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Brexit in bilico, il piano di Theresa May non piacre: domani si vota e il rischio è la sfiducia e il ritorno alle urne senza accordo con l’Ue

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Se il Parlamento non approverà il piano concordato con Bruxelles è probabile che la Brexit non si farà affatto perchè i parlamentari britannici sono adesso più propensi a bloccarla piuttosto che abbandonare la Ue senza un accordo: è il messaggio che la premier britannica Theresa May porterà oggi agli operai di una fabbrica di Stoke-on-Trent, dove terrà un ultimo discorso prima del fatidico voto di domani ai Comuni. Secondo quanto riportano i media britannici, May dirà inoltre che una bocciatura del piano distruggerebbe la fiducia nella politica: “Chiedo ai parlamentari di valutare le conseguenze delle loro azioni sulla fiducia del popolo britannico nella nostra democrazia”, sosterrà la premier, secondo quanto riporta il Guardian. Come è noto, il leader del Labour Jeremy Corbyn ha detto che il suo partito voterà contro il piano della May e avvierà le procedure per elezioni anticipate se l’accordo verrà bocciato domani.

May e’ attesa alla Camera dei Comuni da un ultimo intervento anticipato a oggi pomeriggio. E si tiene in tasca per l’ultimo appello di fronte ai deputati l’annuncio di una qualche rassicurazione ulteriore che – secondo la Bbc – ritiene di aver ricevuto a Bruxelles sulla transitorieta’ del cosiddetto backstop: il meccanismo di garanzia sul confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord contestato da molti nella sua maggioranza, dove al momento il suo accordo rischia di essere travolto in base a diverse stime mediatiche dal no anche di un centinaio di deputati Conservatori, oltre che dei 10 alleati unionisti nordirlandesi del Dup. Di qui l’allarme della premier e il tentativo di coinvolgere l’opinione pubblica con il discorso oggi nelle fabbrica di Stoke-on-Trent, dopo l’articolo dai contenuti analoghi scritto ieri per il Sunday Express. Allarme che si traduce in un atto di accusa contro quei deputati che – dice May – mirano “a rinviare o persino a bloccare la Brexit”. “Tutti abbiamo il dovere di attuare il risultato del referendum”, sostiene invece la premier, avvertendo che in caso di bocciatura del suo accordo il rischio di una ‘no Brexit’ diventerebbe piu’ immediato di quello di un ‘no deal’, un traumatico divorzio senz’accordo.

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L’Iran e gli alleati celebrano il massacro di ebrei

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Razzi e anatemi: così il sedicente ‘asse della resistenza’, o quel che ne resta, ha celebrato i massacri in Israele di un anno fa, costati la vita a centinaia di civili inermi. Da Teheran, che tira le fila dell’alleanza, stavolta non sono partiti missili ma i velenosi commenti della Guida Suprema iraniana che ha deciso di pubblicare su X – che in Iran è ufficialmente vietato – un messaggio in ebraico. “L’operazione diluvio di Al-Aqsa ha riportato il regime sionista a 70 anni fa”, ha scritto Ali Khamenei, o presumibilmente il suo staff visto che è difficile immaginare l’85enne leader intento a cinguettare sul web.

Nel corso della giornata, un lungo comunicato del ministro degli Esteri della Repubblica islamica ha celebrato il 7 ottobre 2023 come “un punto di svolta nella storia della legittima lotta del popolo palestinese contro l’occupazione e l’oppressione del regime sionista”. L’attacco è stato “l’esplosione della rabbia storica repressa del popolo palestinese contro otto decenni di occupazione, uccisioni e genocidio”.

Intanto da Gaza Hamas tentava senza successo di lanciare un ampio sbarramento di razzi contro Israele: i caccia dello Stato ebraico hanno colpito lanciarazzi e tunnel, alla fine i seguaci di Yahya Sinwar hanno sparato solo quattro ordigni, tre intercettati e il quarto precipitato in un campo. Ieri il numero due Khalil al-Hayya dal Qatar aveva sentenziato in un videomessaggio che “il compimento del glorioso 7 ottobre ha infranto le illusioni che il nemico si era creato, convincendo il mondo e la regione della sua presunta superiorità e capacità”. Oggi è tornato a farsi sentire anche Khaled Meshaal, convinto che l’operazione abbia “riportato Israele al punto zero e minacciato la sua esistenza”.

Da Hezbollah a metà giornata erano partiti almeno 135 razzi, facendo risuonare per ore le sirene di allarme nel nord di Israele. I miliziani hanno reiterato le minacce promettendo di continuare a combattere perché Israele “è un cancro che deve essere eliminato”. Il partito di dio libanese però deve intanto fare i conti con la sua fragile leadership, decimata dagli attacchi israeliani: Ibrahim Amin al-Sayyed, capo del consiglio politico di Hezbollah, potrebbe essere nominato successore di Hassan Nasrallah, ucciso a Beirut a fine settembre. Secondo le fonti dell’autorevole Asharq al Awsat, il partito è attualmente guidato da una “leadership collettiva” dopo la probabile morte di Hashem Safieddine in un attacco israeliano giovedì scorso.

Mentre il comandante supremo della Forza Quds Esmail Qaani, che secondo alcuni si sarebbe trovato nello stesso bunker di Safieddine preso di mira dai missili israeliani, sarebbe invece “in buona salute”, secondo quanto riferito dal suo vice Iraj Masjedi. Domenica due alti funzionari della sicurezza iraniana avevano riferito a Reuters di aver perso i contatti con Qaani dagli attacchi a Beirut della scorsa settimana.

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Israele ricorda il 7 ottobre, ma la guerra non si ferma

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Da un lato della recinzione cominciava la commemorazione delle vittime, dall’altro Hamas – seguendo un copione simbolico – lanciava dal sud della Striscia quattro razzi verso le comunità meridionali israeliane. Una mossa che porta la firma di Yahya Sinwar, evidentemente vivo e vegeto come ha confermato un report saudita in serata. Tre ore e mezza più tardi nella mattinata, una raffica di razzi Maqadmeh M90 è stata sparata da Gaza su Tel Aviv. Certo, nulla in confronto alle 5.000 bombe tirate in sequenza su Israele il 7 ottobre 2023. Ma è il messaggio che conta, secondo Hamas. “L’attacco dell’anno scorso ha riportato Israele al punto zero”, ha dichiarato l’alto funzionario politico rifugiato in Qatar Khaled Meshaal.

Pienamente allineato Ali Khamenei, la guida supera dell’Iran: “L’operazione alluvione Al-Aqsa ha riportato il regime sionista a 70 anni fa”, ha scritto su X in lingua ebraica. Poi le brigate al Qassam, braccio armato del gruppo fondamentalista dell’enclave, hanno rivendicato i Maqadmeh M90. Hezbollah, dal Libano, ha preso la palla al balzo per dire la sua in questa giornata che ricorderà per sempre la sconfitta di Israele, promettendo di continuare a combattere “l’aggressione dello Stato ebraico, un’entità cancerosa che deve essere eliminata”.

Nel mentre i suoi miliziani hanno continuato a lanciare decine di razzi sul nord di Israele. L’altro alleato di Teheran, il gruppo yemenita Houthi, non è stato da meno nell’accerchiamento: nel pomeriggio decine di sirene d’allarme sono scattate a Tel Aviv e in decine di località del centro del Paese per un missile terra-terra lanciato dallo Yemen. In tarda mattinata, il primo ministro Benyamin Netanyahu, in riunione con il governo per la ricorrenza, ha chiesto che la guerra in corso contro Hamas e Hezbollah venga chiamata ‘Guerra della rinascita’, cambiando il nome della campagna militare denominata finora ‘Spade di ferro’: “Questa è una guerra per la nostra esistenza. Il contrattacco contro i nostri nemici dell’asse del male dell’Iran è una condizione necessaria per garantire il nostro futuro e la nostra sicurezza”, ha dichiarato.

Durante l’incontro, Netanyahu ha acceso una candela in onore delle vittime, poi un minuto di silenzio. Dopo la recita di salmi e una preghiera per i soldati dell’Idf e gli ostaggi, i ministri hanno visto i filmati delle atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre. Il Forum delle famiglie ha rilasciato una dichiarazione in risposta alle parole di Bibi: “Vorremmo ricordare al premier che non può esserci e non ci sarà alcuna rinascita senza il ritorno di tutti gli ostaggi”. Dagli Usa intanto sono arrivate le parole di Matthew Miller, del Dipartimento di Stato, il quale rispondendo alla domanda se gli Stati Uniti sostengano la fine della campagna di Israele contro Hamas a Gaza, ha affermato che l’amministrazione non è per un cessate il fuoco unilaterale da parte di Israele, ma piuttosto per un accordo con Hamas che comporterebbe il rilascio dei restanti 101 ostaggi a Gaza.

Alla Casa Bianca anche Joe Biden e la first lady Jill hanno tenuto una cerimonia di accensione delle candele. Di fatto, le commemorazioni e i ricordi in patria, come in tutti i Paesi alleati di Israele, non hanno fermato neppure per un momento le operazioni militari dell’Idf contro Hamas e Hezbollah. Per quanto riguarda i piani relativi al terzo fronte, quello dell’Iran, nulla è trapelato su tempi, modi e obiettivi di un’operazione che si continua a considerare imminente. Mentre da Teheran è filtrata una sinistra minaccia nucleare. “In base ai principi islamici – ha scritto la rivista dell’ufficio di rappresentanza di Ali Khamenei nelle Guardie rivoluzionarie – non è consentito costruire e utilizzare armi nucleari, e l’Iran ha sempre annunciato che non lo farà. Ma se ci sarà la necessità di proteggere le vite, la proprietà e l’onore dei musulmani e del popolo iraniano, Teheran prenderà le misure necessarie e certamente rivedrà la sua politica”.

In serata l’Idf ha annunciato che circa 100 aerei da combattimento hanno lanciato una vasta ondata di attacchi aerei contro più di 120 obiettivi di Hezbollah nel Libano meridionale. Così come sono continuati i raid nella zona sud di Beirut, sei di seguito, dove si trovano i centri di comando del gruppo sciita. Quindi è arrivato l’avvertimento per i civili libanesi, un “avviso urgente” alle persone a nord di Sidone di spostarsi dalla costa verso sud poiché la Marina israeliana inizierà presto a operare contro Hezbollah dal mare. “Israele sta usando l’Unifil come scudi umani”, hanno denunciato da parte loro i miliziani, sostenendo di aver ordinato ai loro combattenti di non attaccare le truppe dell’Idf che si sarebbero spostate dietro a una posizione dei peacekeeper Onu vicino a un villaggio di confine libanese.

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Saied rieletto presidente in Tunisia con quasi il 90% dei voti

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Saied presidente Tunisia

Kais Saied, il 66enne docente di diritto costituzionale salito al potere come sedicente difensore della Tunisia da asseriti complotti interni ed esteri, ha conquistato un secondo mandato presidenziale. Un voto scontato – vista l’esclusione di quasi tutti gli avversari – che ha visto il presidente, accusato da più parti di “deriva autoritaria”, incassare l’89,2% dei consensi secondo la società Sigma Conseil. Un dato che probabilmente non si discosterà di molto dai risultati ufficiali. Una vittoria schiacciante che gli è stata però consegnata da una minoranza del popolo tunisino: solo il 27,7% si è recato alle urne, secondo l’autorità elettorale Isie. E’ il dato più basso dall’avvento della democrazia nel 2011.

Addirittura i giovani, che si erano fortemente mobilitati cinque anni fa, hanno disertato le urne, con un 6% di votanti nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni, rispetto al 65% nella fascia tra i 36 e i 60 anni, sempre secondo l’Isie. Solo due concorrenti — figure di secondo piano — erano stati autorizzati a candidarsi sui 17 aspiranti candidati iniziali, dopo l’eliminazione dei rivali più temibili. Ayachi Zammel, un industriale liberale di 47 anni sconosciuto al grande pubblico fino a poco tempo fa, ha ottenuto il 6,9%, mentre l’altro candidato, Zouhair Maghzaoui, 59 anni, ex deputato della sinistra panarabista, ha ottenuto un misero 3,9%. Zammel, oltretutto, non ha potuto fare campagna elettorale poiché è incarcerato da inizio settembre ed è già stato condannato tre volte a oltre 14 anni di prigione per presunte falsificazioni delle firme a sostegno della sua candidatura.

Ong tunisine e internazionali hanno denunciato già in campagna elettorale l’Isie “che ha perso la sua indipendenza” e un processo “manipolato a favore di Saied”. E’ stato infatti questo organismo a escludere quasi tutti i potenziali avversari dalla corsa elettorale. L’ascesa di Saied, nel 2019, era stata sostenuta da molti tunisini – prese il 73% dei voti con un’affluenza del 58% – stanchi dei continui e sterili conflitti parlamentari e delle difficoltà economiche, che il presidente aveva attribuito regolarmente ai “politici corrotti” finanziati da “potenze straniere”, dominatori del decennio democratico, prendendo di mira soprattutto il movimento islamico-conservatore Ennahdha. Ma invece di rilanciare la crescita per combattere una disoccupazione endemica che alimenta i flussi migratori verso l’Europa, il presidente ha dedicato la sua energia, secondo l’opposizione e le ong, a reprimere la società civile in una “deriva autoritaria”.

Dalla primavera del 2023, infatti, più di una ventina di oppositori, tra cui il leader di Ennahdha Rached Ghannouchi, sono stati incarcerati. Negli ultimi mesi, anche sindacalisti, avvocati, commentatori politici e difensori dei diritti dei migranti si sono ritrovati in prigione. E ora in molti temono che le cose possano addirittura peggiorrare, visto che Saied ha già annunciato di voler “proseguire la rivoluzione del 2011”: “Costruiremo come vuole la gente e ripuliremo il Paese da tutti i corrotti e dai cospiratori, e non esagero quando dico cospiratori”, ha detto trionfante dopo l’uscita degli exit poll.

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