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Economia

Bper e Sondrio, fissata la data delle nozze: fusione entro il primo semestre 2026

Bper e Banca Popolare di Sondrio verso la fusione: chiusura di 90 sportelli e 800 uscite volontarie. Operazione da 290 milioni di sinergie, attesa per il via libera entro il 2026.

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È ufficiale: Bper e Banca Popolare di Sondrio si preparano alla fusione. Dopo l’esito positivo dell’offerta pubblica lanciata da Bper — che ha portato l’istituto guidato da Gianni Franco Papa (foto Imagoeconomica) a detenere l’80,7% del capitale di Sondrio— i due consigli di amministrazione si riuniranno il 5 novembre per approvare il progetto di integrazione.

In quella data, le due banche esamineranno anche i conti trimestrali, ponendo così la prima pietra di un’operazione destinata a cambiare gli equilibri del settore bancario italiano.

Fusione entro il primo semestre del 2026

Secondo quanto comunicato dai due istituti, la fusione — che prevede l’incorporazione di Sondrio in Bper — dovrebbe diventare efficace entro il primo semestre del 2026, una volta ottenute le approvazioni delle assemblee straordinarie e le autorizzazioni delle autorità competenti.

La banca modenese definisce l’integrazione “una leva strategica per accelerare la crescita e massimizzare la creazione di valore per tutti gli stakeholder”, anche grazie alle sinergie di costi e ricavi stimate in circa 290 milioni di euro.

Riorganizzazione e nuova direzione per l’Alta Lombardia

Per accompagnare la nascita del nuovo gruppo, Bper ha approvato un nuovo modello organizzativo che entrerà in vigore dopo la fusione.
Il piano prevede la creazione di una nuova direzione regionale per l’Alta Lombardia, a cui si affiancherà un importante intervento di razionalizzazione della rete, con la chiusura di circa 90 sportelli localizzati principalmente nelle regioni del Centro-Nord.

Restano escluse dal ridimensionamento la provincia di Sondrio, cuore dell’istituto valtellinese, e le aree dove Bper intende preservare il marchio storico della Popolare di Sondrio, riconoscendone il valore identitario e territoriale.

800 uscite volontarie e confronto con i sindacati

La fusione porterà anche a un piano di 800 uscite volontarie tra i dipendenti di Bper e Sondrio, da realizzarsi nel corso del 2026 attraverso il fondo di solidarietà. L’istituto ha precisato che si tratta di un ricambio generazionale programmato, volto a modernizzare la struttura e sostenere la transizione organizzativa.

Un incontro tra l’azienda e le organizzazioni sindacali è già previsto per la prossima settimana: i sindacati chiederanno assunzioni compensative per mitigare l’impatto occupazionale del piano.

Un gruppo da 20 miliardi di capitalizzazione

Con questa operazione, Bper punta a consolidarsi come uno dei principali poli bancari italiani, con una capitalizzazione di circa 20 miliardi di euro e una rete nazionale più efficiente e competitiva.

L’unione con Sondrio rappresenta non solo un passo decisivo nella strategia di crescita del gruppo modenese, ma anche un segnale forte di consolidamento del sistema bancario italiano, orientato a sinergie industriali, digitalizzazione e sostenibilità nel medio-lungo periodo.

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Economia

Euro digitale vs stablecoin Usa: la sfida tra Bce, Apple e Big Tech per il futuro dei pagamenti

L’Europa accelera sull’euro digitale mentre gli Usa puntano sulle stablecoin: la sfida tra Bce, Big Tech e amministrazione Trump ridisegna il futuro dei pagamenti digitali.

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L’amministrazione Trump ha concentrato la sua strategia sulle stablecoin ancorate al dollaro, con il timore europeo che Amazon, Facebook o altre piattaforme Usa possano diventare la porta d’ingresso per una diffusione massiccia degli asset crypto in Europa.
Secondo una fonte finanziaria, il negoziato transatlantico appare fragile: «è come costruire una casa sulle sabbie mobili», viene spiegato, viste le posizioni volubili della controparte americana.

La risposta europea: l’euro digitale entro il 2029

La Bce corre contro il tempo per lanciare entro il 2029 l’euro digitale, uno strumento pensato per:

  • mantenere una moneta pubblica contro l’offensiva delle stablecoin;

  • ridurre la dipendenza dalle carte di credito statunitensi;

  • frenare l’espansione di PayPal, Apple Pay e Big Tech nei pagamenti europei.

L’euro digitale avrà due modalità d’uso:

  1. App su smartphone

  2. Card fisica, simile a una carta di credito

Sarà denaro vero, un “contante dematerializzato” con due tasche: una online e una offline, la seconda costruita su token conservati fisicamente nel telefono, trasferibili avvicinando due dispositivi e garantendo anonimato totale.

Apple nel mirino: la battaglia sull’antenna NFC

Per i pagamenti offline la Bce punta tutto sull’antenna NFC del telefono, ma su iPhone l’accesso al secure element è sempre stato chiuso.
La bozza legislativa europea prevede che tutti i produttori, quindi anche Apple, debbano aprire l’hardware necessario all’euro digitale.

Il Digital Markets Act ha definito Apple un gatekeeper, permettendo alla Commissione europea di imporre l’apertura dell’NFC. In caso contrario, Cupertino rischierebbe persino l’accesso al mercato europeo, che vale il 35% della sua presenza globale.

Le tensioni strategiche

La partita è delicata su entrambi i fronti:

  • Per gli Usa, le stablecoin sono un vettore geopolitico del dollaro.

  • Per l’Europa, l’euro digitale è un argine alla penetrazione americana nei pagamenti.

  • Per Apple, aprire l’ecosistema significa cedere un vantaggio competitivo, ma l’App Store potrebbe guadagnare dai servizi collegati all’euro digitale.

Il confronto si annuncia lungo e complesso, con la Bce determinata a non farsi superare dai colossi tech e dalle mosse di Washington.

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Economia

Eurozona, previsioni d’autunno migliori del previsto: Bruxelles vede crescita oltre l’1% nel 2025

La Commissione europea si prepara a rivedere al rialzo le previsioni d’autunno: la crescita dell’eurozona nel 2025 potrebbe tornare sopra l’1%. Restano incognite geopolitiche, da Trump alla guerra in Ucraina.

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Nonostante un contesto geopolitico fragile, l’eurozona potrebbe crescere più del previsto. La Commissione europea presenterà lunedì le nuove previsioni economiche d’autunno, e rispetto a maggio il quadro appare più luminoso.

Le anticipazioni di Bruxelles

Il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis ha anticipato il filo conduttore delle nuove stime: nel 2025 l’economia dell’area euro “sta registrando risultati migliori delle aspettative e continua a generare crescita”, pur tra ostacoli significativi.

Dalle stime al ribasso al ritorno dell’ottimismo

A maggio la Commissione aveva rivisto al ribasso le previsioni: +0,9% per l’eurozona nel 2025 e +1,4% nel 2026. A pesare era stata la guerra dei dazi con gli Stati Uniti.
L’accordo raggiunto in luglio in Scozia tra Ursula von der Leyen e Donald Trump su una tariffa standard del 15% ha però riportato stabilità. È possibile — in attesa dell’annuncio ufficiale — che le nuove stime riportino la crescita dell’eurozona oltre l’1%.

Le indicazioni di Bce, Ocse ed Eurostat

A settembre la Bce era già stata più ottimista, assegnando un +1,2% all’eurozona nel 2025. Stesse percentuali indicate dall’Ocse per il prossimo anno.
Eurostat, il 14 novembre, ha certificato un +0,2% nel terzo trimestre 2025 per l’eurozona e +0,3% per l’Ue.

Cosa Bruxelles chiederà agli Stati

La Commissione punterà a esortare i Paesi membri a fare di più:

  • semplificazione burocratica,

  • progressi sull’unione bancaria,

  • accelerazione dell’Unione dei risparmi e degli investimenti.

Il contributo dei privati sarà cruciale, come indicato dal rapporto Draghi sulla competitività, tema centrale nel summit Ue del 12 febbraio convocato da Antonio Costa.

I punti critici: Italia, Germania e variabile Trump

Restano ombre significative: Eurostat segnala crescita zero per Italia e Germania nel terzo trimestre. Berlino fatica ancora a uscire dalla crisi industriale.
Sul fronte esterno pesa il fattore Trump: secondo il negoziatore statunitense Jamieson Greer, le tariffe Ue sull’export americano restano “troppo elevate”. Greer sarà a Bruxelles la prossima settimana per un nuovo round di trattative.

Lunedì il verdetto

Le previsioni d’autunno diranno se l’eurozona potrà davvero riprendere slancio, superando il muro dell’1% e lasciandosi alle spalle un anno di incertezza economica.

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Economia

Desertificazione commerciale in Italia: 140mila negozi chiusi in dodici anni, l’allarme di Confcommercio

In dodici anni l’Italia ha perso 140mila negozi. Confcommercio lancia l’allarme: città sempre più svuotate, boom di B&B e ristorazione, rischio di altre 114mila chiusure entro il 2035.

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Il contrario di città, spiegava Renzo Piano (foto Imagoeconomica), «non è campagna, è deserto». È l’immagine che oggi descrive molti centri urbani italiani: periferie spogliate di negozi, botteghe e servizi, sostituite solo in parte da fast food, mini-market, ristoranti e bed and breakfast. Città sempre più simili a luoghi fantasma o a grandi contenitori di case vacanza.

Il crollo del commercio tradizionale

Secondo Confcommercio, negli ultimi dodici anni ha chiuso il 21% dei negozi fisici. Dal 2012 mancano all’appello 140mila attività: 118mila negozi e 23mila imprese ambulanti o artigiane migrate online. Senza interventi urgenti, un negozio su cinque rischia la chiusura, con un saldo negativo previsto del 20% nei prossimi dieci anni.

I cambiamenti nelle abitudini dei consumi

Il boom degli acquisti online — da Amazon a Temu fino a Shein — e il poco sostegno a borghi e periferie hanno modificato la struttura urbana. Cresce la ristorazione (+17,1%) e crollano i bar (-19,1%). Calano anche gli alberghi (-9,5%), mentre bed and breakfast e case vacanza esplodono con un +92,1%, destinato ad aumentare dell’81,9% entro il 2035. Le attività che lavorano prevalentemente via internet sono cresciute del 115%.

I settori più colpiti

Crollano i distributori di carburante (-42,2%), gli articoli culturali e ricreativi (-34,5%), mobili e ferramenta (-26,7%), abbigliamento e calzature (-25%). Anche il commercio non specializzato (supermercati, discount, grandi magazzini) arretra del 34,2%. Crescono invece farmacie (+16,9%) e negozi di informatica e telefonia (+4,9%).

Le città più a rischio

I capoluoghi con la più bassa densità commerciale — e con i cali potenzialmente peggiori entro dieci anni, fino al 38% — si concentrano soprattutto al Nord: Ancona, Ravenna, Trieste, Novara, Reggio Emilia. Nel Centro la situazione più critica è Fiumicino. Tra le città con maggiore densità commerciale figurano Frosinone, Trapani, Cosenza, Nuoro e Cagliari, tutte però esposte a possibili crolli oltre il 25%.

Il rischio 2035

Confcommercio stima che entro il 2035 potrebbero sparire altre 114mila imprese, oltre un quinto di quelle attive oggi. Una perdita che avrebbe «gravi conseguenze per economia urbana, qualità della vita e coesione sociale».

Le proposte per fermare il declino

L’associazione del commercio chiede una strategia nazionale di rigenerazione urbana coordinata con fondi europei, Pnrr e risorse di Comuni e Regioni. Tra le ricette indicate: potenziare i Distretti urbani dello sviluppo economico, siglare patti tra Stato e aziende per rivitalizzare i quartieri, rendere più accessibili gli spazi commerciali sfitti. Sono oltre 105mila i locali utilizzabili ma vuoti, un quarto dei quali inutilizzati da oltre un anno. Per rimetterli in circolo Confcommercio propone canoni calmierati e incentivi pubblici e privati.

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