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Cronache

Camorra spietata, in 20 per picchiare selvaggiamente la pusher, il marito e figlia che non pagavano il pizzo sullo spaccio

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Per costringerla a pagare il “pizzo”  sulla vendita della droga, si sono presentati in venti a casa di colei che gestiva una piazza di spaccio a Cercola (Napoli). E quando la donna si è rifiutata, hanno picchiato lei, il marito e anche la figlia minorenne, intervenuta per difendere la madre. E’ l’episodio estorsivo, connotato da violenti percosse, che sta alla base di un dei due decreti di fermo emessi dalla DDA di Napoli e notificato dai carabinieri a sette indagati, ritenuti appartenenti al cartello malavitoso dei De Luca Bossa, Minichini e Casella di Ponticelli, una volta legato alla federazione camorristica “Alleanza di Secondigliano”. L’aggressione, risalente al novembre 2019, non e’ stata denunciata dalla vittima, che l’ha ridimensionata a lite per timore di ritorsioni. Ma una intercettazione e i collaboratori di giustizia rendono la pericolosita’ dell’accaduto. Il gip Fabio Provvisier pur non ritenendo sussistente il pericolo di fuga ha disposto il carcere per 4 indagati, i domiciliari per un quinto indagato (una donna che deve accudire la prole) e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per una sesta persona basandosi sul pericolo “concreto e attuale” che il reato potesse essere reiterato. Per un settimo indagato la richiesta di provvedimento cautelare e’ stata invece rigettata in quanto l’uomo e’ gia’ detenuto. Il gip Carlo Bardari, in relazione al secondo decreto di fermo della DDA, ha invece disposto il carcere per tre indagati, accusati di avere piu’ volte minacciato un parcheggiatore abusivo “in servizio” vicino all’ospedale del Mare a cui sono stati chiesti prima 100 euro di “pizzo” settimanali, poi aumentati a 150. Pena, in caso di mancato pagamento, l’impossibilita’ di esercitare in quel luogo. Le richieste degli inquirenti riguardavano complessivamente 7 persone, anche queste riconducibili al clan De Luca Bossa, Casella, Minichini. Anche in questo caso il giudice non ha ritenuto sussistente il pericolo di fuga ma le misure cautelari in carcere sono state emesse per il pericolo di reiterazione del reato di estorsione aggravata.

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Cronache

Caso Grillo jr, teste: mi disse mi hanno violentata tutti

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

La notte del 16 e 17 luglio 2019 è stata scandagliata in tutti i momenti. Dettagli importanti, come anche quelli della mattina e dei giorni successivi, che sono stati oggetto di domande a una testimone ritenuta chiave, perché una delle due presunte vittime, durante l’udienza a porte chiuse al Tribunale di Tempio Pausania nel processo per violenza sessuale di gruppo dove sono imputati Ciro Grillo, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. Non la principale accusatrice – che, invece sarà sentita in quattro udienze fissate tra due mesi – ma l’amica (all’epoca dei fatti), che secondo l’accusa sarebbe stata oggetto di foto oscene mentre dormiva nella villetta a schiera a Porto Cervo, di proprietà della famiglia Grillo. E che fosse addormentata lo avrebbe ribadito lei stessa nella testimonianza in aula, ricostruendo quegli istanti.

“Ha detto che non ha subito alcuna violenza e non ha sentito alcunché, nessuno che urlasse e che chiedesse aiuto”, ha spiegato l’avvocata Antonella Cuccureddu del pool di difesa dei quattro imputati. Ma la ragazza ha anche confermato il racconto, già fatto in sede di istruttoria, come ricorda il legale della testimone Vinicio Nardo: si è svegliata a fine mattinata, ha trovato l’amica italo-norvegese sconvolta in un’altra stanza, “mi disse che era stata violentata da tutti”. Gli avvocati difensori dei quattro ragazzi hanno anche insistito su alcune circostanze, in particolare soffermandosi sul consumo di bevande alcoliche da parte del gruppo dall’arrivo nella discoteca Bilionaire ai drink al bar nella Promenade di Porto Cervo e nella villetta al Cala di Volpe. “Non eravamo né sobri né ubriachi o incapaci di controllarci”, avrebbe detto la testimone incalzata dai legali nella stessa aula nella quale ieri, ha avuto un attimo di commozione (un sussulto, piuttosto che un pianto) quando ha dovuto ricordare le settimane e i mesi successivi. “Non vivevo più perché ero terrorizzata dall’idea che mi chiamassero i giornalisti da un momento all’altro vivevo con l’incubo perché addirittura hanno contattato un mio amico”.

E sarebbe stata proprio questa situazione e le notizie di stampa sulla vicenda ad incrinare il rapporto tra le due amiche nella primavera del 2020 e non un messaggio su whatsapp che la studentessa milanese, 10 giorni dopo, ha inviato all’amica e nel quale si è scusata per non avere compreso la situazione e di non esserle stata più vicina. Due anni dopo la rottura dell’amicizia le due ragazze si sono incrociate ieri in tribunale ma a distanza: la studentessa italo-norvegese era arrivata con l’avvocata Giulia Bongiorno per assistere all’udienza ma le difese si sono opposte e le due sono state divise, una a raccontare in aula quanto accaduto quella notte, la seconda in un’altra stanza del palazzo di giustizia. Il 7 novembre, e non più il 13 ottobre, sarà, invece proprio lei, la principale accusatrice dei quattro giovani, a salire sul banco dei testimoni per la prima delle quattro giornate dedicate alla sua deposizione. Le altre date sono già state fissate per l’8 novembre, il 13 e 14 dicembre.

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Cronache

Auto di carabiniere a fuoco, indagini a tutto campo in Irpinia

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Indagini a 360 gradi per risalire ai responsabili che la notte scorsa a Lioni, in provincia di Avellino, hanno dato fuoco all’auto di un carabiniere. L’auto, era parcheggiata nei pressi dell’abitazione dove il militare vive con la famiglia. L’incendio che ha distrutto l’auto, si è verificato poco dopo le tre. Il carabiniere presta servizio presso la Compagnia di Sant’Angelo dei Lombardi, a pochi chilometri da Lioni. Le indagini vedono impegnati i carabinieri di Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi e del Reparto operativo del Comando provinciale di Avellino.

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Cronache

Arbitro dà rigore, botte ai giocatori dai tifosi entrati in campo

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“Rigore è quando arbitro fischia” diceva Vujadin Boskov, allenatore famoso per le sue massime. Non erano d’accordo alcuni spettatori del match fra Fc Garlasco 1976 e Cesano Boscone Idrostar dello scorso 1 aprile che, quando l’arbitro ha assegnato un rigore sono entrati in campo e hanno picchiato tre giocatori della squadra ospite. Aggressione che ha innescato la risposta dei tifosi della squadra milanese di Cesano Boscone. La gara del campionato Juniores in corso a Garlasco, nel Pavese, trasformata in rissa, è stata quindi sospesa. Ora i carabinieri di Vigevano hanno denunciato a piede libero due ventenni per lesioni aggravate in concorso. Sono entrambi residenti a Vigevano, disoccupati e incensurati.

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