Il cerchio della giustizia brasiliana si stringe attorno a mandanti politici dell’assalto ai Palazzi della democrazia, che una settimana fa ha sconvolto il colosso sudamericano, lasciando il mondo col fiato sospeso. Alla lista degli indagati, la Corte Suprema ha aggiunto il nome di Jair Bolsonaro, accusato di “istigazione e paternità intellettuale”, dopo essere tornato a postare un video “che mette in dubbio la regolarità delle elezioni presidenziali del 2022”. Ma se l’ex presidente continua a rifugiarsi in Florida, respingendo tutti gli addebiti per bocca del suo avvocato Frederick Wassef, il suo braccio destro ed ex ministro della Giustizia, Anderson Torres, è stato arrestato all’aeroporto di Brasilia, proprio al suo rientro da Orlando.
Incaricato di sovrintendere alla sicurezza di Brasilia, rimosso durante l’assalto di domenica scorsa, e accusato di aver avuto un ruolo almeno di omissioni e connivenze nel copione dell’attacco, Torres è stato sottoposto a incarcerazione preventiva, disposta dal presidente del Tribunale supremo, Alexandre de Moraes, il giudice incubo dei ribelli che si ostinano a non riconoscere la vittoria elettorale di Luiz Inácio Lula da Silva. La polizia federale ha preso in custodia l’ex guardasigilli al suo arrivo, conducendolo immediatamente presso il quarto battaglione della polizia militare di Guarà, a disposizione degli inquirenti. In particolare, la posizione di Torres si è aggravata dopo che in un armadio della sua abitazione è stata trovata la bozza di un decreto per destituire Lula.
Un manoscritto anonimo, su cui sono in corso indagini, che il politico ha indicato come un documento destinato al macero. Ma ad appesantire la posizione dell’ex ministro è anche la dichiarazione spontanea resa dal governatore di Brasilia (sospeso per 90 giorni), l’avvocato milionario Ibaneis Rocha, che si è difeso dagli addebiti presentando, tra gli altri, un documento firmato dall’attuale ministro della Giustizia e della Sicurezza, Flavio Dino, da cui emerge che l’esponente del governo Lula, così come lo stesso Torres, era stato allertato dalla polizia federale sul rischio che gli edifici del Tribunale supremo, il palazzo del Planalto e il Congresso potessero essere teatro di azioni violente da parte di esagitati bolsonaristi.
Lo scambio di messaggi Whatsapp ed e-mail tra Dino, Rocha e Torres, evidenzia in particolare una sottovalutazione dell’informativa che sarebbe stata stilata già un paio di giorni prima dell’attacco, e fa da sfondo a un inquietante scaricabarile, con Dino che sul suo profilo Twitter ha respinto ogni responsabilità. “La destra golpista insiste sul delirio che avrei potuto evitare gli eventi dell’8 gennaio. Chiarisco ancora una volta, che il ministero della Giustizia non comanda la polizia (…), salvo nel caso di un intervento federale, come avvenuto nel pomeriggio dell’8. Ho proposto l’intervento federale su basi reali, non su presunzioni”, ha puntualizzato, chiosando: “Non sono un profeta”.
Ma la deposizione del governatore Rocha, in cui si parla di “sabotaggio” da parte delle forze di sicurezza, di “diserzione” e “connivenza” con i vandali sovranisti scuote anche le forze militari. L’Esercito è infatti accusato di aver impedito la rimozione dell’accampamento dei bolsonaristi: lo sgombero fissato per il 29 dicembre sarebbe stato sospeso per ordine del comando militare.