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Ambiente

Caccia alla plastica in mare tra Nisida, Gaiola e Parco Virgiliano: l’iniziativa dell’associazione N’Sea Yet

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Tutela ambientale e passione per lo sport: il mix perfetto che caratterizza la “Caccia alla plastica a Nisida, Gaiola e parco Virgiliano”, una manifestazione che attraverso il divertimento contribuisce a pulire il mare e a sensibilizzare la cittadinanza sui temi del rispetto di quella che probabilmente è la risorsa più importante del mondo.


E’ l’associazione N’Sea Yet, attiva da più di 2 anni sui temi di educazione ambientale ed economia circolare a Napoli (e non solo), a farsi promotrice per il secondo anno di questa appassionante “Caccia alla plastica – Swimming Edition”, che si svolgerà domenica prossima 3 luglio nello specchio di mare tra Nisida e la Gaiola. “Ridurre drasticamente l’utilizzo della plastica nella nostra vita quotidiana”, spiega Dario Catania, presidente di N’Sea Yet, “e cambiare le nostre abitudini, anche le più semplici, con altre meno impattanti sull’ambiente, è il vero traguardo che ci poniamo”.
Il meccanismo della iniziativa, come dicevamo, coniuga divertimento e pulizia del mare e delle spiagge: gli atleti, divisi in squadre, parteciperanno a una gara di nuoto in acque libere, aperta solo agli iscritti alla UISP, nelle 3,6 miglia che separano Nisida alla Gaiola, accompagnati da 10 kayak messi a disposizione da Kayak-Nautica Cafarelli, che seguiranno tutto il percorso di gara raccogliendo ciascuno almeno “3 pezzi” di plastica in mare. A fornire un grande contributo alla “caccia”, saranno i componenti della squadra che gireranno a piedi nel parco Virgiliano e nell’area limitrofa alla Gaiola con lo scopo di raccogliere quanti più rifiuti di plastica possibile trovata a terra.


Tra i sostenitori della manifestazione e dell’associazione N’Sea Yet, nomi celebri dal mondo dello sport e dello spettacolo: Massimiliano Rosolino, campione Olimpico di nuoto, MariaFelicia Carraturo, record del mondo di apnea e madrina dell’evento, e la cantante Malika Ayane. Non manca il supporto istituzionale dell’Assessore allo Sport e alle Pari Opportunità del Comune di Napoli Emanuela Ferrante, dell’Assessore all’Ambiente e al Mare Paolo Mancuso, dell’Assessore al Verde Vincenzo Santagada e dell’Assessore al Welfare Luca Trapanese.
L’evento è stato realizzato in collaborazione con UISP Napoli (Unione Italiana Sport Per tutti), Area Marina Protetta Parco Sommerso di Gaiola, e con la partecipazione delle associazioni Let’s do it! Italy, Cleanap, Round Table, CSI Gaiola onlus, FAI e di una delegazione di ragazzi dell’Istituto Penale Minorile di Nisida che parteciperà alla “caccia” a terra.
Il fischio d’inizio della gara, sia alla spiaggia di Nisida che al Parco Virgiliano, sarà alle ore 10.00. Vincerà la squadra che avrà raccolto più plastica, calcolando anche il tempo raggiunto dall’atleta nel corso della gara di nuoto.

 

Enrico Mango – Round Table Napoli
Vincenzo Capasso – Let’s Do it Italy
Ilaria Vannino – Volontaria N’Sea Yet
Ulderico Catania – Segretario ACMRC (Associazione Cardiomiopatie e Malattie Rare Connesse)
Federico Calvino- Presidente UISP Napoli
Daniela Fierro – Giudice Internazionale UISP
Dario Catania – Presidente N’Sea Yet
Francesca Moleti – Segretario N’Sea Yet
Maurizio Simeone – Direttore AMP Parco Sommerso di Gaiola
Mariafelicia Carraturo – record mondiale di apnea “assetto variabile con monopinna”
Paola Masucci – Presidente CSI Gaiola Onlus
Paola Speranza – Coordinatrice Area tecnica dell’Istituto Penale Minorile di Nisida

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Copernicus, marzo 2024 il mese più caldo mai registrato

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Il marzo del 2024 è stato il mese di marzo più caldo mai registrato. Lo rende noto il servizio meteo della Ue Copernicus. La temperatura media globale il mese scorso è stata di 14,4°C, superiore di 0,73°C rispetto alla media del trentennio 1991 – 2020 e di 0,10°C rispetto al precedente record di marzo, quello del 2016. Il mese inoltre è stato di 1,68°C più caldo della media di marzo del cinquantennio 1850 – 1900, periodo di riferimento dell’era pre-industriale. Secondo Copernicus, il marzo 2024 è il decimo mese di fila che si classifica come il più caldo mai registrato.

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Ecdc-Efsa, rischio diffusione dell’aviaria su larga scala

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Si alza il livello di attenzione sull’influenza aviaria da virus A/H5N1. Dopo tre anni che l’agente patogeno circola in maniera particolarmente sostenuta tra uccelli selvatici e di allevamento, infettando anche mammiferi ed espandendo la sua area di diffusione, da poco più di una settimana gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti, dove si segnalano infezioni in allevamenti di mucche da latte. Al momento sono interessati una dozzina di allevamenti dislocati in cinque stati (Texas, Kansas, Michigan, New Mexico, Idaho). Il primo aprile, poi, i Centers for Disease Control and Prevention hanno diffuso la notizia che anche un uomo ha contratto l’infezione; le sue condizioni sono buone.

Ad oggi si ritiene che sia gli animali sia l’uomo abbiano contratto l’infezione attraverso il contatto con uccelli infetti. Secondo le autorità americane questi casi non cambiano il livello di rischio, che resta basso per la popolazione generale. Tuttavia, i segnali di allarme si moltiplicano. In un rapporto pubblicato mercoledì, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa), avvertono: “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.

Fino a oggi, le infezioni nell’uomo sono poche (circa 900 dal 2003) e del tutto occasionali. Non ci sono prove di trasmissione tra mammiferi, né da uomo a uomo. Tuttavia, la congiuntura invita alla massima attenzione. In piena pandemia, nel 2020, è comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione.

Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti. Anche i fattori ambientali giocano a suo favore: i cambiamenti climatici e la distruzione degli habitat, influenzando le abitudini degli animali e intensificando gli incontri tra specie diversa, fanno crescere ulteriormente le probabilità che il virus vada incontro a modifiche.

Nonostante ciò, al momento non ci sono dati che indichino che A/H5N1 abbia acquisito una maggiore capacità di infettare l’uomo. Tuttavia, se questa trasformazione avvenisse saremmo particolarmente vulnerabili. “Gli anticorpi neutralizzanti contro i virus A/H5 sono rari nella popolazione umana, poiché l’H5 non è mai circolato negli esseri umani”, precisano le agenzie. Per ridurre i rischi Ecdc ed Efsa invitano ad alzare la guardia, rafforzando le misure di biosicurezza negli allevamenti, limitando l’esposizione al virus dei mammiferi, compreso l’uomo, e intensificando la sorveglianza e la condivisione dei da

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Da 20 anni aria più pulita in Europa, ma non basta

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Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).

Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.

Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.

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