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Cronache

Campi Flegrei, fratture profonde ma niente magma: nuova scoperta dei ricercatori

Uno studio internazionale rivela che sotto la Solfatara dei Campi Flegrei ci sono fratture attraversate da fluidi e non da magma. Nessun allarme, ma monitoraggio continuo.

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Nelle profondità della caldera dei Campi Flegrei, a circa quattro chilometri sotto la Solfatara, si nasconde la sorgente dei terremoti più intensi che hanno interessato l’area negli ultimi anni. A rivelarlo è uno studio congiunto dell’Ingv, dell’Università di Pisa e del Centro Helmholtz per le Geoscienze di Potsdam, pubblicato sulla rivista di Nature«Communications Earth & Environment».

Fratture profonde, ma senza magma

Secondo i ricercatori, il sistema di fratture sotterranee che si attiva nei momenti di maggiore deformazione del suolo è attraversato da fluidi e non da magma. La scoperta rappresenta una svolta scientifica, perché ricostruisce con precisione la geometria delle strutture sismogenetiche attivate nell’ultimo decennio.

Giacomo Rapagnani, primo autore dello studio e dottorando all’Università di Pisa, spiega che si tratta di fratture che mettono in collegamento la sorgente profonda con le fumarole in superficie, permettendo la risalita di fluidi e generando segnali di lunghissimo periodo mai osservati prima ai Campi Flegrei.

Un vulcano attivo da monitorare

La direttrice del Dipartimento Vulcani dell’Ingv, Francesca Bianco, conferma che non si rileva presenza di magma nel sistema di fratture. I dati storici indicano che questa struttura è rimasta stabile negli ultimi sette anni, anche se l’intera caldera dei Campi Flegrei rimane un sistema vulcanico attivo, alimentato da una sorgente magmatica più profonda, a circa otto chilometri.

Secondo l’Ingv, il sollevamento del suolo ha raggiunto 140 centimetri, mentre la sismicità e la deformazione sono attribuite a una sorgente magmatica profonda, tuttora oggetto di studio.

Ricerche fondamentali per la prevenzione

Gilberto Saccorotti, primo ricercatore dell’Ingv, e Francesco Grigoli, dell’Università di Pisa, concludono che la comprensione dei processi geofisici complessi, come terremoti ed eruzioni, dipende dallo sviluppo di tecniche sofisticate di analisi sismologica. Il loro lavoro contribuirà a tracciare l’evoluzione dinamica del vulcano, anche se saranno necessarie nuove indagini per vincolare meglio i processi in corso.

Un dato è certo: nessun allarme, ma una nuova consapevolezza sulla necessità di monitorare costantemente una delle aree vulcaniche più delicate d’Europa.

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Cronache

Condono edilizio 2003, perché in Campania la sanatoria non è mai partita: numeri, ritardi e nuove tensioni politiche

In Campania il condono edilizio del 2003 non è mai stato applicato per intero. Tra conflitti istituzionali, sentenze della Consulta e migliaia di pratiche inevase, il tema torna ora nella campagna elettorale.

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La questione del condono edilizio del 2003 torna al centro del dibattito politico in Campania, complice la campagna elettorale e un emendamento del centrodestra alla legge di bilancio che propone la riapertura dei termini.

Per capire le tensioni attuali bisogna risalire alla legge nazionale varata dal governo Berlusconi, che avrebbe dovuto regolarizzare gli abusi realizzati entro il 31 marzo 2003. In Campania, però, la norma non fu recepita nei tempi previsti: la Regione approvò nel 2004 una disciplina autonoma, poi dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale.

Le tre sanatorie e una montagna di pratiche inevase

La mancata applicazione del 2003 si sovrappose ai ritardi accumulati nei condoni del 1985 e del 1994. Migliaia di cittadini pagarono l’oblazione senza ricevere risposta, mentre verande, ampliamenti e manufatti minori restavano sospesi tra atti non definiti e ordinanze di demolizione.
Dopo il 2003, in 84 comuni campani si registrarono circa 20mila richieste, con oltre 8.700 solo a Napoli. Nell’area vesuviana si stima che siano rimaste senza esito almeno 50mila istanze riferite ai condoni precedenti.
Parallelamente, nel perimetro del Parco del Vesuvio sono state emesse circa 2.500 ordinanze di demolizione in trent’anni.

Il nodo delle zone vincolate

Il condono del 2003 escludeva le aree sottoposte a vincolo paesaggistico, idrogeologico o ambientale: le cosiddette “zone rosse”. In molti territori della provincia di Napoli, come l’area vesuviana, questi vincoli coprono porzioni significative del territorio.
Senza il recepimento regionale, la sanatoria è rimasta bloccata, generando un cortocircuito tra cittadini, Comuni e uffici tecnici.

Tentativi legislativi falliti

Negli anni si sono succeduti diversi tentativi parlamentari di introdurre criteri uniformi per demolizioni e regolarizzazioni. Un disegno di legge del 2014, che distingueva tra abusi speculativi e abitazioni “di necessità”, fu approvato dal Senato ma modificato radicalmente dalla Camera, fino a scomparire dal calendario parlamentare.
La Regione Campania tentò poi di trasformare gli immobili abusivi in patrimonio pubblico da destinare in affitto agli occupanti, ma la legge fu impugnata dal governo e la Consulta nel 2018 la dichiarò incostituzionale, ribadendo che lo Stato ha competenza esclusiva sul condono e che la demolizione resta la sanzione ordinaria.

Un tema che torna con la campagna elettorale

Oggi, in piena campagna elettorale, la proposta di riapertura dei termini del condono del 2003 riaccende lo scontro tra chi invoca certezza giuridica per migliaia di famiglie e chi teme un indebolimento della tutela del territorio.
La Campania è l’unica regione a non aver beneficiato del condono del 2003, ma il problema reale è strutturale: una massa enorme di pratiche inevase, un contenzioso sedimentato e un rapporto irrisolto con le demolizioni.

Tra legalità e attese sociali

Il dibattito si concentra sul difficile equilibrio tra la necessità di contrastare l’abusivismo e quella di fornire risposte a situazioni abitative pendenti da decenni.
La cronistoria mostra un ritardo accumulato in oltre vent’anni, dove conflitti istituzionali, norme disattese e decisioni politiche mancate hanno prodotto ciò che oggi molti definiscono “la perenne emergenza edilizia” della Campania.

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Cronache

Omicidio Umberto Catanzaro, indagini in corso sull’agguato ai Quartieri: si aggrava la posizione dei cinque indagati

Umberto Catanzaro, 23 anni, è morto dopo due mesi di agonia: indagini in corso sull’agguato dei Quartieri Spagnoli. Le accuse a carico dei cinque indagati restano da verificare in tribunale.

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Umberto Catanzaro, 23 anni, calciatore della Nuova Napoli Nord, è morto all’alba di ieri dopo quasi due mesi di ricovero al Pellegrini. Il giovane era stato colpito in un agguato in via Conte di Mola, ai Quartieri Spagnoli, il 15 settembre scorso.
Secondo la ricostruzione ancora oggetto di indagini, il vero obiettivo del commando sarebbe stato un minorenne che era in sua compagnia. Catanzaro, che stava per diventare padre, fu raggiunto da un proiettile all’addome ed entrò subito in condizioni critiche.
È fondamentale ricordare che tutte le contestazioni attuali sono ipotesi investigative e che i soggetti coinvolti restano presunti innocenti fino a sentenza definitiva.

Un raid legato a una vicenda di revenge porn (ma la dinamica è ancora da provare)

Secondo gli investigatori, l’agguato sarebbe collegato alla diffusione di immagini intime riguardanti la figlia minorenne di un presunto boss del rione. Gli inquirenti ritengono che il minorenne amico di Catanzaro possa aver diffuso quei video, interrompendo poi la relazione con la giovane.
Anche su questo fronte ogni dettaglio è ancora al vaglio delle autorità: siamo in una fase in cui nulla è stato ancora accertato in giudizio.

Il minorenne illeso e la vendetta immediata

La notte dell’agguato, il minorenne rimase illeso e – secondo le indagini – due ore dopo si sarebbe recato in un basso di Montecalvario per ferire Luigi D.L., ritenuto dagli inquirenti il possibile organizzatore del primo raid.
Un quadro complesso che la Dda e la Procura dei Minori stanno ancora ricostruendo, e che potrebbe cambiare man mano che emergono nuovi elementi.

Dalle prime contestazioni al possibile omicidio in concorso

Lo scorso ottobre i carabinieri eseguirono quattro fermi e un’ordinanza cautelare per tentato omicidio. Con la morte di Umberto Catanzaro, la posizione dei cinque indagati si aggrava e la Procura procede verso la contestazione di omicidio in concorso.
Anche in questo caso è doveroso ricordare che si tratta di qualificazioni provvisorie, che dovranno essere valutate nelle sedi competenti. Nessuna condanna è stata ancora emessa.

La testimonianza della madre e i riconoscimenti in ospedale

Secondo gli atti d’indagine, Catanzaro – nei momenti di lucidità durante la degenza in Rianimazione – avrebbe fatto alcuni nomi alla madre, riferendosi ai timbri di voce dei presunti aggressori. La conversazione è stata intercettata e la donna ha poi riferito ai carabinieri quanto ascoltato dal figlio.
Questi elementi, anch’essi da verificare in sede processuale, hanno ampliato il raggio investigativo fino al presunto supporto logistico offerto ai tre sicari.

La fidanzata: speranza e dolore

La fidanzata del giovane aveva più volte condiviso messaggi di incoraggiamento sui social. Fu lei a raccontare ai carabinieri il drammatico momento in cui Umberto tornò a casa ferito, cadendo nel corridoio dopo aver chiesto aiuto.
La ragazza ha spiegato agli inquirenti che pochi giorni prima avevano deciso di prendersi una pausa, e si era rimproverata di non essere stata con lui quella sera.

Le telecamere e la foto sul cellulare

Determinanti per gli inquirenti le immagini riprese sotto casa della fidanzata e nel rione Montecalvario. Il minorenne che accompagnava Catanzaro è stato individuato anche grazie a una foto trovata nel cellulare del 23enne, scattata poche ore prima. Indossava gli stessi abiti poi ripresi dalle telecamere.
Sono elementi investigativi utili, ma – ancora una volta – necessitano di riscontri e di un pieno contraddittorio processuale.

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Cronache

Castellammare, il sindaco Vicinanza esclude due consiglieri dalla maggioranza

A Castellammare il sindaco esclude due consiglieri per “opportunità politica”, pur riconoscendo la presunzione di innocenza. Indagini in corso sul contesto generale, ma nessuna accusa formale contro i due eletti.

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Cadono le prime teste politiche nella maggioranza guidata dal sindaco Luigi Vicinanza (foto Imagoeconomica). Gennaro Oscurato e Nino Di Maio vengono considerati “fuori dal perimetro della maggioranza”, una scelta che il primo cittadino rivendica come motivata da ragioni di opportunità e tutela dell’istituzione.
È fondamentale ricordare che siamo nel pieno delle indagini e che le accuse contenute negli atti non sono in alcun modo sentenze: i due consiglieri non risultano nemmeno indagati, mentre sul contesto più ampio continuano gli approfondimenti dell’autorità giudiziaria.

La decisione del sindaco: “No a zone d’ombra”

Vicinanza ha incontrato nei giorni scorsi i vertici del Pd e i capigruppo della maggioranza, prima di formalizzare una scelta definita “dolorosa ma necessaria”. Il sindaco ha ribadito che “la politica deve intervenire prima della magistratura”, ma ha anche sottolineato la piena presunzione di innocenza dei consiglieri interessati, confidando nel lavoro degli inquirenti.
Una decisione politica, dunque, non giudiziaria, e adottata – secondo il sindaco – per evitare “ombre, dubbi, sospetti” sulla coalizione.

Le reazioni di Di Maio: “Presunzione di innocenza per tutti”

Nino Di Maio, eletto con 606 voti nella lista “Noi per Stabia”, respinge ogni ombra sulla propria figura e ricorda che né lui né suo figlio – citato negli atti per presunti contatti con esponenti del clan D’Alessandro – risultano indagati.
Rivendica trasparenza personale e chiede al sindaco di richiedere una commissione d’accesso al prefetto, ritenendola l’unico strumento capace di verificare con terzietà eventuali rischi di condizionamento. Anche qui, le circostanze riportate negli atti sono allo stato solo elementi investigativi.

Il caso Oscurato e le intercettazioni (da valutare nelle sedi competenti)

Più complessa la posizione politica di Gennaro Oscurato, coinvolto indirettamente attraverso intercettazioni relative a Michele Abbruzzese, ritenuto cassiere del clan D’Alessandro e arrestato la scorsa settimana.
Secondo gli atti, Oscurato sarebbe stato descritto come “uno di famiglia”, ma anche in questo caso si tratta di riferimenti contenuti in un’indagine ancora in corso, che non equivalgono ad alcuna responsabilità accertata. Il consigliere preferisce al momento non replicare.

I commenti nel Pd e le tensioni interne

Per Francesco Dinacci, commissario del Pd di Castellammare, la decisione è “giusta e opportuna”. Anche Sandro Ruotolo aveva chiesto passi chiari, arrivando a ventilare dimissioni se non fossero state assunte decisioni nette.
Nonostante la mossa del sindaco, all’interno della coalizione restano tensioni e ipotesi di movimenti in maggioranza che ora conta 14 consiglieri.

Le dimissioni di Pasquale D’Apice e l’ingresso di Giselle D’Amora

Intanto Pasquale D’Apice, consigliere di opposizione, lascia il suo incarico aprendo la strada alla subentrante Giselle D’Amora per la lista Progetto Stabia.
D’Apice spiega che la politica “non può essere attaccamento alla poltrona” e richiama tutti – in particolare in un momento così delicato – a riflessioni su opportunità e trasparenza.

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