Se gli addetti alle consegne si facevano male durante il lavoro si evitava “di chiamare l’ambulanza e l’infortunato” veniva “portato in ospedale da una persona di fiducia”. E’ solo uno dei dettagli che emergono dai verbali dei lavoratori che sarebbero stati “sfruttati” da Brt, storica azienda italiana, la ex Bartolini, attiva nelle spedizioni. Un colosso della logistica, leader del settore, che dopo indagini già in corso su una presunta maxi frode fiscale e per caporalato, oggi è finito in amministrazione giudiziaria, decisa dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, presieduta da Fabio Roia. Un amministratore giudiziario “per un anno” dovrà affiancare il management societario e così è stato deciso, sempre a seguito degli accertamenti del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano, coordinati dal pm Paolo Storari, anche per Geodis, società dello stesso settore.
Sia Brt che Geodis, controllate da due diversi gruppi francesi, erano state già oggetto di sequestri, per un totale di circa 126 milioni di euro nei mesi scorsi, per la gestione, ritenuta illecita, dei cosiddetti “serbatoi di manodopera”, ossia lavoratori messi a disposizione, senza tutele, da società intermediarie e cooperative per le due grandi aziende. Indagini sui settori del trasporto e del facchinaggio e che hanno già portato il pm Storari a disporre sequestri e ottenere provvedimenti analoghi su altre imprese. Le verifiche da parte della Procura solo sul fronte di Brt riguardano “controlli di transumanza”, ovvero il passaggio da una cooperativa all’altra in rapporti con l’azienda, su quasi 3mila fornitori di manodopera per una “forza lavoro” in totale di “26.105 autisti”. Nel provvedimento dei giudici (Rispoli-Cernuto-Spagnuolo Vigorita) vengono riassunte le dichiarazioni di decine di lavoratori: non avevano diritto a “visite mediche”, né a “corsi di formazione” e dovevano contribuire a volte per comprarsi anche il “furgone”.
Passavano da una “cooperativa all’altra”, si legge, perdendo “ogni diritto di carattere economico”, come gli scatti di anzianità. Non venivano pagati durante le “ferie” e niente “tredicesima”. Il versamento “dello stipendio”, hanno raccontato, veniva qualificato “come ‘trasferta Italia’ in modo da evitare il pagamento dei contributi”. In alcuni casi venivano pagati solo “a cottimo”. Ed era, poi, una persona chiamata “caporale dei caporali”, scrivono i giudici, a scegliere i capi delle varie cooperative su “base etnica”. Un “sistema” almeno decennale, scrive il Tribunale, che “ha consentito a Brt di risparmiare a tutto detrimento dei lavoratori e dell’Erario” 100milioni di euro all’anno. “Quella attuata da Brt – ha messo a verbale una sindacalista, che ha detto di aver subito anche un tentativo di corruzione – deve essere considerata una chiara forma di intermediazione e interposizione di manodopera, poiché (…) tutti gli autisti delle società fornitrici di Brt, anche i cosiddetti finti padroncini o ibridi (…) dipendono direttamente da Brt”.
Il teste ha riferito che “si assiste a un forma di sfruttamento di questa tipologia atipica di lavoratori”, che ci sono “corrieri che lavorano da più di vent’anni presso le filiali Brt, seppure questa circostanza non sia mai stata certificata” e che devono accettare “turni massacranti”. La “maggior parte – si legge nel verbale – non sono di nazionalità italiana” e sono “soggetti in difficoltà economica”. Agli atti anche l’interrogatorio reso dall’ad di Brt Costantino Dalmazio Manti (tra gli indagati assieme al presidente Giorgio Bartolini), il 6 marzo, dal quale risulta aver “ammesso di aver ricevuto denaro dal 2016 al 2022 da alcuni fornitori della Brt” per farli lavorare. Secondo le indagini, potrebbe aver ricevuto quasi un milione di euro. Sempre a verbale le dichiarazioni di un “consulente giuslavorista della Brt” che ha parlato del “meccanismo di gestione degli appalti in Brt” e pure di “200mila euro” incassati “dal Manti” e poi “girati alla moglie”.