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Cronache

Calenzano, gli operai morti e quelli che mancano ad appello

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La lista delle trentacinque persone che erano entrate nel sito Eni di Calenzano è l’elenco di un dramma che ora dopo ora spegne le speranze su ognuna di quelli che mancano all’appello. Due corpi finora sono stati ritrovati mentre altri tre uomini, irrintracciabili, sono molto probabilmente ancora tra le macerie di ciò che resta di quella esplosione. Il primo ad essere stato identificato è Vincenzo Martinelli, 51 anni, residente a Prato e originario di Napoli: aveva due figlie ed era autista di autocisterne. Forse l’altra vittima, sessantenne, era invece di Bientina, una cittadina del Pisano. Come loro, altri colleghi sul proprio autocarro stavano facendo rifornimento in mattinata per ripartire e cominciare la giornata.

È per questo che quella di Calenzano rischia di essere ricordata come la strage degli autotrasportatori. Nella lista ci sono anche altri camionisti originari di mezza Italia, da Catania a Novara, fino a Matera ed hanno tra i quarantacinque e i sessantadue anni. Del resto i loro mezzi erano parcheggiati sul posto al momento dell’esplosione nello stabilimento, dove si svolge attività di ricezione, deposito e spedizione di benzina, gasolio e petrolio. Prodotti che giungono tramite due oleodotti collegati con la raffineria Eni di Livorno, per venire quindi stoccati in serbatoi atmosferici cilindrici in attesa dell’invio alle pensiline di carico delle autobotti. E proprio in quello stesso posto i vigili del fuoco, in queste ore, stanno muovendo con una ruspa le macerie spostando i detriti della fortissima deflagrazione con la massima attenzione, alla ricerca di altri corpi.

“Ho visto una scena impressionante, c’è una distruzione totale. Immagino chi era lì a lavorare ed era lì vicino o sotto le infrastrutture di ricarica, quello dev’essere apparso come un inferno. La situazione è indescrivibile. Noi sappiamo che stamani nell’azienda erano stati effettuati 35 accessi”, dice il sindaco di Calenzano Giuseppe Carovani, visibilmente provato dopo il sopralluogo effettuato sul posto. In quell’area industriale ci sono molti altri stabilimenti e molti lavoratori che adesso si ritengono persino fortunati, visto quanto successo.

“In quella raffineria ci lavorano una cinquantina di persone. Io invece sono nell’azienda chimica a fianco. Sapevamo che quest’area era pericolosa, ma non fino questi punto”, spiega Nicolas Magnolfi, 29 anni, un operaio che stamattina stava lavorando a cinquanta metri dall’incidente ed è rimasto lievemente ferito. Come lui tanti altri sono finiti in ospedale, ma i più gravi, quelli trasportati con le ambulanze, sono una decina: tra loro due persone ustionate che rischiano la vita mentre altri diciassette si sono presentati spontaneamente nei pronto soccorso delle città limitrofe, tutte allertate dopo l’esplosione. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato al governatore della Regione Toscana Eugenio Giani per avere informazioni sui feriti, per portare la solidarietà alle famiglie delle vittime e per ringraziare i soccorritori e anche la premier Giorgia Meloni ha espresso “il più sentito cordoglio per le vittime, la vicinanza ai feriti e alle famiglie colpite e il ringraziamento a quanti si stanno prodigando nei soccorsi”.

Ad unirsi “al dolore di tutta la Toscana per la tragedia” è anche la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola. Per mercoledì 11 dicembre il governatore Eugenio Giani ha proclamato in tutta la regione una giornata di lutto: “Le bandiere degli edifici della regione saranno esposte a mezz’asta per l’intera giornata e verranno listate a lutto”, spiega invitando gli enti locali e gli enti decentrati dello Stato aventi sede in Toscana ad aderire alla giornata di cordoglio.

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Mafia, Michele Senese condannato a 11 anni in appello

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ìUndici anni di carcere e riconoscimento dell’ aggravante mafiosa. E’ quanto inflitto dalla Corte di Appello di Roma per Michele Senese, detto ‘O’ Pazz’ nel processo di appello bis nato dalla maxi inchiesta della Dda capitolina ‘Affari di Famiglia’. Il secondo processo di appello era stato disposto dalla Cassazione che aveva annullato a febbraio scorso l’assoluzione di Senese decisa nel primo processo di appello, quando era caduta anche l’aggravante mafiosa. La moglie di Senese Raffaella Gaglione è stata condannata a 5 anni, il figlio Vincenzo a 13 anni e il fratello Angelo a 6 anni e mezzo. Le accuse contestate nell’inchiesta vanno dall’estorsione, all’usura al riciclaggio.

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Crudeltà sulle cavie e omissioni, arresti a Catanzaro

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Topi e ratti seviziati, uccisi senza anestesia come prescrive la legge, spesso decapitati, il tutto in laboratori scientifici (stabulari) con numerose criticità igieniche e ambientali. Una situazione che avrebbe dovuto essere rilevata dai veterinari incaricati dei controlli e segnalata. Ma tutto ciò, all’Università Magna Graecia di Catanzaro, non sarebbe avvenuto perché regnava un “collaudato sistema illecito” che faceva sì che le ispezioni nei laboratori da parte dell’Asp fossero “pilotate” per ottenere l’attestazione di regolarità delle ricerche ed evitare la revoca dei finanziamenti ministeriali ammontanti a circa due milioni per vari progetti. E’ questa la convinzione della Procura della Repubblica e dei finanzieri del Gruppo di Catanzaro che stamani hanno eseguito un’ordinanza del gip che ha portato agli arresti domiciliari undici tra docenti e ricercatori dell’Ateneo – tra i quali l’ex rettore Giovambattista de Sarro – e veterinari dell’Asp.

Un altro veterinario dell’Asp è stato interdetto dall’esercizio delle pubbliche funzioni per 12 mesi. Le accuse ipotizzate nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, associazione per delinquere, corruzione, falso, truffa aggravata ai danni dello Stato, maltrattamento e uccisione di animali. Altre 21 persone sono indagate in stato di libertà. I finanzieri hanno anche sequestrato due laboratori scientifici adibiti alla sperimentazione sugli animali nonché 23.222,17 euro nei confronti di due indagati, ritenuta provento della truffa allo Stato. Per gli inquirenti era stato creato “un rapporto di compartecipazione e di reciproci favoritismi tra” gli indagati.

Il coinvolgimento dei veterinari dell’Asp, secondo gli inquirenti, si era reso necessario proprio a causa delle criticità presenti nei laboratori alle quali bisognava sopperire per non perdere i finanziamenti. Si era quindi instaurato quello che i magistrati indicano come un rapporto corruttivo tra alcuni indagati, in un caso, aveva interessato anche la redazione delle graduatorie finali riguardanti specifici concorsi all’Università, uno dei quali vinto dalla figlia di uno dei veterinari dell’Asp ed in un altro al pagamento di cospicue somme di denaro ad un altro veterinario grazie a numerosi incarichi di docenza che avrebbe ottenuto illecitamente all’Ateneo in cambio del sistematico esito positivo delle ispezioni svolte.

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Ucciso per un parcheggio, 16 anni la pena per i tre colpevoli

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Sedici anni di reclusione: è la condanna emessa dalla Corte d’Assise di Avellino nei confronti di ognuno dei tre imputati per l’omicidio di Roberto Bembo, il 21enne di Mercogliano (Avellino) ferito a coltellate nei pressi di un bar la mattina del primo gennaio 2023. Il giovane morì dopo dieci giorni di ospedale. Nico Iannuzzi e i fratelli Luca e Daniele Sciarrillo sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio volontario in concorso.

Nei confronti di Iannuzzi è stata riconosciuta la condanna ad ulteriori otto mesi per detenzione di arma con la quale inferse sei coltellate, una delle quali alla carotide, a Roberto Bembo. La Corte, presieduta da Gian Piero Scarlato, giudice a latere, Pier Paolo Calabrese, ha escluso le aggravanti a carico degli imputati. Il dramma si consumò all’alba a Torrette di Mercogliano dopo una lite tra gruppi di giovani per motivi di parcheggio.

Il pm, Vincenzo Toscano, aveva chiesto la condanna di Iannuzzi a 25 anni di reclusione; di Luca Sciarrillo a 21 anni e nove mesi e di Daniele Sciarrillo a otto anni. I difensori degli imputati, nell’arringa di stamattina prima che la Corte e i giudici popolari si ritirassero in Camera di Consiglio, avevano chiesto la derubricazione dell’accusa in eccesso colposo di legittima difesa oltre a sottolineare le ingerenze mediatiche sul processo e le false testimonianze rese in udienza dagli amici della vittima.

I tre imputati hanno atteso la sentenza nello loro abitazioni di Avellino, dove erano sottoposti agli arresti domiciliari. Contro questa disposizione, nei mesi scorsi si registrò la clamorosa protesta da parte di ignoti che tappezzarono l’ingresso del Tribunale di Avellino con la scritta “Vergogna”.

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