da come scrivi e come canti, si intuisce che hai addosso le ferite di una tua personale guerra, chissà quale, fatta di «filo spinato» e di «aria tossica», che ti riempiva i polmoni quando «cadeva una bomba» e tu aspettavi «la prossima, la prossima e la prossima»… Eppure, mentre «la radiolina gracchiava in un giorno d’aprile», tu avevi già trovato il coraggio di gettare il fucile.

Il fuoco del tuo crogiolo napoletano risveglia le fiamme di chi ti ascolta anche se è nato a Varese, Aosta o Bolzano. Succede agli artisti veri, che sono sempre universali. Quanti si sono sentiti «a dreamer» e sperato di non essere «the only one»? Quanti sono stati in Via del Campo e hanno capito che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori»? Quanti hanno cercato «un tempo sognato che bisognava sognare»? E ora, siine certo, la tua «folla danzante di vandali» si sta ingrandendo ogni giorno che passa. Sono in molti a ritrovarsi, nel tuo inno alla libertà.

Ah, un’ultima cosa, anzi due. Prima di tutto, anche se hai già vinto ti voteremo lo stesso, con tutti i telecomandi e le app che avremo a disposizione. Vuoi vedere che per una volta la vittoria bugiarda e la vittoria sincera riusciranno a essere la stessa cosa?

E infine non preoccuparti di non aver mai visto il Napoli di Maradona. Quel giorno piovoso del novembre 1985 in cui il Pibe de Oro sfidò al San Paolo le leggi della fisica e, colpendo piano il pallone di interno sinistro, riuscì a travalicare l’allibita barriera juventina schierata a quattro metri dalla porta e fece gol, non eri nato ma c’eri anche tu. Perché sei di quelli che non amano chi vince facile.

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Esteri

Morte di Maradona: rinviato a marzo processo contro i sanitari

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Il processo contro gli operatori sanitari per la morte di Diego Armando Maradona, avvenuta nel 2020, è stato rinviato all’11 marzo. Lo hanno annunciato i tribunali. Si tratta di un nuovo rinvio – la prima udienza era previsto il prossimo ottobre – contro i sanitari accusati di ‘potenziale negligenza’ che avrebbe portato al decesso del fuoriclasse argentino. Il tribunale di San Isidro (a nord di Buenos Aires) “ha accolto la richiesta di rinvio dell’udienza” chiesta dai difensori di tre degli otto imputati, aggiornando il processo all’11 marzo 2025 alle 9:30. Inizialmente previsto per giugno, il processo era già stato posticipato una volta, al 1° ottobre.

Una delle accusate, l’infermiera Gisela Madrid – che fin dall’inizio aveva affermato di aver seguito solo le indicazioni dei medici – aveva chiesto di essere giudicata separatamente e da una giuria popolare. Maradona, icona argentina e leggenda del calcio mondiale, è morto all’età di 60 anni per una crisi cardio-respiratoria il 25 novembre 2020, solo, su un letto medico in una residenza a Tigre, dove era convalescente dopo un intervento neurochirurgico per un ematoma alla testa. Per due volte, nel 2022 e poi in appello nel marzo 2023, i tribunali hanno confermato l’avvio di un processo per l’équipe medica che aveva in cura Maradona. Sono tutti accusati di ‘potenziale negligenza ‘. Tra gli otto professionisti indagati figurano il medico curante (neurochirurgo), un medico clinico, uno psichiatra, uno psicologo, una caposala e infermieri. Il reato di cui sono accusati è punibile con una pena da 8 a 25 anni di carcere.

(Nella foto Maradona con. Leopoldo Luque, medico di Diego)

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Esteri

Ue boicotta Orban, Ecofin a Budapest senza commissari

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Riunioni senza commissari europei e con una manciata di ministri: arriva all’Ecofin il boicottaggio Ue della presidenza di turno ungherese dell’Ue. Dopo la visita plateale del primo ministro Viktor Orban al presidente russo Vladimir Putin a poche ore dall’avvio della guida a rotazione dell’Unione da parte dell’Ungheria l’ordine della presidente Ursula von der Leyen era stato perentorio: nessun commissario sarebbe andato alle riunioni informali organizzate da Budapest per il semestre Ue. Prima di questo altri consigli informali sono stati disertati e quelli di Esteri e Difesa si son tenuti a Bruxelles e non più nella capitale ungherese grazie a un escamotage, ovvero la convocazione ‘ad hoc’ fatta dall’Alto rappresentante Josep Borrell.

Più recentemente alla riunione dei ministri dell’ Agricoltura di Budapest le assenze non sono mancate. E ora arriva il momento dei ministri dell’Economia: alla riunione informale nella capitale ungherese domani e sabato non ci saranno né il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis e né il commissario all’Economia Paolo Gentiloni. Il ministro italiano Giancarlo Giorgetti invece ci sarà. Ma l’Italia ha la presidenza di turno del G7 e ci sarà un aggiornamento sui lavori per arrivare all’uso degli extraprofitti degli asset russi immobilizzati nell’agenda dell’Eurogruppo, il coordinamento dei ministri dell’Economia dell’Eurozona (forum indipendente dal Consiglio Ue e dalla presidenza ungherese).

Ad un certo punto era persino parso che l’Eurogruppo potesse saltare o venir convocato a Bruxelles, sempre per opportunità politica. Ma la prassi è sempre stata quella di riunirlo a ridosso dell’Ecofin, per evitare raddoppi agli spostamenti dei ministri, e così sarà anche questa volta. Il coordinamento ha bisogno di riunioni periodiche, a prescindere dalle presidenze di turno presenti e future, è stato il ragionamento, e così si andrà avanti su questa linea. Saranno comunque molti i ministri europei assenti, magari per impegni concomitanti spesso legati all’approvazione dei bilanci nazionali e non esplicitamente per ‘boicottare’ Orban. Fatto sta che i ministri di Olanda, Spagna e Germania non ci saranno. Mentre quelli di Francia e Belgio hanno la giustificazione di essere dimissionari. A livello di Eurogruppo l’attesa è comunque che i ministri presenti saranno solo otto su 20. Nella riunione dell’Ecofin i ministri presenti dovrebbero essere dieci, Ungheria inclusa.

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Cronache

Silenzi e lacrime per l’addio a Fabio, Daniela e Lorenzo

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Silenzio, lacrime, palloncini colorati e una lunga e dolorosa riflessione con in sottofondo la musica di Ennio Morricone, hanno accompagnato l’ultimo saluto a mamma Daniela, papà Fabio e al giovanissimo Lorenzo, uccisi il 2 settembre scorso nella loro abitazione di Paderno Dugnano (Milano), dal figlio maggiore della coppia, in carcere a 17 anni per una strage familiare per la quale non ha ancora saputo dare una motivazione. Nella chiesa di Santa Maria Nascente migliaia di persone sono accorse per la celebrazione dei funerali, officiati dall’arcivescovo di Milano, Monsignor Mario Delpini che nella sua omelia ha immaginato un dialogo con Dio, profondo e doloroso, nel quale un fratello perdona, una madre ama incondizionatamente e un padre non si difende perché protegge. Familiari, i nonni e gli zii che vivono proprio accanto alla villetta della tragedia, amici e compagni di scuola di Lorenzo, 12 anni, si sono stretti l’uno all’altro fino alla fine della funzione, quando decine di palloncini azzurri con scritto “ciao Lorenzo” sono stati liberati in cielo tra applausi e singhiozzi. “Immagino che accogliendo Lorenzo il Signore Dio gli abbia detto ‘perché sei qui, così giovane? Che cosa sono queste ferite? – ha detto monsignor Delpini, aprendo la sua omelia – immagino che Lorenzo abbia risposto ‘sono qui a causa di mio fratello, il mio fratello intelligente, è stato lui che ha interrotto il mio incubo notturno, mentre avevo l’impressione di essere inseguito da un mostro”. L’arcivescovo ha poi parlato del significato della sua vita: “è stata l’ inizio di un sogno.

Forse qualcuno dirà che è stata un niente, ma invece io voglio essere un inno alla vita, io voglio vivere – ha immaginato Delpini – mio fratello mi ha impedito di diventare grande e inseguire sogni, io voglio stargli vicino sempre, consolare le sue lacrime, calmare i suoi spaventi, voglio sperare con lui e per lui”. Alla stessa domanda, ha proseguito l’arcivescovo immaginando mamma Daniela, 49 anni, la risposta sarebbe stata: “è stato il mio primogenito, il figlio di cui sono orgogliosa, è stato lui a ferirmi con l’orrore del sangue di Lorenzo e con il colpo che ha posto fine allo spavento e all’orrore. Posso dire di quell’enigma impenetrabile che diventano talvolta le persone che amiamo – ha continuato – la mamma abita il mistero ed è solo capace di amare”. Rispetto a papà Fabio, 51 anni, che non si è difeso, nella sua omelia l’arcivescovo lo ha immaginato dire: “non ho potuto, non ho voluto difendermi, pur essendo forte non ho usato la forza, lo spettacolo era troppo assurdo, troppo sbagliato, troppo insanguinato. Il mio figlio grande, quasi un uomo ormai, forse mi ha sentito come un peso, come un fastidio – ha aggiunto – il papà è uomo di parola, forse lui non ha trovato il modo per esprimerle, voglio restargli vicino”. Nella ricerca di un perché, nel voler dare una risposta a quel dolore, manifestare vicinanza anche a chi ha ferito a morte, nonni e zii hanno voluto “riunire” la famiglia per un’ultima volta, scegliendo personalmente la colonna sonora della funzione, che racconta la storia di una coppia e due figli che, fino a dieci giorni fa, abitavano un giardino di fiori, apparentemente “perfetto”.

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