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Corona Virus

Caritas, con il Covid aumentano i nuovi poveri

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 In Italia sono in continuo aumento i nuovi poveri. Quelli che a causa della pandemia sono stati costretti a bussare per la prima volta alle porte delle Caritas diocesane per chiedere aiuto. In sette mesi hanno raggiunto il 24,4% pari a 132.717 persone e la maggioranza (il 60,4%) sono italiani, equamente divisi tra uomini e donne. Complessivamente, dal maggio 2020 ad oggi, in oltre un anno di pandemia, si sono rivolti alle Caritas 453.731 nuovi poveri. E’ il quadro delineato dal IV monitoraggio della Caritas sull’emergenza pandemia e sulle risposte attivate nel territorio al quale hanno partecipato 190 Caritas diocesane, pari all’87,1% del totale, per indagare cio’ che e’ avvenuto nei territori diocesani da settembre 2020 a marzo 2021. In questi 211 giorni le Caritas si sono occupate complessivamente di 544.775 persone. Le donne qui sono la maggioranza: 53,7%, cosi’ come gli italiani (57,8%). Quasi tutte le Caritas diocesane hanno evidenziato che accanto ai bisogno fondamentali come il lavoro e la casa, ne compaiono altri inerenti la sfera formativa e il disagio psico-sociale che colpiscono soprattutto le donne ed i giovani. In particolare le difficolta’ sono legate al precariato lavorativo femminile (nel 93,2% delle Caritas) e dei giovani (nel 92,1%) .Ma anche difficolta’ abitative (84,2%), poverta’ educativa (80,5%) e disagio psico-sociale dei giovani (80,5%). Anche altri fenomeni sono segnalati in aumento: come il disagio psico-sociale degli anziani e delle donne (entrambi indicati dal 77,4% delle Caritas), la poverta’ minorile (66,3%), la rinuncia/rinvio dell’assistenza sanitaria ordinaria, non legata al Covid (66,8%), le violenze domestiche (51,1%). Le persone piu’ frequentemente aiutate dalla Caritas sono state soprattutto quelle con impiego irregolare a causa del Covid19 (61,1%); lavoratori precari/intermittenti che non hanno potuto godere di ammortizzatori sociali (50%); lavoratori autonomi/stagionali, in attesa delle misure di sostegno (40,5%); lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione ordinaria/cassa integrazione in deroga (35,8%). Gli ambiti e i settori economici che hanno risentito maggiormente della crisi economica correlata al Covid sono stati soprattutto quelli della ristorazione, segnalati dal 94% delle Caritas diocesane, seguiti dal settore turistico-alberghiero (77,4%). La maggioranza assoluta delle diocesi rileva anche la difficolta’ degli esercizi commerciali (64,2%) e delle attivita’ culturali, artistiche e dello spettacolo (53,2%). I servizi forniti dalle varie diocesi hanno riguardato, in particolare aiuti materiali per le famiglie in difficolta, ma anche attivita’ di orientamento e informazione sulle misure assistenziali promosse da amministrazioni centrali/territoriali. Le stesse diocesi hanno attivato borse di studio o tirocini, distribuito tablet acquistato libri e materiale scolastico o pagato rette o mense scolastiche, abbonamenti ai mezzi pubblici per gli studenti e attivato sportelli di supporto psicologico e fondi diocesani di sostegno economico alle piccole imprese.

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In Brasile raggiunte 700 mila vittime a causa del Covid-19

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Il governo del Brasile ha informato di aver oltrepassato questa settimana la quota di 700 mila vittime per il Covid-19 dopo la comparsa del virus per la prima volta nel Paese a febbraio del 2020 e il primo decesso avvenuto a marzo dello stesso anno. Il gigante sudamericano è attualmente il secondo Paese al mondo per numero di vittime dopo gli Stati Uniti (1,1 milioni). Nell’ultima settimana le autorità sanitarie hanno riferito di 322 decessi che hanno portato la cifra complessiva di morti a 700.239. Il peggior anno della pandemia in Brasile è stato il 2021, con 423.349 decessi attribuiti al virus Covid-19. Secondo una commissione d’inchiesta del Senato, oltre 200 mila persone sono morte in Brasile a causa del ritardo con cui è stato messo in atto il programma di vaccinazione della popolazione da parte dell’ex presidente Jair Bolsonaro, il quale a sua volta non si è mai vaccinato.

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Covid: in Italia 188.750 vittime in tre anni

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Curve Covid stabili. Verso l'estate senza mascherine

Sono 188.750 le vittime del Covid registrate in Italia al 16 marzo, a poco più di tre anni dall’inizio della pandemia, mentre i contagi sono stati 25.651.205. Nel mondo, invece, secondo l’Oms, ci sono quasi sette milioni di decessi segnalati per Covid-19, “anche se sappiamo – ha affermato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus – che il numero effettivo di decessi è molto più alto”. Questi i dati che fanno da sfondo alla Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, proclamata per il 18 marzo. Per l’Oms la fine della pandemia appare finalmente prossima, e si è detta “fiduciosa che l’emergenza internazionale possa terminare entro l’anno, ed il virus Sars-CoV-2 diventerà paragonabile a quelli dell’influenza stagionale”. Tornando ai dati italiani, colpiscono anche quelli sugli operatori sanitari, a cui è stata dedicata la Giornata nazionale lo scorso 20 febbraio. Hanno perso la vita, come ha ricordato in quell’occasione il presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, 379 medici e, secondo il sindacato Nursing Up, 90 infermieri. “Nei primi mesi di pandemia – aveva sottolineato Anelli – circa 60-80 medici morivano ogni mese. Metà dei decessi sono stati sul territorio, dove erano soli senza dispositivi di protezione e con mille difficoltà”. La situazione allora era ben diversa da quella attuale, dove, secondo i dati del ministero della Salute, continua a diminuire in Italia il numero dei nuovi casi e dei decessi per Covid-19. Nella settimana 10-16 marzo 2023 sono infatti 23.730 i nuovi casi positivi, con una variazione di -1,1% rispetto alla settimana precedente, mentre i deceduti sono 212 con una variazione di -1,9% rispetto alla settimana precedente. L’impatto clinico appare essere molto basso.

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Vaccini: studio, risposta più debole se si dorme poco

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Covid vaccino

Le persone che dormono meno di sei ore a notte hanno una peggiore risposta alle vaccinazioni, con una minore produzione di anticorpi e una protezione più breve. È quanto emerge da una ricerca coordinata dall’University of Chicago e pubblicata su Current Biology. La ricerca ha analizzato congiuntamente quattro studi che avevano indagato la relazione tra sonno ed efficacia della vaccinazione contro epatite B o influenza. Dall’analisi dei dati è emerso che chi aveva una durata del sonno inferiore alle 6 ore aveva una risposta alla vaccinazione più debole di circa il 20% rispetto a chi dormiva di più. “Un buon sonno non solo amplifica, ma può anche prolungare la durata della protezione del vaccino”, ha affermato in una nota Eve Van Cauter, coordinatrice della ricerca. L’effetto del sonno, tuttavia, è stato osservato soprattutto nei maschi, mentre nelle donne era più sfumato. La ragione di questa differenza di genere, spiegano i ricercatori, potrebbe essere legata agli ormoni. “Sappiamo dagli studi di immunologia che gli ormoni sessuali influenzano il sistema immunitario – ha aggiunto Van Cauter – Nelle donne, l’immunità è influenzata dallo stato del ciclo mestruale, dall’uso di contraccettivi, dalla menopausa e dallo stato post-menopausa, ma sfortunatamente nessuno degli studi che abbiamo riassunto aveva dati sui livelli di ormoni sessuali”.

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