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Boris Johnson sulla graticola per la polizia a casa sua dopo una lite con la fidanzata

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Una lite furibonda con la fidanzata nella loro casa di Londra, finita con l’arrivo della polizia chiamata dai vicini allarmati dagli schiamazzi notturni. E’ il primo serio inciampo per Boris Johnson nella sua corsa per la leadership dei Tory e verso il numero 10 di Downing Street, proprio mentre la campagna entra nella sua fase finale. Al punto che se pure ‘Bojo’ rimane il favorito sull’avversario al ballottaggio Jeremy Hunt, gli immancabili bookmaker inglesi – che nella patria delle scommesse quotano in tempo reale qualsiasi cosa – danno per dimezzate le sue chance di diventare premier al posto di Theresa May. La notizia e’ finita sulle prime pagine di almeno sei grossi quotidiani britannici: Johnson e la giovane fidanzata Carrie Symonds, con cui il politico conservatore vive dopo la separazione dalla seconda moglie, si sono presi a urla e si sono lanciati i piatti. In un audio registrato dagli stessi vicini di casa che hanno chiamato il numero d’emergenza 999 – audio finito in mano al Guardian che ha fatto lo scoop – si sente la donna lamentarsi per del vino rovesciato sul divano. Poi porte sbattute, oggetti rotti, urla: “stammi lontano, esci di casa”, lei, “lascia stare il mio dannato laptop”, lui. Gli uomini di Scotland Yard si sono limitati a constatare che tutti stavano bene e che non c’era alcun reato da registrare. Eppure, in una societa’ dove il personaggio pubblico – e il politico soprattutto – e’ sempre pubblico in tutte le sue manifestazioni, episodi come questi hanno un peso. Gli oppositori di Johnson hanno avuto gioco facile ad attaccarlo per i limiti caratteriali che la vicenda avrebbe messo in luce: se perde il controllo cosi’ facilmente tra le mura di casa sua, come puo’ gestire la pressione cui e’ sottoposto un primo ministro? “Tutte le coppie litigano, sai che notizia”, hanno scrollato le spalle sul fronte opposto i sostenitori di Johnson, anche se nell’anonimato qualcuno dei suoi ha definito la situazione “un incubo” mediatico. Il giorno dopo, Johnson si e’ presentato come se niente fosse per gli appuntamenti della campagna. Ha servito biscotti in una pasticceria di Bicester, si e’ fatto scattare foto sorridente e col pollice alzato. Ma non ha potuto evitare le domande. Al primo confronto pubblico a Birmingham, durante un’intervista in diretta tv organizzata nell’ambito della campagna, e’ stato costretto a dribblare almeno cinque volte i tentativi dell’intervistatore Iain Dale di strappargli un commento. “Non credo – si e’ limitato a rispondere – che gli elettori vogliano sentire parlare di questo genere di cose”. Anche se nel Regno Unito, almeno per il momento, i commentatori politici non sembrano essere interessati ad altro.

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L’Australia esorta i suoi cittadini a lasciare Israele

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Il governo australiano ha esortato i suoi cittadini in Israele a “andarsene, se è sicuro farlo”. “C’è una forte minaccia di rappresaglie militari e attacchi terroristici contro Israele e gli interessi israeliani in tutta la regione. La situazione della sicurezza potrebbe deteriorarsi rapidamente. Esortiamo gli australiani in Israele o nei Territori palestinesi occupati a partire, se è sicuro farlo”, secondo un post su X che pubblica gli avvisi del dipartimento degli affari esteri e del commercio del governo australiano.

Il dipartimento ha avvertito che “gli attacchi militari potrebbero comportare chiusure dello spazio aereo, cancellazioni e deviazioni di voli e altre interruzioni del viaggio”. In particolare è preoccupato che l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv “possa sospendere le operazioni a causa di accresciute preoccupazioni per la sicurezza in qualsiasi momento e con breve preavviso”.

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Ian Bremmer: l’attacco di Israele è una sorta di de-escalation

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C’è chi legge una escalation e chi invece pensa che sia una de escalation questo attacco israeliano contro l’Iran. “È un allentamento dell’escalation. Dovevano fare qualcosa ma l’azione è limitata rispetto all’attacco su Damasco che ha fatto precipitare la crisi”. Lo scrive su X Ian Bremmer, analista fondatore di Eurasia Group, società di consulenza sui rischi geopolitici.

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Usa bloccano bozza su adesione piena Palestina all’Onu

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Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti.

La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

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