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Bimbi uccisi dal Suv a Vittoria, accusa anche di tentato omicidio per Rosario Greco già in cella per omicidio stradale di due cuginetti

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Sarebbe stata una ‘occhiata di troppo’ a scatenare la violenta reazione di Rosario Greco, raggiunto ieri mattina da un ordinanza di custodia cautelare che gli è stata notificata in carcere con l’ipotesi di tentato omicidio. Greco e’ in carcere con l’accusa di omicidio stradale plurimo, aggravato dal fatto che guidava sotto l’effetto di alcool, per la morte dei due cuginetti di Vittoria, Alessio e Simone D’Antonio, falciati dal suo Suv l’11 luglio scorso. La nuova ordinanza emessa dal gip su richiesta della Procura, riguarda un episodio che risale al 15 giugno ed e’ accaduto davanti ad un camion bar all’ex campo di concentramento.

Greco si sarebbe infastidito dello sguardo di un avventore e dopo un battibecco, avrebbe estratto il coltello – nonostante i tentativi di riportarlo alla calma – colpendo la vittima che prima ha chiesto aiuto e poi si e’ recata al pronto soccorso, in auto, da sola. Nessuno ha allertato le forze dell’ordine. Quando l’uomo e’ arrivato all’ospedale, non essendo credibile la versione che raccontava e’ stata allertata una Volante della Polizia e la Squadra mobile. L’uomo e’ finito in sala operatoria e la Procura ha richiesto una consulenza medico legale che avrebbe accertato che la coltellata inferta avrebbe potuto uccidere. Parallelamente sono state avviate le altre indagini che puntavano a capire chi fosse l’autore del ferimento e cosa fosse successo. La vittima – cosi’ come i numerosi testimoni presenti – temeva di denunciare ma sono state le immagini della videosorveglianza a permettere di chiarire tutte le circostanze.

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Insulti sui social, alcuni alunni chiedono scusa a sindaco

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Alcuni degli alunni che ieri hanno postato insulti e messaggi offensivi nei confronti del sindaco di San Giorgio a Cremano (Napoli) Giorgio Zinno per non aver chiuso le scuole per allerta gialla, oggi li hanno cancellati dai social o hanno chiesto scusa per il gesto. “Devo ammettere che questo gesto merita di essere riconosciuto come un primo passo verso una maggiore consapevolezza” scrive sulla pagina facebook è il primo cittadino “E’ vero anche che non tutti lo hanno fatto. Infatti per quei ragazzi che non si sono resi conto della gravità del loro comportamento, procederò con un esposto alla Polizia Postale, come atto dovuto per tutelare l’Istituzione che rappresento e per lanciare un chiaro segnale che certi comportamenti non possono essere tollerati. Quindi, la diffusione di quanto accaduto ha sortito l’effetto sperato, ovvero ha scosso le coscienze ed avviato una riflessione sul clima che sta emergendo in alcuni contesti della nostra comunità”.

Per Zinno occorre insegnare ai ragazzi “l’uso consapevole dei mezzi di comunicazione e fargli comprendere le responsabilità che hanno nell’uso delle parole” perché spiega “purtroppo stiamo andando nella direzione in cui i rapporti umani sembrano sempre più filtrati e amplificati dai mezzi digitali che possono diventare pericolosi strumenti di offesa, soprattutto se manca il senso di responsabilità. È un problema culturale, ma anche sociale, che ci coinvolge tutti e che richiede un intervento congiunto”. “Insieme possiamo e dobbiamo intervenire, attraverso strumenti come i patti educativi ad esempio, che rappresentano una rete di valori condivisi e di supporto educativo.

Dobbiamo insegnare ai nostri adolescenti e alle future generazioni, che vivere con leggerezza è giusto e necessario, ma ciò non può mai prescindere dal rispetto verso gli altri e verso le istituzioni”. “Rispettare non significa soltanto evitare l’insulto o l’aggressione verbale: significa scegliere di costruire relazioni basate sull’ascolto e sulla comprensione. Significa crescere come persone e come comunità. Mi auguro che questa vicenda possa rappresentare non solo un monito, ma un’opportunità per riflettere insieme su quale tipo di società vogliamo diventare e su quali valori desideriamo trasmettere”. E infine conclude: “Da parte mia, continuerò ad ascoltare, a dialogare e ad impegnarmi per il bene dei nostri ragazzi, perché credo fermamente che solo con un lavoro collettivo possiamo aiutarli ad affrontare le sfide del presente e a costruire un futuro migliore.

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Ucciso a martellate, condannato ex pentito di camorra di Frattamaggiore

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Per mesi il corpo senza vita di Massimo Lodeserto è rimasto negli scantinati di una vecchia palazzina del centro storico di Torino. Per mesi i parenti avevano fatto l’impossibile per cercare questo signore di 58 anni, conosciuto nel quartiere per il carattere affabile e scherzoso, che pareva essersi dissolto nel nulla. Fino a quando, il 4 dicembre 2024, al termine di un’indagine lunga e complicata, i carabinieri non avevano fatto irruzione nel sotterraneo: Massimo era stato preso a martellate alla testa, trafitto due volte alla schiena da un coltello, portato laggiù e ricoperto di masserizie. Oggi il tribunale ha inflitto 20 anni di carcere per omicidio volontario e occultamento di cadavere al presunto killer.

Si tratta di Nino Capaldo, 57 anni, originario di Frattamaggiore (Napoli), ex collaboratore di giustizia. Ma la camorra non c’entra. Il delitto sarebbe il tragico epilogo di una lite per un debito e, forse, una donna. Capaldo stava già scontando in regime di detenzione domiciliare una vecchia condanna a 15 anni per un omicidio risalente al 2014. La vittima, il nigeriano Edokpa Gowin detto ‘Nokia’, era stata uccisa con un colpo di pistola nel Casertano. Si parlò di contrasti fra gang rivali per il controllo dello spaccio. Capaldo, indicato come affiliato al clan Gagliardi-Fragnoli di Mondragone, collaborò con gli inquirenti, fu inserito nel programma di protezione e allontanato dallaCampania. A Torino nessuno, tranne le forze dell’ordine, sapeva del suo passato. A volte diceva di essere un maresciallo dei carabinieri in pensione.

Secondo una delle ricostruzioni della vicenda, Capaldo si era invaghito della ex fidanzata di Lodeserto. Sembra che la donna sostenesse che da Massimo avanzava 100 mila euro dai tempi in cui gestivano una piccola impresa di pulizie. E sembra che Capaldo avesse deciso di riscuotere il credito (di cui peraltro non c’è traccia nelle cartelle esattoriali esaminate). Fra i due uomini ci fu un incontro. Il 30 agosto 2024, giorno in cui doveva cominciare un nuovo lavoro, Massimo scomparve. L’avvocato difensore di Capaldo, Gianluca Orlando, in aula ha parlato di legittima difesa, ma la tesi non è stata accolta. I vent’anni di reclusione sono stati il massimo della pena, visto che il processo si è svolto con il rito abbreviato, che comporta lo sconto automatico di un terzo, e non sono state contestate né la premeditazione né altre aggravanti. Tre familiari di Lodeserto si sono costituiti parte civile con l’avvocato Roberto Saraniti e hanno ottenuto, per ora, una provvisionale di 40 mila euro ciascuno. Quanto a Capaldo, adesso è in un carcere fuori Piemonte.

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Finti matrimonio e lavoro per permessi soggiorno, 5 indagati

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Avrebbero organizzato un matrimonio per far ottenere il permesso di soggiorno a uno straniero e una falsa assunzione in cambio di denaro a un secondo straniero, che così avrebbe ottenuto il rinnovo del suo permesso. E’ quanto la Procura di Marsala contesta a cinque persone, due stranieri e tre italiani, indagate per favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero e falsità ideologica nei cui confronti ha emesso un avviso di conclusione indagine. Al centro delle indagini della Digos della Questura di Catania, cominciate nel 2020 e concluse nel 2021, finalizzate al monitoraggio dei cosiddetti ‘sbarchi fantasma’ con l’obiettivo di individuare eventuali cellule terroristiche che sarebbero approdate sulle coste del Catanese.

Dagli accertamenti eseguiti dalla polizia è emersa la posizione di un tunisino di 52 anni, tuttora ricercato anche per l’esecuzione di un provvedimento di pene concorrenti per i delitti di associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina, che per garantirsi permanenza in Italia avrebbe chiesto a due marsalesi, di 37 e 33 anni, di cercargli una moglie per un matrimonio combinato che gli permettesse di ottenere il permesso di soggiorno. I due avrebbero trovato la sposa, una ragazza di 32 anni in cura per patologie psichiatriche, con la quale l’uomo avrebbe effettivamente contratto matrimonio con il rito civile nel novembre del 2020.

Le indagini hanno accertato che era fittizio perché i coniugi non coabitavano e perché l’uomo aveva una relazione con una connazionale. Indagando sul tunisino, la Digos della Questura di Catania ha scoperto che il 52enne avrebbe anche messo in piedi una sorta di ufficio di collocamento illegale, tramite un imprenditore agricolo 52enne marsalese che dietro il pagamento di denaro avrebbe comunicato l’assunzione fittizia di un guineano di 26 anni, il quale così avrebbe ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno.

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