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Cronache

Carabinieri infedeli arrestati, ecco gli atti d’inchiesta e i nomi degli indagati: ma l’Arma merita rispetto

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In queste poche righe che leggete sopra e che sono state diffuse dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri c’è la dignità, l’onestà, l’abnegazione, il senso del dovere di uomini e donne di una delle Istituzioni più sane di questo Paese. È capitato, capita, capiterà ancora che appartenenti all’Arma commettano reati che talvolta sono particolarmente indegni per chi indossa la divisa che è stata onorata dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa o dal vicebrigadiere Salvo D’Acquisto o da decine di altri uomini e donne che quotidianamente mettono a repentaglio la loro vita per salvaguardare il bene e i beni degli italiani.

L’inchiesta di Piacenza mostra una pagina insulsa non della vita dell’Arma dei Carabinieri bensì di qualcheduno che indegnamente ha indossato la sua divisa. Quello che non deve accadere in questa inchiesta di Piacenza è scambiare il destino personale di qualche miserabile con la storia dell’Arma dei Carabinieri. Nel fare informazione, nel raccontare questa vicenda, che merita ogni attenzione e che ancora di più va illuminata perché tratta di presunti infedeli servitori dello Stato, vanno divisi i destini degli indagati dal tasso di moralità e credibilità dell’Arma dei Carabinieri. Se questi signori saranno riconosciuti colpevoli dei reati loro contestati, subiranno condanne più dure di quelle che meritano gli altri italiani. Indossare la divisa e disonorarla è una aggravante. Per questo motivo vi riproponiamo l’intero comunicato diramato dalla procura di Piacenza ai media per provare a spiegare tutte le accuse contestate agli indagati. Evidentemente i carabinieri arrestati e quelli indagati a piede libero hanno diritto a tutte le garanzie di cui godono tutti gli italiani. Ma se quelle accuse dovessero essere fondate, dovessero reggere, allora le pene dovranno essere più pesanti.

Per leggere il comunicato stampa della procura di Piacenza clicca qui: Operazione Odysséus_22141307 (1).

La Procura Militare di Verona ha aperto un fascicolo d’indagine sugli abusi contestati al gruppo di sei Carabinieri in servizio presso la Caserma Levante di Piacenza. “Al momento si tratta di atti relativi al fatto”, ha riferito il procuratore Militare, Stanislao Saeli, il quale ha aggiunto di aver “proceduto sulla base dei provvedimenti cautelari emessi dalla Procura della Repubblica di Piacenza, da cui sembrano gia’ emergere estremi di reati militari. Agiamo in perfetta sintonia con i colleghi della Magistratura ordinaria per ottimizzare le attivita’ di indagine”. La Procura militare di Verona ha competenza sui reati militari commessi nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna.

Il sostituto procuratore generale di Bologna, Valter Giovannini, che condusse le indagini e l’accusa sui delitti bolognesi della Banda della Uno Bianca, tra cui, appunto, l’eccidio del Pilastro in cui furono uccisi i tre giovani carabinieri Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, usa parole durissime sull’inchiesta di Piacenza. “Nel leggere, allibito, quanto emerso dalle indagini della Procura di Piacenza, il mio pensiero e’ subito andato ai tre carabinieri massacrati, il 4 Gennaio del 1991, al quartiere Pilastro. Tre ragazzi che insieme avevano poco piu’ di sessanta anni uccisi nell’adempimento del dovere. La gravita’ dei fatti che stanno emergendo – dice Giovannini – oltraggia la loro memoria ed offende tutti i carabinieri onesti che in questo momento, lo so per certo, stanno soffrendo fino alle lacrime per quanto si legge sui giornali. Da vecchio pubblico ministero a loro va un mio sincero grazie per cio’ che, in silenzio e con sacrificio, fanno tutti i giorni per i cittadini di questo paese”.

Piacenza, sette carabinieri arrestati e una caserma sotto sequestro: ecco le foto della Guardia di Finanza e tutte le accuse contestate

 

 

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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