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Botte, abusi sessuali, filmati dello stupro: arrestati due militanti di Casapound, uno è consigliere comunale

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L’hanno fatta ubriacare e l’hanno pestata fino a farle perdere i sensi. Poi l’hanno violentata per ore, prima l’uno poi l’altro, riprendendo la scena con i telefonini. E alla fine l’hanno scaricata sotto casa come un pacco, lanciandole l’ultima offesa, l’ultimo affronto: “vedi di stare zitta e non dire nulla di questa storia, tanto non ti crede nessuno”.

Francesco Chiricozzi. Era diventato consigliere comunale a Vallerano nella lista di Casapound

E’ un racconto dell’orrore quello che emerge dall’arresto di Francesco Chiricozzi e Riccardo Lecci, i due militanti di Casapound di Viterbo finiti in carcere con l’accusa di violenza sessuale di gruppo e lesioni aggravate; un racconto in cui si mescolano arroganza e delirio di onnipotenza, assoluta mancanza di rispetto e totale assenza di morale. Violenza pura e gratuita contro la quale però la reazione del governo è duplice. Condanna  unanime ma differenze sulle forme di lotta a certe bestialità: “sono bestie e devono pagare”.  Salvini e Di Maio si dividono. Il primo torna alla carica con la castrazione chimica perchè “la galera non basta”, il secondo gli risponde che è “una presa in giro per le donne”, poiché la legge per come è scritta “si applicherebbe a casi meno gravi e sarebbe volontaria”. Il racconto dell’orrore inizia alle 22.30 dell’11 aprile. Chiricozzi e Lecci sono in un pub di Viterbo con altre persone. Nel locale c’è anche una donna di 36 anni che qualcuno del gruppo aveva conosciuto qualche giorno prima. La presentano ai due, tra una birra e l’altra il discorso va avanti. “Conosciamo un posto dove possiamo bere gratis, andiamo lì”, propongono i due. La donna accetta. Il posto e’ l'”Old Manners tavern’, un locale che è registrato come associazione sportiva ma in realtà è uno dei luoghi di ritrovo di Casapound. Un posto che Chiricozzi e Lezzi conoscono bene, tanto da averne le chiavi. Perchè i due non sono degli sconosciuti nell’ambiente. Il primo è consigliere comunale di Vallerano, eletto con il movimento di estrema destra alle elezioni di un anno fa quando Casapound prese il 21%, più o meno 300 voti. Da oggi non fa più parte del movimento, visto che i leader lo hanno espulso condannando quanto accaduto come un “atto infame”.

Uno dei manifesti razzisti di Chiricozzi. Serviva a “difendere” le donne italiane dagli stupratori neri. Poi lo arrestano per violenza sessuale, stupro e altri reati inauditi

Chiricozzi, che ha solo 19 anni, ha già i suoi bei precedenti che lo fanno essere di diritto una figura rispettata tra i fascisti della Tuscia: un’aggressione ad un ragazzino di sinistra, con il suo capogruppo ed ex candidato a sindaco, perchè su Facebook aveva fatto ironia su un manifesto del movimento, un Daspo da 3 anni rimediato da ultrà della Viterbese, la ‘cacciata’ dal Blocco studentesco perchè “troppo violento”.

Lecci invece, nonostante sia due anni piu’ grande, non ha il suo curriculum: solo attacchinaggi e banchetti. Entrambi comunque sono tra quella centinaia di militanti che da queste parti si muovono senza paura seguendo le ‘direttive’ dell’ideologo locale, il primario di chirurgia maxillo-facciale dell’ospedale di Viterbo Claudio Taglia. E’ passata la mezzanotte, i due entrano nel locale insieme alla giovane. Cosa accade con certezza lo diranno i processi; per ora c’e’ il racconto degli inquirenti e degli investigatori, che parlano di una “violenza inaudita”. Chiricozzi e Lezzi fanno bere ancora la donna, poi tentano un approccio sessuale che lei respinge. Ed e’ qui che si scatena la violenza. Con un pugno in pieno viso le fanno perdere i sensi. Poi la denudano. E prima uno, poi l’altro la violentano mentre la donna è ancora stordita. Riprendono tutto con i telefoni.

“Le immagini sono agghiaccianti – ripetono gli investigatori – una violenza continua e ripetuta per ore”. Quando è l’alba la scaricano sotto casa, la minacciano e se ne tornano a dormire come se nulla fosse accaduto. La donna però trova la forza di andare da sola in ospedale e denunciare la violenza. Non dice chi è stato, ma dice dove è successo.

E’ quanto basta agli investigatori, che le mostrano le foto dei militanti di Casapound. La sera stessa vanno a casa di Chiricozzi e Lezzi e sequestrano i telefoni, scoprendo l’orrore. Stamattina l’arresto, davanti a genitori increduli e che tutti definiscono persone perbene e rispettabili. “Stanno vivendo un maledetto film dell’orrore – dice chi ci ha parlato e sa da quanti anni sono in lotta con quel figlio – sono attoniti e disperati”.

“E’ un atto vergognoso che fa rabbrividire”, dice il sindaco di Vallerano Adelio Gregori, un ragazzone eletto con una lista di centrosinistra che però si pone, forse, la domanda giusta. Qui si è candidato sindaco una persona, Jacopo Polidori, con una condanna. In primo grado, ma pur sempre una condanna. Vanno presi dei provvedimenti a livello nazionale contro Casapound, perchè non è più possibile che chi sostiene certe cose e porta avanti certe idee possa candidarsi alle elezioni”.

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Pino Daniele e Amanda Bonini: un amore semplice, “all’antica”

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Pino Daniele, uno dei cantautori più amati della musica italiana, viveva il suo ultimo capitolo sentimentale con Amanda Bonini (foto tratta dal profilo Fb della signora Bonini), maestra elementare, in una relazione che definiva “all’antica”. «Dopo due famiglie, non smetto di credere nell’amore, perché se smetti di crederci, non vivi più», raccontava il cantautore in una delle sue ultime interviste. Con Amanda condivideva una visione della vita fatta di cose semplici, lontane dalle sovrastrutture del successo.

Amanda rappresentava per Pino un ritorno alle sue radici, al valore delle piccole cose. Una relazione che univa due mondi apparentemente lontanissimi: lui, superstar della musica, e lei, una donna normale, immersa nel mondo dell’educazione e della vita quotidiana.

La tragica notte del 4 gennaio 2015

A breve ricorreranno dieci anni dalla scomparsa di Pino Daniele, avvenuta il 4 gennaio 2015, in circostanze che Amanda Bonini ripercorre con emozione nel libro di Pietro Perone, Pino Daniele. Napoli e l’anima della musica. In quella notte drammatica, la coppia era a Magliano, in Toscana, dove avevano scelto di vivere per allontanarsi dal caos della città. Quando Pino accusò un grave malore, insistette per essere portato a Roma, al Sant’Eugenio, convinto che solo il suo cardiologo di fiducia potesse salvarlo.

«Durante il viaggio — racconta Amanda — Pino mi ha tenuto la mano, fino a quell’ultima doppia stretta, il suo ciao». La decisione di non aspettare un’ambulanza è stata oggetto di critiche, ma Amanda spiega: «Avrei provocato la sua ira e peggiorato la situazione. Piuttosto, non mi spiego perché dal Sant’Eugenio non sia partito un mezzo di soccorso cardio-assistito che ci venisse incontro».

Un ritorno alla normalità

Amanda e Pino avevano costruito una vita serena e semplice, fatta di routine e momenti quotidiani. Dopo un periodo a Roma, avevano scelto di trasferirsi a Magliano, un luogo tranquillo e vicino al lavoro di Amanda. «Alle sei e trenta uscivo di casa per andare a scuola, tornavo nel primo pomeriggio», ricorda Amanda. Questa normalità era per Pino un tuffo nelle sue origini, un ritorno al sale della vita di strada.

Pino si interessava al lavoro di Amanda, alle metodologie educative, e in particolare alle difficoltà vissute dalle famiglie con bambini disabili. Questi momenti, fatti di domande e riflessioni, lo riportavano a contatto con una realtà autentica, lontana dai riflettori e dal successo.

La serenità di Magliano e il ricordo di Pino

A Magliano, Pino Daniele aveva trovato un rifugio. Il piccolo paese sulle colline toscane rappresentava per lui un luogo di pace, dove poter vivere lontano dal caos delle metropoli e riscoprire una dimensione più autentica. Oggi, le sue ceneri riposano nel punto più alto del cimitero del paese, un luogo speciale per un artista che aveva scelto di vivere “felice e all’antica” con la sua compagna.

Dieci anni dopo: il ricordo di un grande artista

A dieci anni dalla scomparsa di Pino Daniele, il ricordo del cantautore vive non solo nella sua musica, ma anche nei racconti di chi gli è stato accanto. Amanda Bonini rappresenta un pezzo importante di quel ricordo, un amore che ha saputo riportare Pino alle sue origini e alla bellezza della vita semplice.

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Omicidio di Emanuele Tufano: il 15enne indagato ammette di aver sparato ma nega di essere l’assassino

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«Non sono stato io ad uccidere Emanuele». Così si è difeso F.A., il 15enne indagato per il coinvolgimento nell’omicidio di Emanuele Tufano, avvenuto lo scorso 24 ottobre in una traversa di corso Umberto, nei pressi di piazza Mercato a Napoli (nella foto il lugo del delitto). Durante l’interrogatorio condotto dal pm dei minori Claudia De Luca e dai pm della Procura di Napoli, F.A. ha ammesso di aver fatto fuoco con una pistola ma ha escluso categoricamente di essere l’autore del colpo fatale.

Difeso dall’avvocata Immacolata Spina, il ragazzo ha raccontato che il suo gesto sarebbe stato una reazione al fuoco aperto dal gruppo di cui faceva parte la vittima: «Hanno cominciato a sparare loro».

Il caos della notte del 24 ottobre

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la notte dell’omicidio ha visto contrapporsi due gruppi: uno proveniente dal rione Sanità, guidato da Emanuele Tufano e composto da circa 15 scooter, e l’altro del rione Mercato, con almeno quattro ragazzi a bordo di due moto. Il gruppo di Tufano avrebbe cercato di presidiare la zona di piazza Mercato in una chiara provocazione.

Quando sono partiti i colpi, il caos è stato totale. I ragazzi del rione Mercato hanno abbandonato le moto, cercando riparo dietro bidoni della spazzatura e auto parcheggiate. In quel momento, F.A. avrebbe impugnato una pistola e sparato. Tuttavia, le indagini hanno rivelato che nella sparatoria sono state utilizzate almeno quattro armi, e che in totale sono stati esplosi una ventina di colpi. È possibile che Emanuele sia stato colpito da un proiettile proveniente dal fuoco incrociato.

Le indagini e i punti oscuri

La Squadra Mobile, sotto la guida del primo dirigente Giovanni Leuci, sta lavorando per chiudere il cerchio attorno ai responsabili del conflitto a fuoco. Oltre a F.A., è stato interrogato un altro giovane indagato, un 17enne assistito dall’avvocato Mauro Zollo. Entrambi hanno fornito versioni parziali, contraddistinte da omertà e amnesie: nessuno dei due ha fatto nomi o riconosciuto complici nelle foto mostrate dagli investigatori.

Le indagini si concentrano ora sull’analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza presenti nella zona e sui rilievi balistici per determinare l’arma che ha ucciso Emanuele Tufano.

Un giovane indagato senza prospettive

F.A., al centro dell’inchiesta, ha dichiarato di trascorrere il tempo chiuso in casa, lontano dalle strade del suo quartiere. Non va a scuola, non lavora, e attende gli sviluppi di un’inchiesta che lo ha coinvolto in uno degli episodi di violenza giovanile più gravi degli ultimi mesi a Napoli.

Una città ferita tra silenzi e violenza

L’omicidio di Emanuele Tufano rappresenta l’ennesimo caso di violenza tra giovani nella città partenopea, aggravato da un muro di omertà che complica il lavoro degli inquirenti. Tra video su TikTok, pistole facili e quartieri in tensione, Napoli continua a fare i conti con un problema sociale e criminale che coinvolge adolescenti sempre più giovani, privi di opportunità e abbandonati a una vita senza regole né prospettive.

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Le mafie del nuovo millennio secondo Gratteri: meno visibili, più potenti

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Le mafie sparano meno, uccidono meno e si mostrano meno, ma mai come oggi hanno avuto tanto potere. Questo è il quadro tracciato dal procuratore di Napoli Nicola Gratteri (foto Imagoeconomica in evidenza) e dall’analista Antonio Nicaso nel libro “Una cosa sola”, pubblicato da Mondadori. Il testo esplora come le organizzazioni criminali si siano integrate nell’economia globale, sfruttando lacune normative, connivenze politiche e tecnologie avanzate.

«Le mafie sono una macchina perfetta di riciclaggio», spiegano gli autori, mettendo in evidenza la loro capacità di mimetizzarsi e infiltrarsi nei settori chiave dell’economia, dalla finanza alle energie rinnovabili, passando per il mercato immobiliare.

Il modello mimetico: mafie e finanza

Uno degli aspetti più preoccupanti emersi dal libro è l’uso sofisticato di strumenti finanziari per riciclare denaro sporco. Tra questi spiccano i “non performing loans” (NPL), ovvero crediti deteriorati acquistati per essere rivitalizzati e utilizzati per legittimare capitali di origine illecita. È il caso di Raffaele Imperiale, ex broker del narcotraffico, che ha svelato come la camorra utilizzi l’ingegneria finanziaria per nascondere proventi illeciti.

Imperiale, famoso per aver custodito due quadri di Van Gogh rubati ad Amsterdam, ha collaborato con la giustizia rivelando dettagli sul riciclaggio tramite debiti deteriorati e l’utilizzo di criptovalute, strumenti sempre più presenti nei circuiti criminali.

Nuove frontiere: dark web e petrolmafie

Le mafie si espandono rapidamente, adattandosi a nuovi strumenti tecnologici e settori economici. Dal dark web alle criptovalute, fino alla commercializzazione fraudolenta di prodotti petroliferi, il loro raggio d’azione si amplia continuamente.

Il caso delle petrolmafie, indagato nel 2021 da quattro Procure italiane, ha evidenziato la capacità delle cosche di collaborare per gestire un business miliardario nella distribuzione di prodotti petroliferi. Clan come i Moccia, i Mancuso e i Piromalli hanno costruito un sistema complesso e integrato, dimostrando quanto le organizzazioni criminali siano ormai un attore economico rilevante.

Una risposta legislativa insufficiente

Secondo gli autori, l’attuale normativa antimafia, basata sul 416bis del codice penale, appare sempre più inadeguata per affrontare le mafie del nuovo millennio. Come sottolinea il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, il radicamento territoriale, elemento cardine della legislazione attuale, non basta più a descrivere organizzazioni che operano a livello globale e si integrano perfettamente nell’economia legale.

Le nuove tecnologie, come i criptofonini e i droni, offrono alle mafie strumenti per mantenere contatti tra boss detenuti e affiliati liberi, complicando ulteriormente il contrasto alle attività criminali.

Una sfida politica e legislativa

Le mafie si evolvono e si adattano più rapidamente delle risposte politiche e legislative. Gratteri e Nicaso lanciano un monito: per contrastare efficacemente il crimine organizzato serve un ripensamento radicale delle strategie di lotta, che tenga conto della crescente integrazione delle mafie nell’economia globale e del loro uso avanzato delle tecnologie.

«Non si può più ignorare il carattere sistemico del fenomeno», concludono gli autori, sottolineando che il contrasto alle mafie richiede non solo un aggiornamento delle leggi, ma anche una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica.

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