Collegati con noi

Esteri

Biden, opzione nucleare per difendere il diritto di voto

Pubblicato

del

“Siamo di fronte al piu’ grande test per la nostra democrazia dai tempi della Guerra Civile. La battaglia per la democrazia e per il futuro dell’America non e’ finita e io fermero’ il grave attacco sferrato contro il diritto di voto in America”. Joe Biden lancia cosi’ la ‘campagna di midterm’, la stagione elettorale che portera’ alle elezioni politiche di meta’ mandato per rinnovare gran parte del Congresso, il prossimo novembre. E lo fa con un appassionato discorso da quella Georgia che lo ha visto prevalere su Donald Trump per poco piu’ di 11.700 voti, e la cui amministrazione repubblicana e’ stata tra le prime a varare un giro di vite sulle norme elettorali, penalizzando soprattutto le minoranze e le fasce piu’ deboli della popolazione. Biden dunque si dice pronto a ricorrere a quella che viene definita “opzione nucleare”: cambiare le regole che regolano l’ostruzionismo in Senato per evitare che la minoranza possa bloccare le due proposte di legge per la difesa del piu’ importante dei diritti costituzionali. Nel mirino il cosiddetto ‘filibuster’, la norma che permette all’opposizione di chiedere che un provvedimento passi solo con la maggioranza di 60 senatori: uno strumento – ha denunciato Biden – di cui ormai repubblicani “abusano ed usano come un’arma”. “Il Paese e’ a un punto di svolta. Dobbiamo scegliere tra la democrazia e l’autocrazia, tra la luce e le tenebre, tra la giustizia e l’ingiustizia. Io so da che parte stare”, ha incalzato il presidente, parlando dal palco dell’Atlanta University Center, il piu’ antico consorzio di college afroamericani degli Stati Uniti. Un luogo simbolico come lo sono tutte le tappe toccate da Biden e dalla sua vice Kamala Harris durante la visita in Georgia: l’omaggio alla tomba di Martin Luther King seguito dall’invito nella storica Ebenezer Baptist Church, dal cui pulpito negli anni ’60 predicava proprio il pastore King e dove si svolsero anche i funerali di John Lewis, altra icona della lotta per i diritti civili in America. Una delle due leggi federali introdotte dai democratici e su cui presto si dovrebbe pronunciare il Congresso e’ il Freedom to Vote Act, teso a vanificare gli sforzi dei singoli stati per limitare l’esercizio del diritto di voto. Nell’ultimo anno, spesso cavalcando la campagna mistificatoria dell’ex presidente Trump, sono stati almeno 19 gli stati Usa a guida repubblicana che hanno varato provvedimenti restrittivi, in alcuni casi facendo tornare le lancette dell’orologio indietro di decenni. Ad esempio abolendo o limitando la possibilita’ di votare per posta o rendendo piu’ difficile l’accesso ai seggi. Il testo fermo al Senato prevede anche di trasformare l’Election Day in un giorno festivo per favorire l’affluenza, e il divieto per le autorita’ statali di ridisegnare i distretti elettorali a danno delle minoranze. C’e’ poi il John Lewis Voting Rights Advancement Act, con cui si vogliono ripristinare alcune fondamentali norme anti discriminazione contenute nello storico Voting Rights Act del 1965 ma poi abolite dalla Corte Suprema nel 2013. Ma Biden deve vedersela anche con le resistenze interne al suo stesso partito, visto che almeno due senatori – Joe Manchin e Kyrsten Sinema – si sono detti contrari a una revisione del ‘filibuster’. E poi ci sono le critiche della sinistra liberal e dei gruppi di attivisti che si battono per la difesa del diritto di voto, che accusano il presidente di aver fatto finora poco e nulla per fermare la svolta conservatrice di molti stati. “Vogliamo un piano concreto, basta parole, altrimenti la visita in Georgia e’ solo l’ennesima perdita di tempo”, hanno scritto alla vigilia diverse associazioni. “Invece di tenere un discorso ad Atlanta – hanno incalzato – il presidente e la vicepresidente dovrebbero restare a Washington ed essere in Senato per far varare immediatamente le nuove norme federali”. Cosi’ molti gli assenti eccellenti al discorso di Biden, a partire dalla stella del partito democratico in Georgia, Stacey Abrams. Mentre il figlio di Martin Luther King consegna al presidente un chiaro messaggio: “La sua visita non puo’ essere solo una formalita’”.

Advertisement

Esteri

L’Australia esorta i suoi cittadini a lasciare Israele

Pubblicato

del

Il governo australiano ha esortato i suoi cittadini in Israele a “andarsene, se è sicuro farlo”. “C’è una forte minaccia di rappresaglie militari e attacchi terroristici contro Israele e gli interessi israeliani in tutta la regione. La situazione della sicurezza potrebbe deteriorarsi rapidamente. Esortiamo gli australiani in Israele o nei Territori palestinesi occupati a partire, se è sicuro farlo”, secondo un post su X che pubblica gli avvisi del dipartimento degli affari esteri e del commercio del governo australiano.

Il dipartimento ha avvertito che “gli attacchi militari potrebbero comportare chiusure dello spazio aereo, cancellazioni e deviazioni di voli e altre interruzioni del viaggio”. In particolare è preoccupato che l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv “possa sospendere le operazioni a causa di accresciute preoccupazioni per la sicurezza in qualsiasi momento e con breve preavviso”.

Continua a leggere

Esteri

Ian Bremmer: l’attacco di Israele è una sorta di de-escalation

Pubblicato

del

C’è chi legge una escalation e chi invece pensa che sia una de escalation questo attacco israeliano contro l’Iran. “È un allentamento dell’escalation. Dovevano fare qualcosa ma l’azione è limitata rispetto all’attacco su Damasco che ha fatto precipitare la crisi”. Lo scrive su X Ian Bremmer, analista fondatore di Eurasia Group, società di consulenza sui rischi geopolitici.

Continua a leggere

Esteri

Usa bloccano bozza su adesione piena Palestina all’Onu

Pubblicato

del

Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti.

La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto