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Spettacoli

Brangelina, dopo otto anni arriva il divorzio tra Brad Pitt e Angelina Jolie

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Dopo un'”estenuante” battaglia legale di otto anni, è finalmente tregua tra Angelina Jolie e Brad Pitt. I due attori hanno firmato l’accordo di divorzio, ma gli avvocati delle parti continuano ad essere sul piede di guerra: resta infatti aperto il contenzioso su Chateau Miraval, la tenuta e azienda vinicola francese da 164 milioni di dollari acquistata dalla ex coppia in comune e da tempo al centro di una disputa dopo che nel 2021 la Jolie ha venduto la sua quota a Tenute nel Mondo, la divisione vinicola del Gruppo Stoli cui fanno capo etichette di gran pregio come Masseto, Luce e Ornellaia. Angelina è “esausta” ma “sollevata” che questa fase della battaglia sia finita: “Vuole concentrarsi sulla ricerca di pace e guarigione per la famiglia”, ha detto a People l’avvocato dell’attrice James Simon, mentre una fonte vicina a Brad Pitt ha confidato al New York Post che è stata la nuova compagna dell’attore, Ines de Ramon, a convincere il premio Oscar a firmare: “Vuole avere una vita con lui, forse anche dei figli, senza l’ombra della Guerra delle Rose sulla sua testa”.

Brad ha 61 anni, Angelina ne compie 50 quest’anno. Ex ambasciatrice dell’Onu per i rifugiati e da ultimo in odore di Oscar come protagonista del film Maria su Maria Callas, Jolie aveva chiesto il divorzio da Pitt nel settembre 2016 e da allora la coppia si era pesantemente scontrata sulla custodia dei figli e su altre dispute economiche, in primo luogo quella ancora aperta su Chateau Miraval: Brad avrebbe voluto comprare la sua quota ed era rimasto di sasso quando Angelina si era tirata indietro “in modo vendicativo” e “illegale”, secondo l’attore, rovinando la magia di quella che lui considerava come “una seconda casa”. Pitt e Jolie si erano messi assieme 20 anni fa dopo il colpo di fulmine sul set di Mr. & Mrs. Smith che aveva posto fine al matrimonio di lui con Jennifer Aniston. Brad era alle seconde nozze, Angie alle terze avendo già sposato Jonny Lee Miller e Billy Bob Thornton. Nel 2014, dopo anni di convivenza, era arrivato il fatidico sì proprio a Chateau Miraval, seguito, dopo solo due anni, dall’annuncio della separazione.

L’attrice aveva accusato Pitt di essere stato violento nei suoi confronti e nei confronti dei sei figli (tre adottati) Maddox, 22 anni, Zahara, 19 anni, Pax, 20 anni, Shiloh, 18 anni, e i gemelli Knox e Vivienne, 16, durante un viaggio su un jet privato dall’Europa. In seguito l’ex coppia d’oro di Hollywood, per cui fu coniato il termine ‘Brangelina’, aveva firmato un accordo per la privacy dei figli e della famiglia. Nel 2018 era stata raggiunto una prima intesa sulla custodia della prole. Nel 2019 i due erano stati dichiarati “legalmente single”. Ora il divorzio: secondo documenti visionati da Tmz, Angelina avrebbe rinunciato agli alimenti, mentre non si fa menzione della sorte di Knox e Vivienne, che non hanno ancora raggiunto la maggiore età. Shiloh e Zahara al compimento del 18/o anno hanno ufficialmente cancellato il nome Pitt dal cognome, mentre Vivienne ha fatto lo stesso informalmente sui crediti dello spettacolo di Broadway The Outsiders, firmando solo con il cognome della madre accanto al suo ruolo di assistente alla produzione.

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Spettacoli

Bobby Solo, gli 80 anni dell’Elvis Presley italiano

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I milioni di dischi venduti, i festival di Sanremo vinti, i brani entrati nella storia della musica italiana. Più di sessant’anni di carriera, a iniziare dal 1964, quando – giovane artista in cerca di gloria e con sole 10mila lire in tasca – sparigliò le carte a Sanremo con Una Lacrima sul Viso, in coppia con Frankie Laine (cantata in playback, il primo nella storia della rassegna – e per questo non vinse -, a causa di una laringite).

Bobby Solo il 18 marzo spegne le 80 candeline. E lo fa nell’unico modo che conosce: sul palco, con un concerto speciale il 20 marzo a Pordenone, sold out, e con un nuovo album in arrivo di cui ha raccontato le fase di realizzazione sui suoi profili social. Perché in fondo l’età è soltanto un numero e, come disse dieci anni fa in occasione dei 70, “non mi importa nulla di compiere gli anni”, ispirandosi a un filosofo indiano che sosteneva che rimpiangendo il passato e temendo il futuro si nuoce al presente.

Ma il passato è anche il suo presente. Vera star negli anni Sessanta, a contendersi i fan con Little Tony, acerrimo rivale sul palco ma caro amico nella vita, entrambi affascinati dal mondo musicale di Elvis Presley. E proprio pensando ad oltreoceano aveva scelto come nome d’arte Bobby, dall’originario Roberto (il padre Bruno, colonnello dell’aeronautica, gli aveva vietato di usare il cognome Satti). O forse fu Vincenzo Micocci, uno dei grandi della discografia italiana che lo aveva messo sotto contratto con la Dischi Ricordi. Di certo è che ‘Solo’, fu aggiunto per sbaglio da una fin troppo solerte segreteria della casa discografica che sentendo “Bobby, solo Bobby”, pensò bene di attribuire al giovane artista nome e cognome. Ma ‘solo’ non lo fu mai per davvero: amato in Italia e all’estero, ha attraversato i decenni.

Soltanto nel 1964, al debutto, vendette due milioni di dischi con Una Lacrima sul Viso, che aveva testo di Mogol e musiche sue, ma non l’aveva firmato perché minorenne: solo nel ’91 è riuscito a riaverne i diritti. Nonostante abbia sempre cercato di guardare avanti, criticando i colleghi rimasti ai fasti del passato, il suo personaggio resta legato agli anni ’60, a quel suo modo rassicurante di interpretare il rock’n’roll senza concedere troppo al suo lato più trasgressivo e dichiaratamente sessuale. Agli indiscutibili successi: il 1965 gli porta la prima vittoria a Sanremo con Se Piangi Se Ridi, nel 1966 esce Non C’è Più Niente da Fare (scelta come sigla della trasmissione TuttoTotò), nel 1969 nuova vittoria a Sanremo, insieme a Iva Zanicchi, con Zingara.

Più difficili gli anni Settanta, come lo stesso artista ha ammesso, con l’avvento dei cantautori. È riuscito a riemergere grazie al brano Gelosia (Sanremo ’80) e, complice la tv, al revival. Nel 1982, con Rosanna Fratello e Little Tony, ha formato i Ro.Bo.T. La sua carriera rimane sospesa tra l’inevitabile ricordo del passato e la sua voglia di rimanere legato alle vecchie radici della sua passione per la musica: il rock’n’roll, il blues, il country. Un’occasione per ripercorrerla gli sarà offerta domani da Mara Venier a Domenica in, con uno spazio speciale dedicato ai suoi 80 anni.

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In Evidenza

Yvonne Sciò: «Da Non è la Rai a Hollywood, ora racconto le donne con i miei documentari»

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Chiunque abbia vissuto tra gli anni ‘80 e ‘90 ricorda la sua voce squillante nello spot della SIP: «Mi ami, ma quanto mi ami?». Yvonne Sciò (foto Imagoeconomica in evidenza), oggi 55enne, è stata un’icona di quegli anni, ma la sua carriera è andata ben oltre quel tormentone pubblicitario. Attrice, produttrice e regista di documentari, la Sciò ha viaggiato tra Italia, Hollywood e Spagna, costruendo un percorso variegato e ricco di esperienze.

Oggi vive a Roma, in una casa tappezzata di ricordi: foto in bianco e nero con i fratelli Taviani, immagini scattate dal leggendario Slim Aarons e una lettera affettuosa della figlia sedicenne. La sua ultima fatica è “Womeness”, un documentario sul femminismo trasmesso su SkyArte, dove racconta storie di donne che hanno sfidato le convenzioni.

Dal successo televisivo all’America: il bisogno di libertà

Yvonne racconta al Corriere della Sera il suo esordio quasi per caso:
«A cinque anni posavo per Vogue Bambino, mia madre era giornalista di moda e mi ha fatto entrare in questo mondo», spiega. «Poi lo spot della SIP mi ha reso famosa, ma le suore del mio collegio dissero a mia madre che mi avrebbero bocciata se avessi continuato a lavorare. Lei rispose: è una donna, deve essere indipendente».

Dopo il grande successo popolare con lo spot, Yvonne entrò nel cast di Non è la Rai, ma durò poco: «Ci sono rimasta solo tre mesi. Mi pento di non aver firmato un contratto lungo, avrei guadagnato tanto. Ma a quell’età credevo negli ideali e volevo libertà».

Così partì per Los Angeles, dove ricominciò da zero: «L’idea che nessuno mi conoscesse mi spronava. Non volevo essere popolare, volevo essere brava. Ma troppe volte mi hanno detto che se ero bella non potevo essere anche talentuosa».

A New York recitò a teatro con John Buffalo Mailer, a Hollywood apparve nel videoclip di She’s So High di Tal Bachman, grande successo dell’epoca. Nel frattempo, imparava da una delle sue mentori, Fran Drescher, creatrice de La Tata: «Mi diceva sempre: devi fare tu, non aspettare gli altri».

Il passaggio alla regia e il documentario “Womeness”

Negli ultimi anni Yvonne Sciò ha deciso di raccontare il mondo con i suoi occhi. Dopo aver girato tre documentari, oggi è alla guida di “Womeness”, dedicato al femminismo attraverso cinque figure straordinarie:

  • Emma Bonino, arrestata per le sue battaglie
  • Bianca Menna, poetessa che si firmava con un nome maschile per essere presa sul serio
  • Sussan Deyhim, cantante iraniana testimone della repressione
  • Dacia Maraini, scrittrice simbolo del femminismo italiano
  • Setsuko Klossowski De Rola, vedova del pittore Balthus, che ha vissuto a lungo all’ombra del marito

«Cercavo donne che avessero rotto le catene», spiega Sciò. «Setsuko, ad esempio, dopo la morte di Balthus mi ha detto: ora posso vivere la mia vita, uscire, andare a ballare».

L’aneddoto su Brad Pitt e la lite con Naomi Campbell

Tra gli episodi più curiosi della sua carriera, Yvonne ricorda l’incontro con Brad Pitt:
«Mi ha sempre messo soggezione. La prima volta che lo vidi, mi guardò fisso e disse: “You look so beautiful”. Io rimasi muta, a bocca aperta. Ogni volta che ci incrociavamo mi chiedeva il numero, ma alla fine gli dissi di contattare l’Istituto di Cultura per imparare l’italiano. Pensi che genio», racconta ridendo.

Ben più spiacevole fu l’episodio con Naomi Campbell, che nel 2005 la aggredì in un hotel romano: «Non ho mai capito perché. Eravamo amiche, poi improvvisamente mi si è scagliata addosso, c’era sangue ovunque. Le ho fatto causa solo per avere delle scuse, che però non sono mai arrivate».

Vita privata e il desiderio di dimostrare qualcosa alla figlia

Oggi, Yvonne si dedica alla sua carriera da regista e produttrice, ma soprattutto a sua figlia. «Il giorno in cui ho lasciato mio marito con una bimba di quattro mesi è stato durissimo. Tutti mi dicevano: dove vai da sola? Ma ho preso un appartamentino e ho fatto tutto senza aiuti».

Oggi, il suo obiettivo è chiaro: «Voglio che mia figlia possa dire: wow, che figa è mamma! Nessuno deve dirci che non siamo capaci».

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Cinema

Associazioni del cinema in allarme, ‘siamo al collasso’

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Il mondo del cinema e dell’audiovisivo torna a far sentire la propria voce. Questa mattina l’allarme è arrivato da una ventina di associazioni del settore, tra cui Anac, 100 Autori e Air3, che hanno chiesto al governo di “fare presto” e di varare tempestivamente i decreti correttivi del tax credit e la documentazione richiesta dai giudici del Tar del Lazio sempre sulla relativa normativa. “Ormai da un anno il settore del cinema e dell’audiovisivo vive nell’incertezza del suo futuro. Questo è un lavoro da cui dipendono famiglie intere, eppure più del 70% delle maestranze, attori e autori sono senza occupazione, molti da più di un anno, quasi tutti senza prospettive di lavoro davanti a sé. Ogni giorno in più di rimando è un pezzo del settore che sparisce per sempre – si legge nell’appello -. Non possiamo permetterci di aspettare oltre: il settore ha bisogno di risposte concrete e tempestive per evitare il collasso”.

A rispondere è stata subito Lucia Borgonzoni, sottosegretaria alla Cultura, assicurando, durante la presentazione a Roma dell’Italian Global Series Festival, che sul tax credit “è tutto a posto, procederemo a breve. Era stata depositata al Tar una richiesta, l’udienza è stata spostata a maggio. Presto pubblicheremo l’ultimo correttivo”. Attaccata dai componenti del Pd della Commissione Cultura della Camera, che indicano il ministro Alessandro Giuli, l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la stessa Borgonzoni come responsabili del “disastro” di cinema e audiovisivo, la sottosegretaria ha affermato: “Allora se dovessimo guardare il problema che c’è stato nell’audiovisivo viene da un governo di prima, mi dispiace dire che è Franceschini, perché queste modifiche andavano fatte molto prima”, ha sottolineato, “io con Franceschini ho lavorato bene per tante cose, lui non ha voluto fare le modifiche che andavano fatte nonostante all’allarme lanciato anche dagli uffici a suo tempo, perché ovviamente è molto più semplice lasciare la palla al governo che viene dopo”.

“Comunque, le produzioni ci sono, i set aperti sono 37. Mi dispiace che si lanci un allarme da parte di Pd e 5 stelle che continuano a cavalcare questa cosa dando l’idea anche agli operatori internazionali che vengono a lavorare in Italia che qui ci siano dei problemi, che non ci sono soldi e che nessuno sta girando. Stanno facendo un danno al settore. Mi piacerebbe che parlassero con le associazioni davvero rappresentative del settore per chiedere se stanno girando oppure no. E la risposta credo sarebbe diversa”, ha concluso. Sul tema è intervenuta a smorzare i toni Chiara Sbarigia, presidente Associazione Produttori Audiovisivi, che, pur condividendo la preoccupazione sul tax credit, ha evidenziato che “i set sono aperti. Terrei più basso l’allarme e cercherei di sburocratizzare il tax credit: noi abbiamo seguito l’iter di riforma, abbiamo dato suggerimenti, ma credo che il problema riguardi il cinema con le produzioni più piccole, non l’audiovisivo”.

Il dibattito però si è infiammato, con la controreplica di Pd e M5s: “il cinema è malato ma il governo ha deciso di ucciderlo”, ha ribattuto Sandro Ruotolo, responsabile Cultura nella segreteria del Pd, mentre il cinquestelle Gaetano Amato è andato all’attacco di Borgonzoni affermando che “se ha coraggio si confronti con gli operatori del settore, parli con le vere associazioni, non solo con quelle vicine ai suoi amici. Noi siamo pronti a organizzare gli Stati Generali ‘pubblici’ del settore”. Anche tra i doppiatori italiani cresce la preoccupazione: a due settimane dalla protesta lanciata attraverso il video appello in cui 12 doppiatori hanno prestato il volto e la voce per dire ‘no’ ad un mondo in cui le espressioni artistiche saranno create da algoritmi, l’Associazione Nazionale Attori Doppiatori si è rivolta oggi a tutta l’industria audiovisiva, agli artisti, alle istituzioni e al pubblico per chiedere appoggio contro l’uso incontrollato dell’Intelligenza Artificiale. Intanto, ieri anche la regista e sceneggiatrice Liliana Cavani aveva sottolineato l’urgenza di difendere il cinema dal predominio della televisione.

“E’ inutile che il Centro Sperimentale continui a creare professionalità se poi il cinema va a finire in tv – aveva detto Cavani -. Il futuro obbligherà ancora di più la gente a vedere i film in casa e così andrebbe fatta una campagna seria contro tutto questo”. Diversa la posizione del regista e attore Carlo Verdone: “Le preoccupazioni di Liliana Cavani sono legittime, ma non è che la gente non va più al cinema. Tanti film vanno bene. Dipende dalla bontà del film, dipende tutto da lì. Se il film non attira e non c’è passaparola allora si fa fatica. Ci vogliono i film giusti”, ha detto, affermando di condividere e appoggiare invece la richiesta di aiuto dei doppiatori.

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