Gli acciacchi dell’eta’ che praticamente lo costringono a casa, a deambulare con sforzo, a essere assistito da una badante e che gli causano difficolta’ percettive, non ne hanno piegato lo spirito, indebolito le convinzioni, a dispetto dell’anagrafe che domani segnera’ per lo scrittore italiano di lingua slovena Boris Pahor un notevole primato: 108 anni. Un gigante vigile, attento, animato da quell’energia che lo caratterizza da sempre. Anzi, se il corpo rallenta la propria attivita’, c’e’ un motivo in piu’ per Pahor di essere entusiasta: l’avvicinamento delle due comunita’ triestine, quella italiana e quella slovena, e su scala piu’ ampia, dei due Paesi. Un avvicinamento che segna una nuova tappa nel percorso di definitiva pacificazione dopo le tragedie della Seconda guerra mondiale. Gia’ lo scorso anno, dopo l’incontro dei due presidenti Sergio Mattarella e Borut Pahor sul Carso e la formalizzazione della restituzione dell’edificio del Narodni Dom distrutto dai fascisti alla comunita’ slovena, aveva spinto lo scrittore in occasione del 107/o compleanno, a parlare di un anniversario “diversissimo”, nel senso di migliore. Stavolta un nuovo passo e’ un libro – “Boris Pahor. Scrittore senza frontiere. Studi, interviste e testimonianze” – presentato proprio ieri, curato dai giornalisti triestini Fulvio Senardi e Walter Chiereghin e di cui oggi quest’ultimo gli ha portato una copia personalmente. Non soltanto per il fatto che la seconda parte del volume raccoglie piu’ di una decina di testimonianze di altrettanti intellettuali e scrittori a lui dedicate. Quanto perche’, per la prima volta, figure separate dalla lingua si ritrovano in un volume italiano stampato in Slovenia con una coedizione “mista”. Piccoli passi, ma significativi. Che lo spiritaccio dello scrittore non abbia subito flessioni lo rivela un aneddoto raccontato dalla regista francese Fabienne Issartel, che su di lui ha girato un documentario e che figura anche nel libro. Era andata a casa di Pahor pochi mesi fa e lo aveva trovato a letto, in non buone condizioni fisiche, i due si erano tuttavia intrattenuti e al termine proprio Pahor, con voce rotta dalla fatica aveva sillabato qualcosa come “a questo punto vorrei…” e la regista aveva pensato all’auspicio per una dipartita indolore, serena. Invece lo scrittore dopo una breve pausa aveva proseguito: “Vorrei proprio poter vivere ancora”. I 108 anni di Pahor fanno di quest’uomo la somma di esperienze accumulate (e ormai arcinote, dal fascismo ai lager nazisti; dalla tubercolosi allo sfaldamento del blocco dell’Est) durante il Novecento e oltre, secolo che lo scrittore ha attraversato in tutto il suo compiersi, e che ha descritto nei tanti libri scritti e negli ancor piu’ numerosi interventi pubblici svolti. Tra i prossimi passi da fare c’e’ una lacuna da colmare: nonostante la notorieta’ internazionale, il ruolo riconosciutogli di testimone e delle candidature al Premio Nobel, non tutti i suoi libri sono ancora stati tradotti in italiano. Tranne alcune eccezioni, infatti, Pahor, ha composto la sua opera tutta in sloveno. Una mancanza che fa storcere il naso a piu’ di un pensatore al di qua e al di la’ del confine.