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Caos Liguria, per il dopo Toti nel campo largo entra Renzi ma Avs e M5s non lo vogliono

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In due regioni su tre, gli schieramenti e i candidati sono decisi. Sia a destra sia a sinistra il nodo ancora da sciogliere è la Liguria. Proprio nella regione dove i giallo-rossi, più i centristi, possono cogliere l’occasione di strappare il territorio al centrodestra, dopo il caso che ha investito il governatore dimissionario Giovanni Toti, ancora oggi il campo largo non decolla, anzi rimane al momento congelato. È quindi Matteo Renzi, reduce da veti e contro-veti di Avs e M5s, a non avere dubbi. “Se sosterremo gli stessi candidati del centrosinistra in tutte e tre le regioni al voto? Sì”, ha affermato il leader di Italia Viva.

“In Liguria la vicenda è semplice. Si parla delle cose da fare. Sto aspettando” le linee del “centrosinistra ligure sui punti programmatici aperti”, ha spiegato. Il senatore forse cerca di mandare anche un messaggio agli alleati più scettici sul suo conto e che più volte gli hanno rinfacciato il suo appoggio al centrodestra, come a Genova schierato nella maggioranza del sindaco Bucci: “Noi abbiamo fatto degli accordi a seconda delle città. Ovvio che d’ora in avanti – sostiene Renzi con chiarezza – se stiamo con il centrosinistra non potremmo stare con il centrodestra ma occhio: questo vale per tutti”.

Mentre si profilano altri guai nella fila dei pentastellati con Nicola Morra, ex 5s fedelissimo del garante Beppe Grillo, che si candida proprio nella terra del comico, contro i suoi ex compagni di partito. Mossa in chiave anti-Conte, osservano alcuni del Movimento, considerato che Morra è tra gli undici ex parlamentari pentastellati scesi in campo nello scontro tra i due scrivendo una lettera contro il presidente Conte in difesa del fondatore. ‘Campo largo’ sì o no, per il centrosinistra in Liguria il dilemma potrebbe essere proprio questo. Renzi o non Renzi, il Movimento Cinque Stelle che in Piemonte ha preferito correre da solo, è ancora nella fase valutativa. Per ora ha messo sul tavolo delle trattative il nome del senatore Pirondini, ma le interlocuzioni procedono quotidianamente con il Pd, tra il responsabile enti locali dem Davide Baruffi e la presidente vicaria Paola Taverna.

In campo, quindi, c’è Andrea Orlando. L’ex ministro sta girando in lungo e largo la sua terra, incontrando i sindaci e sostenendo il partito territoriale nelle sfide che ha davanti. Orlando non si starebbe tirando indietro ma – precisano fonti qualificate – certo metterebbe a disposizione il suo lavoro anche di un candidato terzo, se questo fosse necessario. Ipotesi al momento lontana e forse poco auspicabile.

Nulla osta molto probabile quindi per Orlando, ma la proposta pentastellata resta in campo. La quadra dovrebbe trovarsi entro fine mese, o al massimo a inizio settembre prima della fine della festa nazionale dell’Unità dove parteciperà anche il leader Giuseppe Conte. Nelle altre regioni lo schieramento è chiaro. In Umbria per il centrodestra c’è l’uscente leghista Donatella Tesei. Per il centrosinistra è arrivato il sì di Stefania Proietti, sindaca di Assisi e presidente della provincia di Perugia, sostenuta da un ‘campo larghissimo’ composto da Pd, M5s, Avs, Azione e Italia viva.

Quadra trovata anche in Emilia. Nella regione-roccaforte rossa, sempre più difficile da espugnare, il centrosinistra ha messo in campo Michele De Pascale, sindaco di Ravenna, per proseguire l’esperienza di governo del presidente Pd Stefano Bonaccini, ora parlamentare Ue. Mentre il centrodestra ha scelto la civica Elena Ugolini. Giochi ancora da chiudere invece in Liguria anche per il centrodestra, dove le interlocuzioni continuano ma la quadra non c’è. Il timore di perdere la regione, infatti, dopo le vicende giudiziarie che hanno investito Toti, è molto forte. I nomi restano quelli già circolati, come la fedelissima dell’ ex governatore, Ilaria Cavo, o il coordinatore regionale di Forza Italia Carlo Bagnasco. Tutto sembra rimandato al vertice annunciato da Giorgia Meloni, con Matteo Salvini e Antonio Tajani per il 30 agosto. Election day compreso.

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‘Roma ha assicurato che non arresterà Netanyahu’

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L’Italia non arresterà il premier israeliano Benyamin Netanyahu in base al mandato della Cpi, qualora dovesse visitare il Paese. E’ la rassicurazione che il governo avrebbe offerto – stando al Times of Israel e Haaretz – al ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, in occasione della sua visita a Roma. Il capo della diplomazia israeliana avrebbe sollevato la questione negli incontri con il titolare della Farnesina Antonio Tajani e il ministro della Giustizia Carlo Nordio. E secondo una fonte del Times of Israel, i due avrebbero assicurato a Sa’ar che il governo italiano ha ricevuto una consulenza legale secondo cui i capi di Stato, ai quali viene equiparato Netanyahu, godono dell’immunità durante le visite in Italia, in base alla Convenzione di Vienna.

Il tema è stato più volte affrontato da Tajani, che già in occasione della sentenza della Cpi aveva sottolineato come fosse innanzitutto necessario verificare se le alte cariche dello Stato fossero al di fuori delle decisioni della Corte, e se queste valessero anche per i Paesi fuori dalla sua giurisdizione. Anche a conclusione del G7 di Fiuggi, dove la questione entrò nella dichiarazione finale dei Sette, il titolare della Farnesina evidenziò “molti dubbi giuridici” sulla decisione della Cpi, confermando in ogni caso il rispetto del diritto internazionale da parte dell’Italia. Stando ai media israeliani, Roma avrebbe quindi realizzato le verifiche necessarie, arrivando alla conclusione che Netanyahu non può essere arrestato in virtù di un’immunità. In ogni caso, resta remota la possibilità di una visita del premier israeliano in Italia in questo momento, così come in Europa e nei Paesi che aderiscono allo Statuto di Roma.

In questi giorni ha scatenato un dibattito in Polonia la possibilità che il primo ministro di Israele potesse partecipare alle commemorazioni per gli 80 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. A inizio gennaio, il viceministro degli Esteri di Varsavia aveva suggerito un obbligo per le autorità polacche di arrestare Netanyahu se si fosse recato in Polonia per la cerimonia del 27 gennaio. Ma la scorsa settimana il primo ministro Donald Tusk ha chiarito che qualsiasi politico israeliano, Netanyahu compreso, non corre alcun pericolo di arresto in caso di partecipazione alle commemorazioni. Da parte sua, il direttore del memoriale e museo di Auschwitz-Birkenau, Piotr Cywiński, ha liquidato la polemica come una “provocazione mediatica”, sostenendo in un’intervista al Guardian come non ci fosse alcuna indicazione che Netanyahu avesse mai pianificato di partecipare alla cerimonia, mentre è prevista una delegazione israeliana considerevole all’evento.

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Tosca e Roma, Mattarella alla festa dei 125 anni

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Sergio Mattarella spettatore speciale dei 125 anni di Tosca all’ Opera di Roma. Il Presidente della Repubblica ha partecipato ieri sera alla rappresentazione del capolavoro pucciniano, proposto al Teatro Costanzi nell’o stesso allestimento del giorno del debutto assoluto, il 14 gennaio 1900, alla presenza del compositore. Una festa per celebrare l’ anniversario particolare del dramma ambientato in luoghi simbolo di Roma – S. Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’ Angelo – che ha coinvolto tutto il pubblico con brindisi e tartine negli intervalli.

Il Capo dello Stato, accompagnato dalla figlia Laura, è stato accolto dal Sovrintendente Francesco Giambrone, dal sindaco e presidente della Fondazione Roberto Gualtieri, e dal presidente della Regione Lazio Francesco Rocca. Con loro ha partecipato allo scoprimento della targa nel foyer del teatro che ricorda la storica prima. Mattarella ha poi preso posto nel palco reale salutato dall’ applauso del pubblico. Prima che si aprisse il sipario il coro e l’ orchestra hanno intonato il Canto degli italiani. La regia dello spettacolo che ormai da anni figura nel cartellone dell’ Opera di Roma e rievoca la messa in scena originale grazie ai bozzetti della scenografia dell’ epoca custoditi dall’ Archivio Ricordi, è di Alessandro Talevi.

Sul podio Michele Mariotti, direttore musicale dell’ Opera di Roma, che ha diretto il celebre titolo per la prima volta a Tokyo nel 2023. Ciro Visco ha guidato il coro con la partecipazione della scuola di canto corale della Fondazione. Applausi e molti ‘brava’ sono andati al soprano spagnolo Saioa Hernández, che proprio come Tosca ha debuttato all’Opera di Roma nel 2021. Più tiepida la risposta del pubblico al celebre ‘E lucevan le stelle” del tenore statunitense Gregory Kunde nei panni di Cavaradossi e al baritono armeno Gevorg Hakobyan che ha interpretato Scarpia.

L’ evento ha richiamato ospiti illustri ed esponenti del mondo politico e culturale. Tra le personalità, il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, l’ ambasciatore di Francia Martin Briens, il vicepresidente della Camera dei Deputati Giorgio Mulè, il ministro della Cultura Alessandro Giuli, Gianni Letta, la sovrintendente dell’Arena di Verona Cecilia Gasdia, la direttrice della Galleria Borghese Francesca Cappelletti, il regista Damiano Michieletto, la cantante e attrice Tosca.

Il Capo dello Stato, nell’intervallo tra il secondo e il terzo atto, ha salutato il direttore d’ orchestra, il regista e una rappresentanza delle maestranze del Costanzi. Tosca, che ieri è stata vista anche da duecento persone collegate in streaming dall’Istituto Italiano di Cultura di Londra, avrà quattro repliche fino al 19 gennaio.

La ‘prima’ della più romana delle opere di Puccini sarà ripresa e diffusa via streaming al Policlinico Gemelli, in diverse realtà legate alla Caritas di Roma – dalla mensa all’ostello “Don Luigi di Liegro”, passando per la casa di accoglienza Santa Giacinta – all’Istituto Romano San Michele, al Teatro Patologico e in altri luoghi della città. Altre due riprese dello storico allestimento sono previste dal 1° al 6 marzo con la direzione di Daniel Oren, la star Anna Netrebko nel ruolo della protagonista, Yusif Eyvazov (Cavaradossi) e Amartuvshin Enkbath (Scarpia) e dal 9 al 13 maggio quando a dirigere sarà James Conlon, protagonisti Anna Pirozzi, Luciano Ganci e Claudio Sgura.

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Addio a Furio Colombo, liberal con l’America nel cuore

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Un ‘liberal’ con uno sguardo sempre rivolto verso l’America, “appartengo alla stessa generazione di Moravia – disse una volta – e la vedo nello stesso modo, quando diceva ‘potranno forse essere il Paese del futuro’. Il dopoguerra, la liberazione americana”, erano rimasti nel suo cuore, anche se con qualche critica “ma solo su fatti specifici”. Furio Colombo, che ci lascia oggi a 94 anni, è stato uno dei giornalisti più importanti del dopoguerra italiano, ed ha attraversato il secondo Novecento vestendo molte giacche, ma sempre con la stessa coerente eleganza.

Nato a Chatillon, in Val d’Aosta, il primo gennaio 1931, studiò a Torino laureandosi giovanissimo in giurisprudenza. Ma la sua passione per il giornalismo esplose presto in modo irresistibile, e lo portò a praticare ogni mezzo dalla carta stampata, alla radio, alla tv. Con Umberto Eco fu tra i fondatori del Gruppo63, Gianni Vattimo e Piero Angela, iniziò con la scrittura dei programmi culturali della Rai, poi nel 1967 divenne giornalista professionista. Nel 1967 era nel Sinai per documentare la Guerra dei sei giorni, nel 1968 a Saigon durante l’offensiva del Têt. Professore al Dams di Bologna nei fatidici anni Settanta, alla fine degli anni Ottanta iniziò la sua lunga stagione americana, prima come corrispondente per La Stampa da New York, ed in seguito per La Repubblica.

A New York dopo essere sopravvissuto ad un incidente aereo, fu anche direttore dell’Istituto di cultura dal 1991 al 1994. Ha scritto per le maggiori testate americane e italiane. Ha diretto l’edizione italiana della New York Review of Books (1993-2000), la rivista L’architettura. Cronache e storia fondata da Bruno Zevi (2001-2006), Nuovi Argomenti (con Dacia Maraini, 1992-2018). Parlamentare per tre legislature per i Ds L’Ulivo e il Pd, dove ha corso anche come candidato alle primarie da leader, nel 2001 fu nominato direttore della rinata L’Unità, esperienza che si concluse in modo brusco nel 2005. Poi nel 2009 fondò con Antonio Padellaro e Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano.

“Nessuno di noi – disse presentando l’iniziativa insieme ai suoi compagni d’avventura – viene da passati politici da affermare o rinnegare continuamente e neanche abbiamo fatto parte di gruppi anche molto per bene. E questo ci rende autonomi. Al Fatto vogliamo fare analisi logiche e non morali”. Giornalista e fine intellettuale, Colombo ha svolto un’intensa attività culturale come autore di testi letterari e cinematografici, nonché titolare di cattedra alla Columbia University, alla New York University, alla University of California di Berkeley.

Ha svolto anche incarichi aziendali prima alla Olivetti e poi come Rappresentante Fiat negli Stati Uniti. Il suo primo libro è stato L’America di Kennedy (1964), la più recente pubblicazione Sulla pace. La guerra in Ucraina e l’eterno dilemma (con Vittorio Pavoncello, 2022). È autore della legge che istituisce il Giorno della memoria per la Shoah il 27 gennaio. A dare la notizia oggi della sua morte la famiglia: “È deceduto all’età di 94 anni Furio Colombo, assistito dalla moglie Alice e dalla figlia Daria”.

I funerali si svolgeranno al Cimitero Acattolico di Roma domani mercoledì 15 gennaio alle 15.00. Ma dal 17 gennaio tornerà anche in libreria La fine di Israele (Baldini + Castoldi). Oggi Elisabetta Sgarbi lo ricorda così: “Furio Colombo è stato, oltre che un amico, uno dei primi entusiasti fondatori della Nave di Teseo. Questo libro, che fortemente ha voluto riproporre, ha fatto in tempo a vederlo, e, in un’ultima telefonata, alcuni giorni fa, mi comunicò tutta la sua soddisfazione. Doveva uscire prima di Natale, ma insistetti per avere una prefazione, scritta nell’urgenza di quanto stava accadendo in Israele e a Gaza. Concordammo che il Giorno della Memoria avrebbe potuto essere una buona data di uscita”.

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